Se la trilogia originale di Gears of War era all’insegna delle certezze, questo nuovo corso della storia si distingue per mettere in discussione molte cose che il giocatore dava per assodate. In cerca di una identità che permetta di caratterizzare questo nuovo ciclo, gli sviluppatori di The Coalition hanno basato la trama e la campagna di Gears 5 su di alcuni cambi molto consistenti.
Ritroviamo quindi personaggi come Kait e JD, i quali però sono al centro di vicende personali controverse, che li scuotono in modi diametralmente opposti. Come anticipato dal finale del quarto episodio, Kait si trova ad indagare sulla sua connessione con l’esercito delle locuste, testimoniata dal simbolo sul medaglione lasciatole dalla madre. JD invece deve fare i conti con le conseguenze di azioni compiute durante il suo servizio nei COG e il fallimento nel salvare dei commilitoni, ferite emotive che solo la guerra riesce a lasciare.
Per l’indipendente Kait si profila il timore di appartenere ad una fazione che ne reclama la fedeltà in modi ben più stringenti che non un semplice arruolamento in un’esercito. Lo spavaldo JD inizia a comprendere che il mestiere delle armi non sempre pone situazioni dove buoni e cattivi sono distinti come era abituato a pensare quando combatteva contro un esercito di mostri, ma anche zone di grigio dove qualsiasi decisione presa rimane a tormentare la coscienza.
Questi due personaggi sono i pilastri di una narrazione più profonda rispetto alla semplicità tematica su cui potevano appoggiarsi Marcus e Dom nei capitoli precedenti. C’è una certa attenzione per migliorare la qualità della trama non solo caratterizzando i protagonisti, ma anche l’intero mondo di Sera e la sua storia. Vengono dedicati espressamente dei capitoli per esplorare i retroscena sull’origine dello sciame, ma anche delle guerre Pendulum e la fazione degli UIR, i nemici dei COG nella guerra civile tra umani per il controllo del carburante Imulsion, precedente l’Emersion Day delle locuste.
Gli amanti di Gears of War troveranno molti dettagli che arricchiscono l’ambientazione in modo consistente, andando a chiudere delle parentesi rimaste in sospeso nel secondo episodio, ma conservando alcuni interrogativi per non lesinare ulteriori colpi di scena nel prossimo Gears 6. I comprimari rimangono delle presenze di puro contorno, con caratterizzazioni molto più abbozzate e superficiali rispetto a quelle dei personaggi principali, ma inserendo qualche piccolo cameo e citazione per appassionati.
Anche sul piano strutturale la campagna introduce qualche innovazione per risultare più varia da giocare e meno lineare rispetto le precedenti. La grossa novità è che ora diversi atti si sviluppano all’interno di un’ambiente sandbox, di dimensioni abbastanza ampie, dove il giocatore deve spostarsi lungo molteplici luoghi per completare missioni primarie o secondarie, al fine di proseguire nella storia o di ottenere bonus per il robottino Jack.
Questa figura dunque non ricopre più una funzione decorativa, ma diventa parte integrante della giocabilità. Jack ora può raccogliere oggetti a comando e portare munizioni o armi che si trovano fuori portata. Oltre a questo dispone di alcune funzioni come aprire uno scudo antiproiettile, attivare una corazza sui personaggi o renderli invisibili, controllare alcuni tipi di locuste temporaneamente e altro ancora.
La rosa di abilità a disposizione del giocatore è quindi incrementata molto e si snoda tutta a partire da questa specie di D3BO volante (la sua somiglianza al robot di Star Wars è dovuta anche al suo esprimersi con rumori cibernetici, comprensibili solo a Del), incentivando all’esplorazione della mappa per ottenere circuiti e pezzi per sbloccare potenziamenti. In una partita cooperativa è anche possibile controllare direttamente Jack, cedendone i controlli ad un utente, il quale potrà fornire supporto ulteriore rianimando i personaggi atterrati o lanciando scosse per rallentare le locuste.
