A quarant’anni dall’esordio della Galassia Lontana Lontana tra le mani di George Lucas sarebbe inutile negare quanto il cinema sia cambiato, e con lui una serie che ha di per sé trasceso le singole generazioni, ergendosi alle porte di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker ad immortale pilastro pop. Dal fantasy della prima trilogia alla politica della trilogia prequel, dal look artigianale di Una Nuova Speranza al sci-fi più accentuato della direzione Disney: Star Wars ha attraversato epoche ed autori, glorificato da un immaginario sontuoso ma condannato alla qualità costantemente altalenante di ciascuna iterazione.
Negli ultimi anni, quelli trascorsi dal 2013 che ha segnato il passaggio di Lucasfilm sotto l’ala sempre più ampia di Disney, Star Wars ha – con una certa coerenza rispetto al passato – faticato enormemente a trovare l’equilibrio da sempre millantato all’interno della sua mitologia, al contrario ad esempio della perfetta dimensione (quantomeno commerciale) di Marvel Studios sotto il buon occhio di Kevin Feige.
Ebbene, la totale mancanza di direzione della guida di Kathleen Kennedy, rispecchiata nell’anarchia de Gli Ultimi Jedi, è la condanna maggiore di un racconto che rinnega quanto fatto da Rian Johnson, crollando inesorabile nello sforzo di concentrare in poco più di un paio d’ore due operazioni, una di chiusura, l’altra di correzione. Il risultato è quindi in parte un pasticcio che lascia con l’amaro in bocca, già solo nel pensare a cosa sarebbe potuto essere questa nuova trilogia senza tutta questa grande, immensa confusione tra un capitolo e l’altro.
É trascorso un anno dalla conclusione de Gli Ultimi Jedi, la Resistenza si è leccata le ferite e in qualche modo è riuscita a rimettere in piedi una piccola forza armata, finalmente abile a frapporsi tra la Galassia e il dominio incontrastato del Primo Ordine. Addestratasi con l’aiuto di Leia (la defunta e compianta Carrie Fisher) alle vie dei Jedi, Rey (Daisy Ridley) è finalmente pronta ad affrontare da una parte Kylo Ren/Ben Solo (Adam Driver), dall’altra la ricomparsa dell’imperatore Palpatine (Ian McDiarmid), che fa il suo ritorno a schermo dopo la disfatta de Il Ritorno dello Jedi ad opera di Darth Vader.
Il film di J.J. Abrams è una immensa sovrascrittura della sostanza alla base de Gli Ultimi Jedi
E con la trama possiamo anche fermarci qui, visto che Star Wars: L’ascesa di Skywalker fin da subito sgancia un paio di colpi di scena non indifferenti, facendo emergere senza tregua una sequela di rivelazioni e twist nella costruzione del climax verso quello che sembra davvero essere lo scontro finale. In questi termini, senza fare spoiler o entrare nel dettaglio dell’intreccio, il film di J.J. Abrams è una immensa sovrascrittura della sostanza alla base de Gli Ultimi Jedi, che brucia almeno un terzo del suo già non eccessivo minutaggio nello spiegare didascalicamente tutti quegli strumenti narrativi necessari alla reintroduzione dell’arco de Il Risveglio della Forza, con tutta probabilità stravolto da Johnson nel 2017.
Quasi fino alla propria metà, Star Wars: L’ascesa di Skywalker è un tentativo nemmeno troppo delicato di rientrare nei binari del retaggio del passato, dimenticandosi di quanto trasmesso dal capitolo precedente, e anzi piazzandosi come suo perfetto opposto. Di questo ne risente in realtà l’intera produzione, nel ritmo poco marcato e in una trama fatta di pretesti per giustificare le evidenti contraddizioni, in informazioni, personaggi, luoghi e oggetti appena accennati (o degradati) per fare da mero motore al susseguirsi degli eventi. La Forza e la mitologia vengono di conseguenza ulteriormente plasmate a proprio piacimento, questa volta nel solco del lavoro ristrutturante partito ne Gli Ultimi Jedi, ma di nuovo ciascuna aggiunta, sebbene di per sé interessante, valida e sensata, manca nel complesso di basi concrete e stona con quanto già noto all’interno del canone.
Star Wars in altre parole diventa ancora più fantasy di quanto già non fosse, ma la necessità di perseguire un retcon demolisce dalle fondamenta ed accelera eccessivamente la trasformazione, che così non può che essere percepita artificiale, specie agli occhi del fan attento da sempre al franchise. Per il resto, Star Wars: L’ascesa di Skywalker fa un ottimo lavoro nel chiudere le varie linee narrative e non lesina nel regalare momenti emozionanti, un finale agrodolce (pure un po’ coraggioso) e momenti fortemente significativi nell’ottica di un capitolo conclusivo che deve dopotutto ripercorrere e tenere ben presente l’anima dell’intera saga. Non mancano dunque le strizzatine d’occhio e chicche di fan service, né la volontà di onorare l’eredità delle pellicole originali nei personaggi del nuovo corso.
