Da molti anni, ormai, NBA 2K, la popolare saga sportiva di Visual Concepts prodotta da 2K Sports, è assurta allo status di migliore simulazione elettronica di pallacanestro. D’altronde basta aver giocato almeno una volta a uno dei titoli che formano la serie, specialmente gli ultimi, per rendersi conto che tale fama è meritata, ed è stata conquistata realmente sul campo.
NBA 2K19, lo diciamo subito, dimostra in tal senso ancora una volta la grande passione degli sviluppatori per questo sport, che poi è, a loro dire, il motore che li spinge a cercare di migliorare la serie di anno in anno. E anche in questo, pur non rivoluzionando la loro creatura rispetto all’edizione passata, con una serie di ritocchi sono comunque riusciti a regalare al pubblico un’edizione ancora più completa di quella che l’ha preceduta.
Come sempre ci sono tantissime modalità, da quelle per un divertimento rapido, come per esempio Blacktop, a Stagione e La Mia Lega, la carriera classica che dura 80 anni, con tutte le varianti e le opzioni anche per il gioco sulla rete. E ancora, Playoff, per chi vuole partire direttamente dalla post season, e La Mia Squadra, l’equivalente di Ultimate Team di FIFA.
All’interno della modalità si possono sfruttare degli appositi crediti per costruire da zero una squadra composta da giocatori attuali e da leggende, con una nuova serie di sfide per giocatore singolo disponibili ogni settimana e Unlimited, una modalità online competitiva che consente ai giocatori di usare le loro migliori carte senza restrizioni per vincere fino a 250.000 dollari e volare a Charlotte per assistere dal vivo all’NBA All Star Week.
Fulcro principale dell’esperienza resta però la modalità La Mia Carriera, dove il giocatore interpreta un giovane che dopo aver fallito in patria, emigra in Cina per tentare di risalire la china.
Una scelta narrativa che ho apprezzato particolarmente perché mi ha permesso di “esplorare” idealmente un mondo nuovo a livello sportivo, ma anche “vivere” l’esperienza di un ragazzo immaturo, con i suoi tormenti interiori, le sue delusioni e le incertezze che lo portano a patire in un “mondo” dove fatica a integrarsi.
È finalmente possibile saltare le scene di intermezzo, e perfino l’editor col quale creare il proprio alter ego virtuale è degno di essere chiamato con questo nome rispetto a quello scarno dello scorso anno. Al suo interno, infatti, troviamo gratis di tutto per personalizzare il nostro alter ego virtuale: decine di capigliature barbe, segni distintivi, oggetti e via discorrendo.
Torna il Quartiere, una sorta di open world nel quale Il Mio Parco, Pro-Am e La Mia Carriera sono parte integrante di un mondo condiviso dov’è possibile interagire direttamente con altri giocatori, anche reali, dentro e fuori dal campo di basket. Quest’anno sono state migliorate le funzioni social, esplorare le aree è diventato meno dispersivo ed è stato introdotto un ciclo giorno/notte che influisce su alcuni degli aspetti della “vita” dei personaggi e sugli eventi.
All’interno del quartiere si possono visitare luoghi come palestre e campetti urbani dove cimentarsi in sfide di ogni tipo, dal dodgeball alle partite con trampolini da usare per saltare a canestro, fino ad avvincenti match 3 contro 3 all’interno del Jordan Rec Center, oppure negozi dove acquistare gadget o punti per personalizzare e potenziare il personaggio.
E qui entra in ballo la spinosa questione delle microtransizioni: queste sono presenti, sono meno invadenti rispetto allo scorso anno, ma possono lo stesso influire negativamente sulla progressione in un paio di modalità online, almeno all’inizio.
Secondo me restano però un problema relativo, in primis perché sono solo un incentivo agli utenti più pigri, o comunque poco avvezzi al sacrificio, a ottenere miglioramenti senza impegnarsi più di tanto, e non alla stragrande maggioranza degli utenti che invece predilige giocare “pulito”.
