Mi trovo in difficoltà e voglio provare a spiegarmi (e spiegarvi) il perché
Milky Way Prince – The Vampire Star è una visual novel che affronta un tema decisamente spinoso come quello delle derive psicologiche di un “doppio legame”, concetto elaborato dall’antropologo Gregory Bateson per spiegare la profonda incongruenza tra la comunicazione verbale e quella corporea in soggetti nevrotici o che soffrono di disturbi assoggettabili al bipolarismo. Nelle relazioni sentimentali un legame simile a questo spesso caratterizza rapporti in grande disequilibrio, non sani, dove una delle parti “vampirizza” il tempo, le attenzioni e le risorse dell’altra – coscientemente o inconsciamente – per un tornaconto personale. Non c’è un “modo” semplice per addentrarsi in quanto appena sintetizzato e anch’io, al netto degli studi fatti, comprendo solo la superficie di un problema che tocca un intimo tanto profondo da essere ancora un insondabile per i “non addetti ai lavori”. I gangli caratteriali, le grinze della mente umana, le idiosincrasie di un “sentire” e respirare la vita nel suo normale fluire sono elementi di un quotidiano a cui nessuno – quasi – presta mai attenzione. Lo stesso principio che muove l’amore o l’attrazione verso un corpo altro da noi è impossibile da codificare, sempre che non ci si affidi al mito di Aristofane, descritto nel Simposio di Platone nel IV secolo avanti Cristo, che vuole gli esseri umani divisi dall’ira di Zeus e in perenne ricerca della loro metà perduta dopo la scissione.
Milky Way Prince – The Vampire Star, scrivevo, è una visual novel, ma la mia difficoltà nel parlarne non nasce dal tema che tratta. Già più di dieci anni fa portavamo sulle pagine delle riviste specializzate i primi videogiochi per adulti, qui intesi come strumenti per sensibilizzare l’opinione pubblica giocante sul dolore mentale, sulla depressione, la schizofrenia, l’emarginazione, la povertà… Per me non è “difficile” riflettere sugli aspetti più faticosi dell’essere umano e tentare risposte a domande così complesse da sfuggire a qualsiasi protocollo o etichetta. Lo stesso concetto di “doppio legame” o le complicanze dei disturbi ossessivi o autolesionistici – elementi questi largamente presenti nel lavoro di Lorenzo Redaelli, autore del gioco – non possono essere inquadrati in una tabella excel che elenca sintomi, cause e rimedi. La verità dei fatti, sempre seguendo gli insegnamenti dell’antropologia relativa che io abbraccio, è che se non hai provato il desiderio di toglierti la vita non puoi capirlo fino in fondo; se non sei stato abbastanza povero da non avere i soldi per far mangiare i tuoi figli non conosci la povertà; se non sei una persona che soffre di nevrosi non puoi immaginarti nemmeno lontanamente cosa provino le persone che ne soffrono.
Lorenzo esplicita un tipo di dolore mentale che può essere declinato a iterazione solo da chi lo ha sperimentato
È questo il motivo per cui mi trovo in difficoltà, perché un ragazzo di venticinque anni qual è Lorenzo Redaelli maneggia con cognizione di causa un tipo di dolore mentale che può essere declinato a iterazione fruibile solo da chi lo ha sperimentato in prima persona. Quello che ne deriva è un ritratto potente, preciso e dettagliato dell’eviscerazione di un inconscio tradotto in un gameplay segmentato e funzionale al renderlo, de facto, un classico videogioco con opzioni di dialogo, sistemi di punteggio invisibili e un canovaccio narrativo con finali multipli in stile Detroit: Become Human.
Come sia riuscito a esplicitare così chiaramente il disagio e la dipendenza generati da un’attrazione/amore fondata sulla malattia mentale, onestamente, non lo so… ma l’unica spiegazione possibile è che un certo tipo di sensibilità personale, al servizio di un innegabile talento, sia stata la scintilla per decostruire a gameplay le insondabili pieghe di una relazione sentimentale fortemente instabile.
è del tutto irrilevante che i nomi dei personaggi siano Nuki e Sune
Milky Way Prince – The Vampire Star permette così di interagine come protagonista di una storia d’amore; una storia d’amore molto intensa, che brucia velocemente come la famosa candela accesa da entrambi i lati. Per noi che “giochiamo” è del tutto irrilevante che i nomi dei personaggi siano Nuki e Sune, così com’è poco importante quanti anni abbiano di preciso o in che parte del mondo vivano. A conti fatti l’autore non insiste nemmeno troppo sulle spigolature delle due personalità, lasciando il passato al passato – pur accennandolo – per concentrarsi sul meccanismo di leva che porta l’amante debole – vuoi perché giovane o inesperto, vuoi perché affetto da nevrosi – a farsi carico del presunto amato in difficoltà – nel caso specifico con problemi di natura psichiatrica – per poi vedersi catapultato in una condizione di usufrutto e in uno stato di pienezza o felicità condizionato dalla presenza delle attenzioni instabili – e autolesioniste – dell’amato.
