Correva l’anno duemilatredici quando Bong Joon-Ho, futuro regista del pluripremiato Parasite, presentava al Festival del Cinema di Roma il suo Snowpiercer, personalissimo e folle adattamento della graphic novel francese Le Transperceneige (1982, di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette). Una pellicola sci-fi che avrebbe riscosso ben presto il favore unanime di critica e pubblico, forte di un soggetto originalissimo e una messa in scena fervida e ricca di simbolismi.
A distanza di soli sette anni, quindi, eccoci al cospetto di questa sorta di reboot a puntate, prodotto da CJ Entertainment, Dog Fish Films e Tomorrow Studios per il network americano TNT, in arrivo su Netflix Italia a partire dal prossimo venticinque maggio con i primi due episodi, con poi un episodio a settimana.
Per chi non fosse avvezzo all’immaginario di film e graphic novel, lo Snowpiercer è un enorme e lunghissimo treno-arca i cui circa tremila passeggeri rappresentano gli ultimi sopravvissuti dell’intera umanità. A causa di un maldestro tentativo di abbassare la temperatura del pianeta, infatti, gli scienziati hanno provocato una nuova era glaciale mettendo fine alla civiltà umana. Il creatore dello Snowpiercer, il signor Wilford, dalla “sacra” locomotiva controlla e mantiene il precario ordine sociale del convoglio.
Non tutti i passeggeri del treno sono infatti uguali. I passeggeri regolari sono infatti divisi in tre classi (prima, seconda e terza esattamente come su qualsiasi treno passeggeri) e la qualità della loro vita dipende sostanzialmente dal costo biglietto acquistato.
Il tema della lotta di classe, colonna portante del film di Bong Joon-ho, viene qui affiancato dall’elemento investigativo.
Ci sono poi degli outsider, gli abitanti del “fondo”, passeggeri saliti a bordo clandestinamente e repressi negli ultimi vagoni con la forza. Si nutrono di blocchi di proteine, un cibo a basso costo che i militari al servizio della Wilford Industries forniscono loro quotidianamente e non aspettano altro che un’occasione di rivalsa nei confronti delle classi più agiate e del sistema stesso.
Il tema della lotta di classe, colonna portante del film di Bong Joon-ho, viene qui affiancato dall’elemento investigativo. Quando infatti una serie di omicidi minacciano l’ordine delle prime classi il signor Wilford decide di affidarsi a Layton (Daveed Diggs), un fondista ed ex investigatore della polizia.
Peccato che la scelta di imperniare il racconto sull’investigazione finisca per depotenziare sin da subito il tema della rivoluzione, complici anche una serie di scelte decisamente poco azzeccate.
Tra queste in primis quella di mostrare fin dalla prima puntata praticamente ogni luogo del convoglio, dal fondo alla prima classe, dal vagone notturno (una sorta di club notturno, luogo di spaccio e perdizione) alla locomotiva. Se nel film lo spettatore scopriva il treno, carrozza dopo carrozza, al fianco dei fondisti rivoluzionari capitanati da Chris Evans, qui gli si offre tutto nei primi 60 minuti della serie. Questo pone lo spettatore in una condizione di “onniscienza geografica” che finisce per limitarne drammaticamente l’interesse verso l’intera vicenda.
Inoltre, una volta che Layton avrà accettato l’incarico assegnatogli, spostandosi nelle prime classi, la linea narrativa relativa ai fondisti e alla loro lotta di classe finisce con lo sbiadire drammaticamente.
Altrettanto infelice è purtroppo la scelta del cast. Daveed Diggs nei panni di Layton è un protagonista davvero monocorde. Protagonista poi fino ad un certo punto, dal momento che la serie predilige fin da subito una narrazione corale, anche in questo caso mal supportata da una pletora di personaggi pessimamente scritti e supportati da performance attoriali degne di una soap opera.
Unica discreta eccezione è rappresentata dall’affascinante Jennifer Connelly, che qui veste i panni di Melanie Cavill, la “voce del treno” e braccio destro del fantomatico signor Wilford. Il suo personaggio è anche certamente quello meglio scritto e più tridimensionale del pacchetto, benché lontano dagli iconici personaggi del film del duemilatredici (qualcuno ha detto Tilda Swinton?).
L’intreccio narrativo risulta spesso sfilacciato e annega nella miriade di situazioni secondarie dedicate a personaggi poco interessanti
Purtroppo non è solo la scrittura dei personaggi ad essere deficitaria. L’intreccio narrativo risulta spesso sfilacciato e annega nella miriade di situazioni secondarie dedicate a personaggi poco interessanti che spesso sembrano inseriti forzatamente all’interno del plot. Anche gli snodi principali che portano avanti la storia sono spesso pretestuosi e gli eventi non sono mai legati da un rapporto di causa-effetto credibile.
Spesso inoltre si prova a catturare lo spettatore con scene particolarmente cruente o situazioni ad effetto che risultano forzate e compromettono irrimediabilmente il patto fruitivo. Un vero peccato alla luce delle interessanti tematiche del soggetto, che, nell’arco di una serie da dieci episodi, avrebbero sicuramente potuto trovare un interessante approfondimento.
A completare il quadro poco roseo si aggiunge uno sviluppo tecnico e artistico decisamente poco ispirato: tutto è tremendamente standard in Snowpiercer. La regia ne esce particolarmente male nel confronto impietoso con il film, ma anche la fotografia, il trucco, i costumi e il montaggio. Tutto qui è peggiore rispetto all’acclamata pellicola di Bong Joon-ho e la sensazione è di trovarsi spesso al cospetto di una versione “povera” dello stesso universo.
In linea di massima questo Snowpiercer ha il grosso difetto di non eccellere in nulla.
La fotografia in particolare incappa in infelici scelte estetiche soprattutto nei flashback/momenti onirici, con filtri di cattivo gusto e degni di produzioni di serie b. Un po’ meglio le scenografie, seppur sostanzialmente desunte dalla pellicola. Anche queste però peccano talvolta di coerenza, con alcune carrozze che sembrano enormi rispetto all’ampiezza del treno e altre particolarmente anguste.
Discorso analogo per la computer grafica, davvero mediocre nella maggior parte dei casi e spesso incapace di restituire in maniera degna la desolazione di questo glaciale mondo post apocalittico.
In linea di massima, dunque, questo Snowpiercer ha il grosso difetto di non eccellere in nulla, anche se probabilmente senza l’inevitabile confronto con la pellicola il giudizio sulla serie sarebbe stato più positivo. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un prodotto incapace di espandere l’ottimo soggetto e le interessanti tematiche alla base di questo universo narrativo, e sorprende che neppure il coinvolgimento dello stesso Bong Joon-ho, qui in veste di produttore, abbia saputo aggiungere valore ad un prodotto incapace di trovare una propria identità.
Se la seconda metà della stagione dovesse cambiare passo e riservarci sorprese saremo pronti ad aggiornare il nostro giudizio sullo show. Tuttavia al momento il nostro consiglio, qualora vi stiate approcciando per la prima volta all’universo narrativo di Snowpiercer, è senza dubbio quello di rivolgervi altrove.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Davvero non ho capito l’inserimento della linea investigativa. Per il resto sono d’accordo con quanto scritto, la sensazione che lascia è di una certa natura “seriale” nel senso più dispregiativo del termine. Un’operazione alla René Ferretti, per la serie “la qualità c’ha rotto er cazzo”.