Con Gameplay Cafè abbiamo lavorato alacremente per essere pronti oggi, alla scadenza dell’embargo di uno dei titoli più attesi dai possessori di PlayStation 4: ce l’abbiamo fatta!
God of War è finalmente qui e, al netto delle rotture di day one che sempre di più mitigano quella sensazione meravigliosa di giocarlo tutti assieme, questa recensione sarà priva di spoiler particolari: non vorrei scatenare la vostra furia di Sparta e vedervi sotto casa con i forconi, o meglio ancora con delle asce simili a quella del protagonista.
Bando alle ciance, sono passati due anni dall’annuncio ufficiale, ventiquattro mesi pieni di congetture sulla nuova ambientazione norrena e sulle modifiche apportate al gameplay (☕️) da parte di Sony Santa Monica.
Ebbene, c’è molta più coerenza di quanto possa sembrare inizialmente rispetto ai predecessori, sia da un punto di vista narrativo che non. God of War è un nuovo inizio per un vecchio amico, qualcosa di più maturo ma al contempo familiare, che quando vuole sa cambiare le carte in tavola.
E sì, è diventato un Action RPG, ma non di quelli con decine di missioni secondarie che fungono da riempitivo; mi ha ricordato avventure con un grande senso di progressione quali Soul Reaver e Darksiders, perfino i The Legend of Zelda prima di Breath of the Wild.
L’assenza del salto manca come può mancare in un Gears of War – ovvero poco in ottica del gameplay proposto – la nuova tipologia di visuale offre un contatto più intimo con Kratos e le sue uccisioni, il modo di affrontare gli avversari cambia tra le prime battute dell’avventura, quelle avanzate e le conclusive.
Ma facciamo un passo indietro, esaminando il contesto della nuova produzione Santa Monica.
Kratos e Atreus si trovano giocoforza a dover lasciare il luogo nel quale vivono, per imbarcarsi in un’avventura epica dominata dalla mitologia nordica, tra leggende legate ad Odino, ghiacciai, laghi e luoghi onirici, quasi fiabeschi.
Un rapporto padre-figlio complicato, nel quale il carattere di Kratos è familiare: burbero, risoluto, incurante del contesto e del mondo, con il quale interagisce solo per sopravvivere ed ottenere quello che gli serve; sempre incline a nascondere una qualche sofferenza, ben radicata nella sua mente.
Atreus è un ragazzino determinato ma ingenuo, curioso, in grado di leggere le rune magiche che raccontano la storia di questo mondo. Ancora non distingue esattamente il bene dal male, i buoni dai cattivi, sempre pronto ad aiutare i personaggi sconosciuti che incontra durante il cammino.
Per fortuna il ragazzo non vi tedierà l’esistenza parlando costantemente a sproposito o diventando un peso per Kratos. Anzi, il rapporto tra i due evolve costantemente, non soltanto dal punto di vista relazionale, ma anche rispetto al gameplay vero e proprio. Atreus, infatti, riesce ad utilizzare il proprio arco e le qualità fisiche con sempre maggiore efficacia, spesso e volentieri in maniera indipendente, perché non c’è un controllo diretto al di là dell’utilizzo del tasto quadrato, per chiedergli di scagliare le frecce nella direzione ideale.
Laddove quindi Atreus si limiterà inizialmente a distrarre i nemici e ad essere spesso e volentieri indifeso, proseguendo gli salterà in groppa per fermarne i loro attacchi, oppure avviserà Kratos dei fendenti che minacciosi gli arrivano alle spalle. Sempre senza esagerare, sempre senza rendere gli avvenimenti scontati o sbilanciati, ma anzi seguendo appieno quella progressione di cui ho già parlato poco sopra.
Sotto questo aspetto è evidente che i Santa Monica sono andati a scuola da Naughty Dog: la narrazione si prende tutto il tempo necessario per garantire un senso di scoperta e di esplorazione, sostenuta dalle lunghe traversate che ben rendono l’idea del passaggio da una pianura ad una montagna, da un’ambientazione a quella successiva. Dialoghi lunghi il giusto, che fanno meglio comprendere cosa sta succedendo o per approfondire un determinato personaggio.
C’è molta cura per gli elementi importanti ma anche per i dettagli; gli sviluppatori non hanno lasciato nulla al caso e di questo ne beneficiano sicuramente il design del mondo di gioco e tutto quello che si può fare all’interno della produzione di Santa Monica.
Atreus spesso e volentieri fa affermazioni contestualizzate a quello che sta succedendo, anche in casi poco prevedibili. Vi faccio un esempio: ad un certo punto dovevo attivare un dispositivo con la pressione del tasto, dopo averlo agganciato; siccome mi ero fermato un momento per fare delle cose mie, Atreus ha cominciato una conversazione relativa a Kratos con un altro personaggio, che esclamava: “Ma non mi ascolta?” e Atreus “Fa così ogni tanto”.
