Si può azzardare provocatoriamente che Call of Duty ormai è una vittima, vittima del suo stesso successo, rischiando di rimanere schiacciato tra le richieste di un pubblico talmente vasto ed eterogeneo da avere esigenze molto, troppo differenti. Da un lato c’è chi vorrebbe la formula “classica”, dall’altro chi invece si aspetta delle innovazioni. Da un lato il pubblico occasionale, dall’altro quello esport. Qualsiasi cosa gli sviluppatori fanno però, rischia di essere sbagliata, in quanto una soluzione accontenta qualcuno e scontenta qualcun’altro. Lo abbiamo visto accadere negli ultimi anni con la svolta futuristica, implementata per cercare di rispondere alle richieste di novità, che ha avuto un buon riscontro nel settore torneistico, ma che ha fatto inviperire molti altri.
Con WW2 c’è stato un riavvicinamento alle origini dell’ambientazione storica, tuttavia restava imperativo tentare almeno di rinfrescare le meccaniche di gioco, lasciando il compito ancora una volta nelle mani dello studio Treyarch, quello che ha innovato con più efficacia una serie che ormai va avanti da quindici anni. Black Ops 4 risponde a questa esigenza, coniugando una giocabilità affine al filone contemporaneo, con delle meccaniche profonde, dando un colpo al cerchio e uno alla botte.
Il ruolo degli specialisti infatti è stato strutturato per incentivare il gioco di squadra, ma senza arrivare a creare un’ambiente punitivo per chi invece non ha una compagnia abituale di amici con cui trovarsi online. La formula di base rimane ancora fruibile in modo simile a Modern Warfare, ma è nella composizione sinergica del gruppo che emergono le possibilità più interessanti, sia al fine di coinvolgere i giocatori, che di rendere le partite più affiatate.
Una svolta interessante che punta a svincolare le partite competitive dalla sindrome da cane sciolto, dove molti giocatori si buttavano online senza neppure badare alla modalità affrontata, spesso ignorando persino gli obiettivi centrali di Dominio o Cattura la Bandiera, semplicemente per accumulare più uccisioni e vantarsi del proprio RUM (rapporto uccisioni morti, inutile al di fuori di Deathmatch a Squadre) nelle classifiche di fine partita. Che Treyarch voglia disincentivare questo tipo di utenti è suggerito anche dal conteggio delle assistenze come uccisioni, conferma finale di come venga indicato in tutti i modi che la priorità ora e aiutare i compagni.
Le classi ricoprono ruoli abbastanza specifici, magari poco incisivi se usati da soli, ma utili per dare una marcia in più al gruppo, specialmente nelle modalità obiettivo. La scaletta Moshpit Cattura infatti è indicata come voce preferenziale per l’ingresso in matchmaking, proprio perché Treyarch sa che in questo frangente si può vedere il meglio che Black Ops 4 ha da offrire tramite la valorizzazione di ogni singolo specialista, i quali sovente sono limitati ad uno per squadra sia per garantire che queste siano variegate e forzare la collaborazione, sia per mantenere bilanciate le partite. Ogni singolo perk o abilità è inserito con attenzione proprio per evitare combinazioni troppo potenti, forse però al prezzo di rendere alcune cose meno godibili quando si gioca da soli.
Alcuni specialisti infatti perdono gran parte della loro efficacia al di fuori delle modalità a obiettivo (vedi Seraph, con la torretta per creare punti di rientro), mentre altri risultano universalmente devastanti anche in solitario a Deathmatch a Squadre o TuttiControTutti (come il cane del Nomad). Al contrario, il perk del recupero di vita è praticamente irrinunciabile qualora non si abbia copertura affidabile in partita, diventando talmente forte da essere una scelta irrinunciabile rispetto al resto.
Il recupero della vita è l’ultimo grosso cambiamento e ora si assesta su di un massimale di 150 punti, contro i 100 precedenti e avviene manualmente, con l’attivazione di un’abilità. Questo comporta però sia pregi che difetti. Il tempo di abbattimento è drasticamente aumentato, evitando il doppio KO a parità di ingaggio, tipico di alcuni capitoli (detto anche scambio di bare), ma si rende più netta la demarcazione tra le armi che sono efficaci e quelle meno (al momento la pistola base rasenta l’ininfluenza totale per abbattere un avversario intonso). Di conseguenza, mai quanto stavolta, il gioco vero inizia quando si è raggiunto il tetto di punti esperienza e si è sbloccato l’intero arsenale, trovandosi liberi di decidere quale bocca di fuoco imbracciare.