Per il resto la giocabilità è sempre quella di uno sparatutto in terza persona, seppur intervallata sporadicamente da qualche breve fase stealth però di scarsa rilevanza, in quanto facilmente superabili a causa di una cpu che difficilmente rileva persino che gli sta passando accanto. Un aspetto questo forse superfluo, inserito per tentare di aggiungere ulteriore varietà, che finisce per non aggiungere nulla di rilevante ma neanche rovinare niente, data la sua limitata presenza.
Nel complesso il titolo è molto scorrevole sia da soli, che in cooperativa e si apprezza come la longevità sia incrementata, richiedendo circa dodici ore per completare la storia e dedicarsi anche al completamento di tutte le missioni secondarie. Le sezioni sandbox presentano un’ampiezza sufficiente per dare maggiore libertà di movimento e non rendere la progressione troppo lineare, ma senza sfociare nell’open world che diventa dispersivo e aggiunge troppi cali di ritmo. Bisogna però specificare come soltanto metà del gioco presenti queste sezioni ad ampio respiro, limitandosi ai soli capitoli due e tre. I capitoli uno e quattro infatti si sviluppano lungo una tratta lineare, incrementando quindi solo una parte del gioco.
Graficamente lo studio The Coalition si conferma capace di sfruttare in modo perfetto l’hardware di Xbox e il motore grafico Unreal Engine, creando per la seconda volta un prodotto che diventa software elettivo per mostrare i muscoli di Xbox One X, ma che tocca ugualmente livelli altissimi per questa generazione di console ormai al termine, anche se giocato su One normale. Gli utenti One X potranno sfoggiare sui loro schermi una risoluzione in 4K e una frequenza di 60 fotogrammi al secondo costanti, sia su campagna che nel multigiocatore. Per gli altri bisognerà accettare il compromesso di un multi a 60 fotogrammi e una campagna a 30, ma garantendo un dettaglio grafico e una qualità degli effetti di illuminazione comunque elevata e soddisfacente.
Per raggiungere questi risultati si è dovuto comunque limitare alcune cose, diminuendo l’interazione ambientale per esempio. Nella trilogia originale di Gears infatti ogni sparatoria faceva saltare pezzi di calcinacci, sbriciolava parti di architetture di pietra o lasciava segni più tangibili sui fondali della pioggia di proiettili scaricati. Ora invece ben poco viene frantumato o crolla e ogni buco di proiettile viene riparato in modo automatico nel giro di pochi secondi per non appesantire troppo il calcolo del processore. Piccoli tocchi, è vero, ma che confermano come 4K, 60 fotogrammi al secondo e interazione ambientale siano ancora un tris difficile da assemblare.
Nella sezione cooperativa si trova l’inedita Fuga. Giocando in questa modalità il giocatore dovrà unirsi ad altri due COG e sferrare un attacco dentro un alveare dello sciame, piantandone in pieno centro una granata che rilascia gas venefico, da cui fuggire velocemente sino a raggiungere l’uscita della struttura. Fuga ribalta totalmente il modo di giocare rispetto a Orda. Se in quest’ultima infatti bisogna difendere una zona mantenendo la posizione in modo abbastanza statico, qui la priorità è correre e falciare qualsiasi cosa si ponga sul proprio cammino, costantemente tra incudine (il diffondersi del gas velenoso) e martello (i nemici che si frappongono dinanzi al portone). Il cambio di ritmo è dettato anche dall’impellenza di recuperare colpi. Si parte armati di sola pistola e le munizioni successive possono essere strappate, in larga parte, dai cadaveri della locuste abbattute, le quali conferiscono ben poco rifornimento (un colpo di fucile di precisione o tre di Gnasher, per esempio). Fuga diventa una corsa disperata verso l’uscita, una missione ad alto rischio incentrata su tre personaggi specifici, ciascuno dotato di abilità ben precise, alcune delle quali potenziabili tra un sistema di carte e punti esperienza.
