Il primo The Division aveva dato forma all’immaginario di Tom Clancy proponendoci uno scenario ben più incredibile di uno di fantascienza. Siamo abituati a pensare a New York come una città sempre attiva, notte e giorno, viva e in movimento, un crocevia di persone che ne affollano le strade brulicanti. La New York visitata nella serie di Ubisoft invece era morta, immobile, un guscio vuoto in cui si rifugiavano i pochi sopravvissuti di un’epidemia e dove serpeggiavano bande armate nel contendersi le poche risorse.
Come fosse una città fantasma dei film western, con le balle di fieno rotolanti lungo i viali vuoti, qui sostituiti da fogli di giornale trasportati dal vento nelle strade. Una posse di quattro pistoleri che vi si avventuravano per salvare il salvabile, in una metropoli dove se non ti ammazza il vaiolo, sarà un proiettile.
A distanza di alcuni mesi, la trama ci mostra uno scenario poco migliore. L’emergenza ha passato il punto critico, ma la devastazione ha colpito sia le persone che la società. La crisi ha scosso gli Stati Uniti ovunque il morbo sia arrivato, lasciando persino la capitale in uno stato di anarchia dove il braccio di ferro tra ordine e caos è parte della quotidianità.
L’ambientazione di questo seguito non è scelta a caso, ha un valore simbolico fortissimo, ma che inevitabilmente va “perso nella traduzione” per chiunque non sia americano. Washington D.C. è la capitale dei 50 stati, ma ne rappresenta anche il centro nevralgico della politica, condensata in un simbolo grafico. La Casa Bianca infatti non è soltanto la residenza del presidente, è un’icona visiva e materiale usata per identificare nell’immaginario Usa un concetto non tangibile come la politica.
Vedere quindi Washington diventata un campo di battaglia, è un messaggio metaforico fortissimo per qualsiasi americano, fa capire al volo la gravità della situazione: l’epicentro della democrazia a stelle e strisce è travolto dal ciclone della violenza, ma il suo tempio, la Casa Bianca, resiste e mantiene una valenza simbolica, diventando la base centrale per tutti gli agenti delle forze dell’ordine della JTF e della Divisione.
Questo scenario tuttavia perde, almeno per chi sta da questo lato dell’oceano atlantico, tale valenza e forse proprio per questo potrà sembrare esteticamente ripetitivo, in quanto diversi luoghi visitati somigliano ad altri della New York di The Division. Interni di palazzi, parcheggi sotterranei, uffici.
Le missioni ci portano a battere in lungo e in largo le strade e gli edifici, confermando l’attenzione di Ubisoft per ricreare ambientazioni urbane con grande quantità di dettagli e realismo, tuttavia il tratto della metropoli americana resta sempre quello. Di sicuro si sarebbe segnato uno stacco più netto se fosse stata scelta una città europea, stilisticamente, urbanisticamente e architettonicamente profondamente diverse le une dalle altre.
Graficamente però la qualità è conforme al già buon esordio 2016. Peccato che l’ottimizzazione per console base non sia soddisfacente, pertanto si incappa in qualche sporadico, ma tangibile, calo di fotogrammi e il pop up delle texture nelle zone aperte, dopo le fasi di caricamento, si fa assai fastidioso. Anche per una trentina di secondi dopo aver fatto ingresso in partita, potrà capitare di camminare lungo le strade e vedere poligoni sfocati o sgranati ad ogni angolo.