Nel complesso il multigiocatore competitivo di Black Ops 4 rinnova la serie e lo fa in modo piuttosto rispettoso dell’ambientazione bellica contemporanea che è tanto cara ad una grossa fetta di appassionati. L’idea di fare marcia indietro rispetto la svolta futuristica accontenta il pubblico generalista, però le nuove classi di specialisti assicurano una profondità tale da confutare la critica più frequente dei detrattori: ovvero che Call of Duty sia un gioco superficiale. Rimane forse una leggera presenza di accessori dal taglio molto fantasioso, ma i toni complessivi restano più contenuti. La formula ideale per giocare Black Ops 4 è quella corale e non individuale, ma in alternativa anche da soli, alla vecchia maniera, l’insieme regge, pagando al massimo una minore varietà complessiva.
Il sistema generale è comunque più accessibile rispetto a Battlefield, dove invece vengono imposti maggiori vincoli nell’armamentario a seconda della classe scelta. Qui rimane possibile personalizzare l’arsenale del proprio specialista con qualsiasi arma si voglia e sempre con il rodato e bilanciato Pick10.
Sorge comunque spontanea una considerazione: si è molto discusso del fatto che in questo capitolo non è presente la campagna single player. Al netto che la maggioranza del pubblico di Call of Duty preferisca il multiplayer, bisogna riconoscere che tra tutti gli studi interni ad Activision, Treyarch è sempre stato quello capace di creare qualcosa di originale, sia in termini di game design che di narrativa. Nel primo caso con i bivi nascosti che sbloccavano eventi, missioni secondarie o addirittura finali speciali a seconda delle prestazioni e azioni svolte nel corso del gioco (raccolto un collezionabile? superato in fretta una sparatoria? guidato incolume?). Vedi Black Ops 2.
Nel secondo caso, con la chiave di lettura nascosta nei diari e nelle schermate di caricamento di Black Ops 3, che spingeva a reinterpretare tutti quanti gli eventi, stravolgendone il significato. Il risultato erano dei colpi di scena costruiti registicamente ad arte, quando analizzati a posteriori, degni di una pellicola di Christopher Nolan. Vedi Black Ops 3.
Pertanto il fatto che sia proprio Treyarch a saltare la campagna, appare proprio come uno spreco del loro ottimo potenziale, dettato per giunta dalla semplice pigrizia, in quanto il tempo e le risorse risparmiate non sono state impiegate per aggiornare il motore grafico o costruire qualcosa di tecnicamente equivalente in termini di valori produttivi. E questo trova riscontri in tantissimi punti. Il primo è sicuramente il numero di mappe: su quindici disponibili di base, ben cinque (quindi un terzo) sono importate dai vecchi Black Ops con un esiguo lavoro di aggiornamento. Su dieci specialisti, cinque sono mutuati da Black Ops 3, cambiando le loro abilità più fantascientifiche per adattarli meglio al contesto attuale. Nella modalità Battle Royale, inoltre si vede maggiormente un uso diffuso di texture poco dettagliate, con parecchi asset grafici riciclati. Di conseguenza possiamo constatare che rinunciando allo sviluppo della campagna non si sono sbloccate risorse per rendere il comparto multiplayer più rifinito. La modalità QG Specialisti non supplisce neppure lontanamente, in quanto si limita ad essere un semplice tutorial dove giocare partite contro dei BOT, intervallate da filmati che, messi assieme, raggiungono a malapena la durata di un paio di trailer e non sorreggono neppure una vera storia, terminando in modo totalmente inconcludente. Ciò a conferma finale che chi vuole uno sparatutto single player farebbe meglio a rivolgersi altrove.