Dovete quindi immaginarvi una visual novel suddivisa in capitoli, con opzioni di dialogo che influenzano la reazione dell’interlocutore, mentre in background un counter invisible registra tutto e sceglie quale biforcazione narrativa farvi percorrere. Ogni sezione presenta una sessione in cui la relazione con l’amato diventa fisica e si può decidere, per esempio, se guardarlo negli occhi o baciarlo, piuttosto che annusarlo o accarezzarlo, fino al punto di svolta in cui accade qualcosa che cambia le carte in tavola (considerando le opzioni selezionate) e rimescola tutto; un “tutto” che verrà rimandato all’appuntamento/capitolo successivo, fino ad arrivare a uno dei finali possibili. Alla luce delle peculiarità di Milky Way Prince – The Vampire Star se mi addentrassi nelle variabili offerte rovinerei l’esperienza a chi, non spaventato da quanto proposto, volesse sperimentare quanto il gioco propone. Penso quindi che sia sufficiente sapere che la forchetta tra il farsi assorbire dalla relazione e il restare ancorati a un piano di realtà è piuttosto ampia. Anche in questo suo aspetto Milky Way Prince – The Vampire Star è qualitativamente eccezionale, perché laddove altri esponenti del genere si sono limitati a tracciare una singola storyline, lui dà voce al protagonista con una serie di monologhi – forse eccessivamente tardo adolescenziali – capaci di inquadrare l’eventuale deriva e ragionare su quale sia la migliore condotta per non cadere in un “buco nero”.
non ho alcun dubbio sul fatto che Milky Way Prince – The Vampire Star sia “arte”
Sul discorso delle scelte cromatiche (che ricordano tanto il MirrorMoon EP dei Santa Ragione, qui presenti col ruolo di publisher) e delle figure umane disegnate a mano dallo sviluppatore (che in pratica ha fatto tutto da solo in un anno di lavoro), io non sono in grado di darvi un giudizio oggettivo. Per i serious game così intimistici, a tratti autobiografici, non fidatevi mai di qualcuno che si esprima senza premettere a qualsiasi critica un fermo IMHO. Fatta questa precisazione, mi permetto quindi una digressione personale sul fatto che non riesco a immaginarmi un Milky Way Prince – The Vampire Star altrettanto penetrante se spogliato di quello stile o di quella colonna sonora malinconica e triste come se fosse una litania musicale per celebrare un lutto. Il gioco è tradotto in italiano dai ragazzi di We Are Muesli (li conoscete, vero?), ma avrei apprezzato anche un doppiaggio per i monologhi perché avrebbe reso più emotivo lo stacco tra un capitolo e l’altro. Ecco: segnalo giusto un difetto che si sarebbe potuto evitare se fossero state inserite sessioni di intermezzo: una narrazione un po’ più corposa avrebbe permesso una maggiore immedesimazione nel processo di attesa e innamoramento.
Ho giocato Milky Way Prince - The Vampire Star grazie a una chiave fornita dal publisher. I requisiti sono molto bassi quindi ce lo si può godere su qualsiasi PC degli ultimi anni, purché a 64 bit.
DurataSono andato davvero troppo lungo, quindi mi sbrigo a chiudere (e scusatemi): Milky Way Prince – The Vampire Star è un titolo di nicchia, inadatto al largo pubblico anche solo per la difficoltà di comprendere davvero i temi messi sul piatto. Sono anche stufo di tirare in ballo l’abusato adagio della formula “i videogiochi sono arte” perché come per ogni mezzo espressivo essi possono o non possono esserlo. Tutto dipende dal capire quanto un determinato prodotto sia esternalizzazione di un moto dell’animo o di pensiero. Dal canto mio (si evince anche dall’assenza di un voto a fondo pagina) non ho alcun dubbio sul fatto che Milky Way Prince – The Vampire Star sia “arte” a tutti gli effetti e mi sono trovato a sorridere rammaricato pensando a quanti giocatori distratti lo vedranno apparire su Steam (qui) confondendolo per un giochino indie a basso budget… che gran peccato, no?
La recensione di Milky Way Prince – The Vampire Star contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.