Di fatto non si è obbligati a utilizzarli. In secondo luogo, poi, perché si tratta di un fenomeno comunque destinato a scemare nelle prime settimane di gioco, quando aumentano i giocatori “normali” coi loro atleti e i loro team a equilibrare il tutto.
Bastano infatti una certa costanza e la partecipazione alle tante attività extra offerte dal gioco per poter ottenere sul campo ciò che serve, col tempo, per la crescita del proprio atleta virtuale e della propria squadra, così da poter competere alla pari anche con chi ha usato i soldi e magari nemmeno si fa più vedere sui server perché una volta raggiunto di livello dalla “massa”, non sa più vincere o non ha voglia di competere alla pari.
Insomma, la presenza di microtransizioni resta fastidiosa, e comprendiamo lo sdegno di quegli utenti che giustamente non amano ricorrere a certi mezzucci, ma da sola non basta a rendere cattivo un titolo che offre una miriade di competizioni, contenuti e divertimenti.
L’altra modalità di punta della produzione è Il Mio GM dove gestire una squadra della NBA dai rapporti con la stampa all’organizzazione dell’allenatore e dello staff, fino alle partite vere e proprie. Le novità secondo me più interessanti di quest’anno sono legate al Draft: quello “normale” offre più statistiche per ogni giovane atleta, facilitando all’utente l’analisi dei prospetti.
Quello “opzionale” consente invece di importare le classi storiche del 1960, 1965, 1969, 1970, e così via, fino al blocco 1976-2017. Questo significa che si possono ingaggiare vecchie leggende del passato come Kareem Abdul-Jabbar, Earvin “Magic” Johnson o Michael Jordan, ma in giovane età.
Sempre legato alla figura della matricola, ma stavolta dal punto di vista del gameplay, è il Mentore, un veterano della squadra che il manager assegna a un giovane per aiutarlo a inserirsi meglio nel gruppo e a crescere, influenzando il suo stile di gioco e i caratteri distintivi.
NBA 2K19 non stravolge nemmeno le meccaniche di gioco, che quindi poggiano come sempre su quelle ottime collaudate in questi anni. Ci sono però anche qui una serie di ritocchi che vanno a migliorare decisamente l’esperienza, a cominciare dalla funzione Impeto, un potenziamento temporaneo legato all’archetipo dell’atleta che una volta attivato garantisce un bonus temporaneo alle sue statistiche e lo sblocco di mosse speciali in grado di esaltare le qualità sue e della squadra.
Ma non aspettatevi effetti speciali o giocate da Superman: Impeto è un elemento importante nell’economia di gioco di NBA 2K19, però funziona senza eccessi e senza sbilanciare certi meccanismi di gioco.
NBA 2K19 premia il possesso palla, la tattica, la capacità di saper leggere l’azione in attesa dell’attimo giusto utile per aprire la difesa oppure tentare la giocata o, viceversa, di operare un blocco, rubar palla e ripartire con un rapido contropiede. In tal senso c’è un apposito algoritmo che calcola il livello di vulnerabilità nel controllo della sfera da parte dell’atleta che ne è in possesso, ed è finalmente possibile intervenire per rubar palla all’avversario distratto o che non la protegge adeguatamente in palleggio, a patto di scegliere bene il tempo.
Gli atleti usano molto il fisico, e quindi per superarli è necessaria una buona tempistica e una attenta valutazione dell’azione in corso, senza troppe improvvisazioni.
Ma quando alla fine, dopo tanto allenamento riesci a eseguire uno splendido alley-oop col compagno che salta, afferra la palla al volo e la schiaccia a canestro è una soddisfazione incredibile, credetemi.