Orda chiude il comparto PVE in parte riconfermandosi come pezzo fondamentale, in parte mostrando un grosso passo indietro. Sul piano ludico le regole restano pressoché invariate, una squadra di cinque giocatori deve resistere a 50 ondate di nemici gestite dal computer a difficoltà crescente. Come in Gears of War 4 si sceglie un ruolo specifico come attaccante, ingegnere, scout, etc., ciascuno dotato di funzioni diverse e si usano le carte equipaggiabili per ottenere bonus consistenti. La differenza però è che giocando in matchmaking (senza aprire manualmente una stanza personalizzata) anche solo a difficoltà intermedia, qualora l’intera squadra venga sconfitta, non sarà possibile ritentare l’ondata fallita, ma sarà game over secco. Giocare a facile permette la ripartenza, ma data la semplicità, la ripetitività sarà tale da invogliare a non usarla se non come tutorial iniziale. A difficoltà maggiori completare l’orda senza fallire mai neppure un’ondata, non sarà altrettanto scorrevole. I motivi sono diversi: sia per la maggiore resistenza dei nemici, sia perché mantenere sino alla fine una squadra di cinque elementi (qualora assemblata in matchmaking con giocatori casuali) è da sempre un’impresa e giocando in pochi o con i bot si finisce spesso per essere soverchiati indipendentemente dalla qualità della prestazione. Pertanto anche solo un’orda a difficoltà intermedia innesca una dipendenza dai potenziamenti delle carte, le quali possono essere migliorate con un ciclo di grinding e punti esperienza in modo simile a Gears of War 4 (dove invece era possibile ritentare un’ondata anche a difficoltà elevata). Ciò che rende le cose più stoppose è proprio l’impossibilità di continuare, causando frequenti game over che potranno essere arginati solo dopo un grinding costante di punti per migliorare i bonus conferiti dalle carte. L’alternativa è comprare punti ferro con le microtransazioni in gioco e usarli per velocizzare l’acquisto dei potenziamenti legati alle carte. Una certa corsa alla microtransazione è riscontrabile anche nelle condizioni per sbloccare le personalizzazioni estetiche, decisamente lunghe e orientate al grinding anch’esse.
Il multigiocatore competitivo rimane il punto fermo di Gears of War come titolo esport, presentano una serie di modalità ormai rodate come Deadmatch a Squadre, Re della Collina, Esecuzione o Guardiano, che garantiscono una buona esperienza PVP. In questo versante si esprime forse il meglio del comparto online di Gears, grazie a un’impostazione ormai tipica del modo di intendere gli sparatutto competitivi in stile Epic Games. Questa forse è la sezione che include meno variazioni e non è necessariamente un difetto, in quanto la formula shooter arena non necessita di troppi stravolgimenti, risultando coinvolgente anche per il solo divertimento che riesce a creare con meccaniche semplici, ma funzionali. Rimane centrale l’utilità di armi come lo gnasher o del wallbounce come manovra, divenuti ormai parte essenziale di ogni giocata di alto livello al punto di limitare la varietà, senza lasciare molto spazio all’utilizzo di armi nuove, che seppur presenti non risultano incisive quanto il caro vecchio fucile a pompa (diventato L’arma per eccellenza dei giocatori di Gears, ben più del Lancer). Per chi invece voglia una parentesi di introduzione più morbida e flessibile, può dedicarsi ad Arcade, dove si seleziona un personaggio dotato di fucili e caratteristiche proprie, nonché di una serie di ricompense punti che conferiscono armi di alto calibro.
