La pixel art ci ricorda i tempi in cui non esistevano tutorial al di fuori del manualetto di istruzioni e in cui la difficoltà era generalmente elevata e tarata su di un livello che oggi consideriamo da esperti. Hyper Light Drifter sembra quasi creato in quel periodo, stagliandosi con una grafica retrò semplice ma stilosa e una giocabilità che non fa sconti a nessuno.
Tutto inizia con una sequenza composta da immagini silenti, dei giganti minacciosi sovrastano fisicamente il protagonista. Tuttavia in un attimo questi si polverizzano, lasciando presagire che il nostro sia in lotta contro qualcosa di ben più pericoloso, scosso dall’urgenza di scongiurare i suoi incubi, ma indebolito al pari del mondo disastrato che lo circonda. Una narrativa muta, portata avanti da schegge di quadratini spigolosi, eppure dotata di raffinatezza e forza suggestiva. Basta lo sgretolarsi dei colossi imponenti per farci capire la gravità della situazione, l’importanza della missione e la sproporzionata minaccia che bisogna respingere. Immagini ruvide e silenzi che quindi non sono un limite, ma sanno farsi capire bene, trasmettendo lo stesso impatto visivo con cui Hayao Miyazaki ha ipotizzato il cataclisma nelle sue opere ammonitorie come Nausicaa e Laputa.
Addentrandosi nell’esplorazione del mondo si manifesta il parallelo con un’altro Miyazaki: Hidetaka, il creatore della serie Dark Souls (senza dimenticare Demon’s, Bloodborne e alcuni Armored Core). Il confronto con i Souls non è tanto legato alle meccaniche quanto all’impostazione, al dover fallire e ritentare passaggi e scontri contro i nemici, facendo conoscenza con il gioco anche attraverso la sconfitta, per impararne le dinamiche.
La giocabilità ricalca anch’essa i giochi d’azione anni 80-90, influenzati da una difficoltà esigente e incentrati su meccaniche che per essere padroneggiate richiedono un misto di conoscenza del titolo e abilità. La seconda metà del lavoro difatti sta nell’esecuzione delle tecniche, che necessita una maturazione del giocatore nel loro utilizzo. Il risultato finale è un’esperienza piuttosto impegnativa, adatta a chi cerca una giocabilità consistente, da domare al pari di un cavallo selvaggio, che se affrontato con superficialità, finisce per disarcionare il suo cavaliere.
I comandi sono semplici e le azioni di base intuitive, nonostante manchi un tutorial che sarebbe utile per comprendere meglio alcune meccaniche. Lo scatto ci permette di saltare lungo le piattaforme, aggirare ostacoli, fossati, ma è indispensabile pure in combattimento, non solo come strumento di difesa per schivare, ma anche come offesa per caricare i nemici. Gli attacchi invece prevedono l’uso della spada e di una pistola che si ricarica grazie ai fendenti inferti, un binomio che mantiene dominante lo scontro ravvicinato.
Andando avanti si possono ottenere abilità nuove, ma bisogna sempre saperle utilizzare. La progressione nel gioco non garantisce un potenziamento automatico, magari ottenuto semplicemente accumulando statistiche come in altri titoli. Il giocatore rimane sempre artefice della sua vittoria o della sua sconfitta, imputandosi ogni fallimento o celebrandosi per ogni successo.
Il viaggio invece parte da un villaggio centrale in cui è necessario riattivare un dispositivo situatovi in mezzo; lo scopo e il trampolino di lancio di questa avventura lungo le macro aree principali, suddivise a loro volta in altre sezioni. Nonostante possa esserci qualche somiglianza con la visuale e l’esplorazione di Zelda 3, il ritmo è diverso, alternando dei combattimenti furiosi, serratissimi e sanguinari, che non lesinano di alzare la tensione, con un vagabondaggio e una ricerca talvolta pacifici, dove il giocatore è immerso in una natura pervasa da templi e rovine, con strutture tecnologiche che fanno capolino da architetture marmoree provenienti da un’altra epoca.
Un connubio anacronistico tra calda terracotta e freddo acciaio, tra foreste ghiacciate e ascensori costellati di luci al neon e porte laser. Una coesistenza riuscitissima tra due opposti apparentemente inconciliabili, un continuo “strappo coeso” (un’ossimoro impossibile tipo “ghiaccio bollente”, ma qui reso reale) tra i diversi tempi di esplorazione e lotta, e i diversi richiami dell’ambientazione.
A rendere ancora più permeante questa sensazione sono le musiche, anch’esse minimali e dosate, come la grafica, eppure capaci di riempire i momenti senza dire niente di più di ciò che serve a suscitare una certa emozione nel giocatore o a sottolineare un certo aspetto. Piccoli tocchi di piano, alternati da una pausa che lascia riecheggiare l’ultima nota, lasciandoci il tempo di assaporarla e fonderla con l’aspetto visivo, oppure effetti sonori inseriti con precisione e senza essere ridondanti.
La grafica in pixel talvolta è scarna, ma suggestiva e bene animata. Questo stile è stato sfruttato riempendo ogni schermata di sfumature e colori, ricercando un’estetica minimale sul piano estetico.
Gli ambienti sono la parte migliore, nonostante nei personaggi si riscontra una pochezza piuttosto sgradevole, che rende parecchi di questi poco più che un grumo incongruente di quadratini, al punto che spesso guardando un singolo fermo immagine neppure si riesce a capire cosa si sta osservando. Migliorano le cose con il gioco in azione, proprio grazie alle succitate animazioni, che valorizzano molto la resa finale. A proposito di difetti bisogna citare l’interfaccia che parla esclusivamente per immagini, anche quando deve suggerire al giocatore l’obiettivo da conseguire o in cosa consista l’interazione con un determinato punto, producendo un certo spaesamento o un frequente vagabondaggio senza meta, in cerca di soluzioni.
Hyper Light Drifter è capace di unire idee e giocabilità in un dipinto suggestivo. L’ambientazione è ispirata e sorretta da una grafica pixel minimale ma accattivante, accompagnata da un comparto sonoro che coadiuva perfettamente il trasporto del giocatore nel mondo visitato. La giocabilità è impegnativa ma appagante, proponendo un’esperienza tipica dei videogiochi dal ritmo furioso e dalla sfida stimolante.
Hyper Light Drifter è distribuito in formato digitale per Playstation 4, Xbox One, Pc e recentemente anche per Switch. In quest'ultima versione sono state aggiunge poche cose, come due nuove armi e un oggetto che aiuta a trovare oggetti da raccogliere, oltre che la nuova Tower Climb. Si tratta però di piccole aggiunte, nulla che da solo valga il riacquisto qualora lo si sia già giocato altrove due anni or sono, quanto un omaggio per farsi scusare del ritardo nel convertirlo per console Nintendo.
DurataLa pixel art utilizzata nel gioco riesce produrre scorci e paesaggi incantevoli, utili a valorizzare l'ambientazione. I personaggi però si riducono sovente a poco più che un ammasso di pixel confusi e raffazzonati. Le animazioni però sono realizzate piuttosto bene e rendono l'insieme più gradevole in azione, rispetto alle semplici schermate statiche.
Una colonna sonora che mescola alla perfezione silenzi e musiche, asciugando l'avventura dai dialoghi per lasciare scorrere immagini e atmosfere con una potenza suggestiva notevole. I temi musicali sono adatti all'ambientazione, foderandola con garbo e delicatezza, come un guanto.
Un gioco preciso come un orologio svizzero, esigente, ma con un'attenzione a rendere le sue sfide coerenti con la sua giocabilità e le meccaniche su cui basa.