In tal senso sono state riviste anche le situazioni di uno contro uno, che la scorsa stagione premiavano maggiormente l’attaccante a discapito del difendente, e perfino le transizioni ci sono sembrate più logiche sia in fase difensiva che offensiva, specie nella disposizione veloce degli atleti nelle rispettive “corsie”. Gli atleti sembrano insomma più intelligenti e avere una maggiore presa di coscienza su quando e come raddoppiare o tagliare.
Questo aspetto, unito a una migliorata gestione generale della difesa sotto canestro (bisogna contenere e prendere posizione manualmente agendo sull’analogico destro, il dorsale LT/L2 non serve più per pressare) e dell’intelligenza artificiale, soprattutto a livello di difficoltà più avanzata, rendono l’esperienza più equilibrata e per questo piacevole.
Un altro aspetto del gioco che mi è piaciuto particolarmente, ma su questo avevo pochi dubbi fin da prima di recensirlo, è il comparto tecnico. Come ogni anno è curato sotto tutti i punti di vista con una grafica dettagliata, dove ogni scritta, banner, atleta, arena o maglia è riprodotta con una fedeltà a dir poco maniacale. Per non parlare della fluidità delle animazioni e della bellezza e fedeltà di tutti i vari elementi di contorno.
La colonna sonora è curata dal rapper statunitense Travis Scott, ed è caratterizzata principalmente da motivetti Rap e Hip Hop.
Il comparto audio può contare su effetti sonori, musiche, annunci e slogan vari campionati direttamente dalle varie arene NBA e la solita telecronaca in stile televisivo in lingua originale a cui quest’anno si aggiunge la voce del guru del basket americano Bill Simmons. Divertenti come sempre, infine, le battute durante i siparietti del pre gara fra Ernie Johnson e Shaquille O’Neil.
Ho giocato a NBA 2K19 su Xbox One a livello di difficoltà Campione e Superstar. Il titolo è disponibile in edizione standard e 20th Anniversary Edition, con LeBron James come testimonial, l’accesso al gioco con quattro giorni d'anticipo rispetto all’altro e alcuni bonus.
DurataMigliorato in tutto e per tutto, dalle modalità principali alla giocabilità, dalla grafica alle animazioni, NBA 2K19 non delude le aspettative neanche quest’anno, e più che un videogioco sembra la pallacanestro vera. Il titolo continua la tradizione dei capitoli precedenti, migliorando un gameplay già solido per offrire un’esperienza di gioco ancora più precisa e realistica, tale da restituire in modo ancor più fedele la cultura e le emozioni del basket del mondo reale, arricchendo il tutto con un notevole quantità di contenuti. Tutti elementi che mettono a mio parere in secondo piano l’unica nota negativa della produzione, cioè a dire le microtransizioni, come ampiamente spiegato nella recensione.
I modelli poligonali dei giocatori sfiorano il fotorealismo, e ciascuno dei campioni si muove esattamente come nella realtà. Sudore, barba, tatuaggi, maglie, arene, contorno, tutto è reso con una cura del dettaglio davvero maniacale e dobbiamo ammettere che a volte ci siamo ritrovati quasi ipnotizzati davanti alla bellezza della grafica, specie nei replay o nei repentini campi di inquadratura durante la gara.
La telecronaca in lingua originale è piacevole, con tante “voci” anche da bordo campo. Ottima la scelta della colonna sonora, mentre gli effetti sonori in generale sono più che buoni.
Qualche ottimizzazione e piccoli ritocchi alla giocabilità rendono il titolo più simulativo e credibile, ottimi i controlli e tanti i contenuti; nettamente migliorata la storia della modalità La Mia Carriera. Peccato per le microtransizioni che possono inizialmente creare qualche problema in un paio di modalità online, e per un leggero input lag verificato in qualche gara online.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Notifiche
2k nba 17 mi era piaciuto di più,molto più immediato e sicuramente un tantino più semplice e meno tattico.
Le dannate micro transazioni che sono diventate parecchio invadenti da 2k nba 18 in poi, rischiano di rovinare la serie.