Arcade stravolge abbastanza le regole di Gears or War come gioco, risultando uno strano ibrido tra un multigiocatore Arena e un titolo basato sugli specialisti come Rainbow Six o Overwatch. E’ facile che questa non sia stata pensata per il pubblico abituale di Gears, ma per uno neofita o più occasionale, in quanto la cura per il bilanciamento qui si fa più libertina, se non selvaggia; molti specialisti godono di ricompense dal potere devastante (come Keegan o lo Scion), riscattate le quali possono ottenere facilmente una serie di uccisioni tale da riscattare poco dopo una nuova ricompensa e mantenersi costantemente in condizione di superiorità di fuoco (“quando l’uomo con il lanciarazzi Salvo incontra l’uomo con il Lancer, l’uomo con il Lancer è morto”, verrebbe da parafrasare un celebre western). Rimane comunque abbastanza giocabile, forse non adatta a soddisfare i veterani, ma varia quel quanto che basta per gli altri.
Nota negativa però il netcode. Da sempre un punto debole della serie (seppur parzialmente risolto nel terzo capitolo), il netcode produce sovente casi di lag o problemi di matchmaking piuttosto gravi. Si va da tempi elevati per assemblare una lobby in alcune modalità di gioco, a disconnessioni saltuarie (tipo sganciati da una sessione di Re della Collina durata venti minuti ad un passo dalla conclusione), errori nel recuperare i dati a fine partita, ping astronomici, sino ad una latenza nel calcolare il rilevamento dei danni che ci riporta agli incubi dell’Host Power dei primissimi Gears. Seppur la situazione sia meno tragica rispetto i primissimi giorni, l’insieme continua ad essere scricchiolante e ampiamente migliorabile.
Gears 5 è un gioco con un'offerta contenutistica ricca sia nel single player che nel multi, coprendo in questa parte sia il PVE cooperativo, che il PVP competitivo. La campagna presenta una narrazione più approfondita e una caratterizzazione migliore di personaggi e ambientazione, oltre che fasi sandbox più ampie e missioni secondarie. Sono presenti comunque dei grossi limiti dovuti forse al suo inserimento immediato nel catalogo GamePass. Solo metà della campagna si stacca dalla sua tipica linearità, inoltre la modalità Orda ora aggiunge dei paletti piuttosto fastidiosi volti a porre l'amletico dubbio tra il comprare microtransazioni o dedicarsi al grinding (necessario anche per personalizzazioni estetiche, ma almeno opzionali). Persiste inoltre un netcode spesso zoppicante.
DurataGears 5 raggiunge la vetta grafica di questa generazione di console, ma sopratutto si conferma uno dei giochi più adatti a mettere in mostra le robuste specifiche tecniche del modello X, il quale consente di raggiungere i 60 fotogrammi al secondo anche nella campagna. Solida la frequenza anche nel comparto multigiocatore su modello base, garantendo prestazioni fluide anche su modello base, oltre che un dettaglio generale molto elevato.
Un tema principale solenne e maestoso, a cui si unisce una colonna sonora sempre adatta a qualsiasi situazione o frangente. Merito del compositore Ramin Djawadi, già apprezzato per la colonna sonora di Pacific Rim.
Gears 5 si conferma sempre giocabile, sia come titolo single player, che cooperativo o competitivo. In qualsiasi modalità, le sue meccaniche sparatutto risultano gradevoli anche se non sempre innovative o rimaneggiate in modo convincente (vedi Arcade). La presenza di grinding per spingere verso le microtrandazioni in Orda e un netcode fallace in Versus ridimensionano quello che poteva essere un voto più alto.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Bella recensione. Sia Gears 4 e 5 mi fanno rosicare di non avere una Xbox One X.
Saga stragiocata sulla X360 in co-op.
Grazie. Considerando che per Gears4 hanno rilasciato una patch per il supporto a One X successivamente, magari faranno la stessa cosa per Gears5 quando uscirà Xbox Scarlet, migliorando ulteriormente la grafica. Il motore mi sembra molto scalabile verso l’alto ancora.
Ho adorato i primi 4 su 360,ai tempi erano dei piccoli capolavori.
Ma ora col 4 e 5 parecchio simili tra loro,io che gioco in single play devo dire che a me hanno stufato..attendo un qualcosa di nuovo prosssimamente.