Il doppiaggio italiano è decisamente sopra la media a cui siamo abituati; Pierluigi Astore ha un timbro di voce inizialmente spiazzante per chi è abituato agli altri capitoli, ma in realtà il suo tono grave, compassato, “maturo”, alla fine risulta azzeccato per l’ epopea che affronta il protagonista principale. La voce di Atreus, dietro cui si cela Leonardo della Bianca, è giovanile ma non risulta fastidiosa, se non quando il ragazzo tempesta di domande il padre, che a sua volta lo zittisce con poche efficaci parole.
Ma torniamo al gameplay: l’ascia di Kratos, il Leviatano, è la protagonista assoluta; può essere lanciata mirando con L2 e utilizzando R1 o R2 e man mano che il personaggio crescerà, assumerà funzioni aggiuntive. Col tasto triangolo è possibile richiamarla con un’animazione che restituisce appieno la potenza di tale arma e di Kratos, che può combattere anche a mani nude sempre con gli stessi dorsali destri.
La doppia pressione del tasto X attiva la schivata, L1 lo scudo, che se utilizzato al momento giusto permette di deflettere (quasi) tutti gli attacchi avversari. Se utilizzato in congiunzione col cerchio e i dorsali di destra permette di utilizzare una serie di abilità aggiuntive, che dispongono di un tempo di ricarica.
In corsa con tanto di salto finale al lancio caricato dell’ascia, passando per prese, attacchi ad area e specifici, il sistema di combattimento di God of War è in realtà ben articolato, rifuggendo paragoni impietosi verso la semplicità di quelli offerti ad esempio da Hellblade o Ryse.
Col proseguire dell’avventura si accede ad abilità e combinazioni avanzate, con diversi nemici su schermo che attaccano in contemporanea e dispongono di un campionario di mosse non banale.
E allora ci si diverte a inanellare attacchi, sfruttare le abilità di Kratos, lanciare l’ascia e poi buttarsi in mischia, sfruttare Atreus per soluzioni aggiuntive, evitare attacchi di fuoco, velenosi, di ghiaccio, di lampo, elementi molto comuni nella mitologia nordica.
Il primo combattimento col boss è spettacolare, sorprendentemente fluido e dinamico in barba all’apparenza statica del sistema di combattimento; la varietà degli avversari c’è, eccome.
Ci sono anche tanti cosiddetti mid-boss, ma sicuramente questo è l’aspetto che non riesce a raggiungere la magnificenza di un God of War III, che ti sparava letteralmente in faccia una serie impressionante di cattivoni dell’Olimpo per coinvolgerti in combattimenti spettacolari. Anche questo capitolo ne è ricco, sia chiaro, soprattutto due-tre occasioni meravigliose per spettacolarità e sceneggiatura. Quelli di mezzo si alternano tra il classico e il soddisfacente, però, anche perché l’avventura è più corposa e sfaccettata, diluendo tali parti rispetto ai capitoli precedenti.
Ci troviamo quindi su un gradino qualitativamente inferiore – ma non negativo! – mentre è l’esplorazione ad offrire la differenza più marcata.
Differenza che però può essere facilmente interpretata come un’evoluzione per la serie di God of War, cambiamento dal mio punto di vista assolutamente comprensibile anche perché la formula era arrivata probabilmente al capolinea per i tempi moderni.
Per completare il gioco ci vogliono ben oltre le venti ore, più di trenta se si compiono tutte le attività disponibili. Vi sono infatti cose da fare e scoprire dopo la conclusione della storia principale. Nel momento in cui si raggiungono determinate ambientazioni si può decidere se proseguire dritti verso il proprio viaggio oppure esplorare sezioni laterali, che portano a santuari, missioni secondarie che approfondiscono la mitologia norrena, tesori da scoprire, equipaggiamenti aggiuntivi. Mai niente di banale, mai riempitivi.
Non mancano puzzle ambientali: niente di troppo complesso ma talvolta bisogna studiare bene l’ambientazione, talvolta utilizzare la propria ascia in modo “creativo” per sbloccare il passaggio o accedere a delle casse in grado di offrire un bottino vantaggioso.
La sfida è ben bilanciata, già a partire dal secondo dei quattro livelli di difficoltà disponibili. Da buon action RPG, inoltre, ci sono delle zone e dei passaggi facoltativi per i quali il grado di forza dei nemici è più alto rispetto a Kratos, e bastano un paio di colpi ben assestati per mandarlo al tappeto.
State tranquilli, la progressione non prevede che il protagonista raggiunga il livello 99 con decine di statistiche accluse.
Dopo poco più di dieci ore, ad esempio, il Kratos della mia partita si trovava al livello 3, derivato dalla somma delle caratteristiche dell’equipaggiamento e delle abilità in proprio possesso.