La Battle Royale era la novità che portava con sé più punti interrogativi, tuttavia l’esperimento è stato svolto in modo ragionato, affinché il risultato finale fosse compatibile con il modo di intendere il genere FPS di Call of Duty. Il termine di paragone con cui confrontarsi è ovviamente Player Unknown Battleground, vuoi per la visuale in prima persona, lo stile più realistico e l’impiego di mezzi, che segnano più punti in comune rispetto che con concorrenti come Fortnite e H1Z1. In questo Treyarch ha puntato su di un’esperienza Battle Royale estremamente vicina a quella offerta da Bluehole, eguagliandola in termini qualitativi e contenutistici, ma senza idee rivoluzionarie. La gigantesca isola ha ampliato il numero di ospiti rispetto alla Beta, raggiungendo ora il numero di 100 contendenti e ponendosi in linea con i canoni della concorrenza. Le varie strutture che collegano una zona all’altra sono ben diversificate e si adattano a inscenare molteplici sparatorie (come tra i container del porto, le casette del villaggio, i tunnel), evitando quindi la ripetitività delle situazioni. Il ritmo dell’azione è decisamente velocizzato e reso conforme alla frenesia muscolarmente ipertrofica tipica di Call of Duty, potendo imbastire assalti di gruppo sui quad o gli elicotteri.
Zombie invece è una conferma di un meccanismo già rodato da anni e arrivato ad assomigliare sempre più ad un Left4Dead in miniatura. Ora sono presenti tre mappe, sempre incentrate sul resistere alle ondate di cadaveri ambulanti, esplorare le zone sbloccando l’accesso a nuove sezioni e risolvere il fantomatico easter egg che ne rappresenta il completamento. Giocata in cooperativa Zombie rimane sempre un gradevole intermezzo da partite competitive più concitate e qualche stavolta fa il suo dovere. Particolarmente coloriti gli scenari dedicati alla nuova squadra: uno ambientato nell’antica Roma (qui però l’uso di spade e scudi è limitato, lasciando fucili e pistole come arsenale base di partenza), l’altro a bordo di un Titanic invaso dai nonmorti (dove il gigantesco blocco di ghiaccio sarà soltanto l’ultimo dei problemi, o la punta dell’Iceberg, se mi concedete una battutaccia). A chiudere le danze ritornano Richtofen e soci, su di una rivisitazione di Mod of the Dead da Black Ops 2, ambientata nel carcere di Alcatraz.
Se contiamo il multigiocatore, la Battle Royale e Zombi, l'offerta contenutistica online è decisamente corposa, anche al netto di qualche riciclo di troppo di alcune mappe e asset grafici. Pad alla mano, tutte e tre queste modalità risultano piuttosto godibili da giocare e solide, con una piccola nota a favore del multiplayer, che ora sembra aver trovato una formula per innovare mantenendosi compatibile con la giocabilità della serie. La profondità legata all'utilizzo degli specialisti viene raggiunta qualora si giochi con un buon numero di amici, tuttavia anche in solitario l'insieme rimane giocabile alla vecchia maniera e accessibile, senza perderci troppo.
DurataIl motore grafico di Call of Duty questa volta inizia a mostrare i suoi limiti. Se nelle campagne single player era facile aumentare il quantitativo di dettagli entro scenari di dimensioni contenute, in Battle Royale emergono frequenti ricicli di asset e texture scarne e poco dettagliate. L'azione comunque scorre fluida sui sessanta fotogrammi al secondo, garantendo risultati perfettamente funzionali al gioco online.
Musiche prepartita perfettamente tarate sui toni delle rispettive modalità: dal ritmo martellante propedeutico alle partite frenetiche a squadre, alle inquietanti note che fanno da preludio alle invasioni zombie. Ci sono poche occasioni in cui ascoltare le musiche, in quanto in partita sono gli effetti acustici della battaglia a farla da padrone, come spari ed esplosioni. La centralità multiplayer da questo punto non permette di implementare troppi virtuosismi musicali, ma ciò che è presente è tarato sui contenuti di riferimento.
Il nuovo sistema di specialisti crea un'ecosistema di gioco di squadra stimolante e profondo, al punto da valorizzare l'esperienza verso una direzione esport corale. Anche la modalità Battle Royale viene introdotta in modo calzante a come Call of Duty intende il genere FPS e senza improvvisarla.