Star Wars: L’ascesa di Skywalker fa un ottimo lavoro nel chiudere le varie linee narrative
In primis il Kylo Ren di un immenso Adam Driver si conferma l’elemento migliore dell’insieme, sfaccettato e tridimensionale, consumato in una furia cieca che emerge dalle crepe di una determinazione in realtà mai assoluta; la ricostruzione del casco a significare un nuovo riavvicinamento alla leggenda di Vader, ma anche l’ennesima dimostrazione della debolezza alle fondamenta del comportamento del leader supremo. La Rey di Daisy Ridley per tutta una serie di motivi acquista qualche positiva nota di chiaroscuro che la rende più interessante rispetto ai capitoli precedenti, mentre l’utilizzo di Leia sulle ultime battute – considerate le ovvie difficoltà dovute alla dolorosa dipartita di Carrie Fisher – si muove sulle splendide note malinconiche di una madre che non smette di credere ed amare il proprio figlio.
Impossibile poi negare in conclusione gli immensi valori produttivi dietro Star Wars: L’ascesa di Skywalker, su tutta la messa in scena. Una direzione artistica al solito di altissimo livello mette a segno location splendide e una grande fotografia, che accompagna la regia abile di J.J. Abrams, il quale torna alla direzione di Star Wars dopo Il Risveglio della Forza. Grazie anche allo sfruttamento di alcune nuove derive della Forza, non manca qualche guizzo di regia notevole, ma non è presente purtroppo una sequenza del livello dello scontro della sala del trono ne Gli Ultimi Jedi – trattandosi però del buon J.J. aspettatevi ovviamente una buona dose di lens flare, presenti un po’ dovunque a firma del regista.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Eh, non benissimo… In ogni caso, domani sera lo vedrò al cinema!
Per carità sono d’accordo con il 99% delle cose che hai scritto( si anch’io sono andato all’anteprima ieri), però non ti sembra di essere un po’ sintetico nella tua analisi?
A me sembra un’analisi lucidissima ed esaustiva, onestamente. Perché dici “sintetico”? Sono curioso.
Quanto a questa trilogia l’ho mollata dopo il pessimo episodio 7, il quale aveva già ampiamente mostrato, per quanto mi riguarda, tutti i limiti di questo nuovo corso Disney.
Allora, di sicuro essere sintetici in una recensione lo ritengo solo che un pregio, visto che si deve trasmettere l’esperienza del film al lettore senza andare ad ammorbarlo con elucubrazioni eccessive. Seconda cosa, ovviamente stiamo parlando di un film dove si rischia di andare a fare spoiler nel discutere della narrativa, per questo ho glissato nell’andare nel dettaglio su alcune situazioni, come quelle che hai accennato sotto.
Ripeto, ha pienamente azzeccato l’anima del film a mio parere, è esattamente ciò che ha detto: un tentativo di chiudere un cerchio imperfetto e impreciso. Tuttavia mi sarei aspettato qualche riga in più sulla protagonista e il dilemma interiore che vive, che la divide tra lato Chiaro e Oscuro. Un argomento molto abbozzato dall’ottavo capitolo, che appunto un po’ come tutto, è stato ripreso a ritmo di razzo in questo film. Di certo la dicotomia tra bene e male è centrale in tutta la saga e qui non da meno, anche se realizzata in maniera diversa. Inoltre mi espongo nel dire che a mio parere come è rappresentato nel 9 non è minimamente paragonabile al come lo era in passato.
letto la recensione, complimenti. Non vedo l’ora di vedere il nuovo film e giudicarlo con i miei occhi!
Ottimo testo, ma mi pare un’analisi fin troppo meccanica.
Hai parlato di emozioni, credo possa essere positivo farsi guidare dalle sensazioni piacevoli e dai sussulti al cuore che il film elargisce, piuttosto che analizzare freddamente cosa a dimenticato chi e chi ha ripensato cosa. Altrimenti non ci si gode una mazza.
Ovviamente una recensione deve analizzare anche le criticità, ma (PERSONALMENTE) i difetti non mi paiono così gravi dal non renderlo un buonissimo Star Wars e di piazzarlo al di sopra di episodio sette e almeno al pari di episodio otto.
Poi che i colpi di scena si capiscano almeno 5 minuti prima della loro comparsa è un’altra storia XD
No, ma infatti non adduco altri difetti al film oltre quelli elencati e come già scritto sono molto d’accordo con l’analisi di Simo2000dg, che è stato anche gentile nel rispondermi. Io mi riferivo al fatto che io da lettore mi sarei aspettato una sorta di sinossi riguardante le tematiche presentate
Oscar, purtroppo anche da fan mi sono emozionato fin dal momento Morte Nera in poi, non prima. Come ho scritto, ho apprezzato il finale e soprattutto la chiusura, ma con tutto il bene che voglio al franchise la scrittura pretestuosa mi ha totalmente scagliato fuori dall’immersione e quindi dalla sospensione di incredulità, conoscendo benissimo il canone. Ci posso fare poco. Poi riguardo l'”analizzare freddamente” trovo l’ottica dal versante della produzione comunque interessante, visto che un’industria non può essere vista e consumata solo frontalmente. In questo sta anche un’analisi completa
Sono d’accordo: in giro c’è troppo malcontente per un film, che ha comunque i suoi pregi, e molti difetti.