La crescita quindi non è quella classica da gioco di ruolo, ma è sempre tarata sull’avventura di Kratos, il quale acquisisce nuove abilità dalle rune, può potenziare il proprio Leviatano da alcuni personaggi e può venire in possesso di un equipaggiamento inedito che ne aumenta le caratteristiche fisiche. I punti esperienza maturati, invece, servono per apprendere le abilità disponibili.
Da qui il paragone più con Darksiders e Soul Reaver che con altri Action RPG canonici: è tutto volutamente ragionato ma non privo di momenti frenetici. Progressione al servizio di narrazione ed avventura, non delle statistiche e dei numeretti.
Graficamente l’epopea di Kratos e Atreus è perfettamente rappresentata, con ambientazioni che si perdono a vista d’occhio, strutture imponenti e ottima varietà visiva. La telecamera fa egregiamente il suo lavoro, la cura per il dettaglio si ritrova anche sulle texture e in alcuni elementi, se vogliamo secondari. Mancano quella pulizia grafica o le animazioni proprie di Uncharted 4, anche gli scorci incredibili dei precedenti capitoli – vuoi anche per la visuale ravvicinata e la telecamera “libera” – ma ci troviamo sicuramente a livelli molto alti rispetto ad una produzione su console.
La realizzazione di Kratos è eccellente, sia dal punto di vista poligonale che di dettaglio e riesce ad amplificare il carisma del personaggio, evidente in tutte le sue sfaccettature. Atreus è meno impressionante ma egualmente ben fatto. Gli sviluppatori si sono sbizzarriti dal punto di vista artistico nella trasposizione della mitologica nordica, con colori accesi o spenti a seconda dei casi, giochi di luce di grande impatto, avversari ben caratterizzati e diversificati tra loro.
Tra la modalità performance che sblocca il framerate sopra i trenta fotogrammi al secondo (raramente a sessanta), e quella che aumenta la risoluzione fino a 4K checkerboard (oppure supersampling su TV 1080p) ho scelto la seconda, preferita per il maggior dettaglio , al netto di qualche scatto o cedimento non particolarmente fastidioso. Il supporto HDR è la solita ciliegina sulla torta in grado di esaltare il sistema di illuminazione.
La colonna sonora è l’elemento principale che mi ha fatto emozionare mentre assistevo dal vivo all’annuncio del gioco, durante l’E3 di Los Angeles del 2016. È di gran pregio e idonea a cadenzare sia i cambi di ambientazione che i momenti topici, accompagnando l’esplorazione con quel senso genuino di scoperta.
Ho giocato God of War su PlayStation 4 Pro e due account differenti per utilizzare più slot di salvataggio scopo acquisizione gameplay. Cosa non si fa per una videorecensione 🙂
DurataGod of War è il sequel che poteva e doveva avere la saga creata da Sony Santa Monica. È un titolo moderno e appassionante; un’avventura meravigliosa raramente uguale a se stessa, in grado di trasmettere al giocatore sezione dopo sezione un senso di scoperta, di viaggio e di curiosità verso l’evoluzione del rapporto tra Kratos ed Atreus. Un qualcosa per certi versi inaspettato, che ti fa vivere in prima persona qualcosa di inaspettato ma così in grado di metterti a proprio agio.
Certo, dopo il terzo capitolo l’assenza di qualche boss più spettacolare manca e i ritmi sono più ragionati rispetto a quelli a cui siamo abituati, ma complessivamente God of War offre molto di più in termini di contenuti e colpi di scena narrativi, un titolo ancora al passo con i nostri tempi insomma, che ha saputo evolversi.
Solo gli estremisti ancorati alla serie originale avanzeranno lamentele più articolate, probabilmente non contestualizzando le sue dinamiche ad oggi; dal mio punto di vista Santa Monica ha messo le basi per una nuova fantastica epopea videoludica che ha tratto il meglio da una saga importante per molte generazioni di giocatori.
Kratos è tanta roba, la varietà visiva importante, in generale grande impatto complessivo soprattutto per quanto riguarda la mole poligonale. Non ci sono picchi offerti ad esempio da un Uncharted 4.
Doppiaggio in italiano sopra la media, colonna sonora epica e perfettamente in grado di accompagnare quello che si vede a schermo.
Narrazione, esplorazione, scoperta, azione. God of War rende al massimo in tutti questi aspetti, proponendo un design del mondo di gioco grandioso e appagante. Combattimenti molto più fluidi e dinamici di quanto si pensi, alcuni boss sono memorabili ma complessivamente non c'è un'offerta in tal senso come quella del terzo capitolo, altrimenti voto ancora più alto.
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Ottimo ritorno del Fantasma di Sparta.
Gran gioco,bellissima storia,davvero una gran gran figata.