The Division 2 purtroppo non migliora la narrazione, riproponendo un semplice pugno di filmati con alcuni comprimari che introducono al silente protagonista il suo prossimo obiettivo. Non c’è una trama vera e propria, quindi e tutto rimane sempre raccontato in modo inconsistente. Gli audio diari nel primo capitolo creavano una esposizione impersonale, carica di tensione, in quanto grazie a brevi pillole di narrazione riuscivano a ricostruire un arazzo narrativo estremamente convincente, sia nello spiegare come l’epidemia si era diffusa in modo devastante, sia come la reazione della gente fosse stata forte, sia nel bene, che nel male. Ciascun audio diario infatti verteva su di un piccolo episodio, che condensava una pillola di umanità capace di colpire l’utente. Qui gli audio diari invece testimoniano soltanto una situazione stagnante, dove la civiltà cammina sul filo di lana, facendo gli equilibrismi per non cadere, creando quindi un quadro chiaro dello scenario, ma senza particolari guizzi drammatici.
Le meccaniche consistono sempre sull’ibrido tra sparatutto in terza persona e gioco di ruolo. Riassumendo per chi non conosca il primo, in The Division 2 c’è una suddivisione di elementi TPS e ruolistici, utilizzati entrambi per gestire anche gli scontri a fuoco.
Il sistema di puntamento prevede quindi lo stesso approccio di un TPS normale, ma la potenza delle armi e le statistiche determinano il quantitativo di danno inflitto. Pertanto anche un ottimo tiratore non farà che un danno minimo sui nemici più forti, qualora non si dedichi a cercare armi e pezzi di equipaggiamento migliore, inclusi quelli difensivi, che aggiungono effetti e incrementano statistiche quali resistenza o riduzione del tempo di ricarica delle abilità speciali. Queste ultime in particolare assegnano azioni da svolgere in battaglia, spaziando dal riparare le corazze allo schierare bocche di fuoco aggiuntive, creando delle specializzazioni simili alle classi di un RPG, per cui ogni membro della squadra potrà dedicarsi ad un compito diverso. Tra i nuovi accessori però ci sono diversi dispositivi tecnologici che hanno un sapore vagamente fantascientifico (come la mina sferica a ricerca, o i droni avveniristici della Zanna Nera) e che appaiono abbastanza estranei al rigore con cui si riproduce la tecnologia bellica nei giochi del filone “Tom Clancy” (nome ormai ridotto a pura e semplice etichetta scollegata da qualsiasi riferimento ai romanzi, specialmente da quando Ubisoft ha pugnalato il libro di Rainbow Six implementando gli zombie in Siege).
Discorso diverso invece per la sparatoria, gestita molto meglio. Ogni arma ricrea diverse peculiarità realistiche, come cadenza di fuoco, rinculo, maneggevolezza e comodità di utilizzo a seconda del calibro, con un’attenzione alla verosimiglianza maggiore e più consona ai toni del gioco.
La balistica è generalmente precisa, salvo forse calare pochissimo negli hitbox dei nemici in movimento o nella presenza di oggetti decorativi come taniche di plastica o cose simili, che involontariamente vengono conteggiati come “ostacoli”. Si parla comunque di piccole sporcizie, ma niente che rovini la godibilità di un sistema che nel complesso funziona bene.
I nemici ora sono molto più aggressivi e letali, spesso anche le truppe di una missione secondaria sono capaci di muoversi con grande dinamismo, evitando facilmente granate o esplosioni e accerchiando i giocatori da qualsiasi direzione. Questo punto in particolare ribadisce come The Division 2 sia un gioco studiato espressamente per essere giocato con amici, meglio se tanti. Un gruppo di sole due persone infatti rasenta il minimo indispensabile per evitare troppi game over e ripartenze, ma anche così non mancheranno molti momenti ostici, che renderanno desiderabile la presenza di un terzo e quarto elemento. Avventurarsi completamente da soli invece non è consigliabile, in quanto può risultare frustrante e non permette di godere del gioco per come è inteso.
La parte ruolistica aiuta a correggere quello che era il grande difetto del precessore. Washington D.C. presenta un gran numero di missioni da svolgere, le quali non soltanto garantiscono più varietà, ma si intrecciano con il potenziamento del proprio personaggio, aggiungendo un pizzico di aspetto gestionale.
I quartieri infatti hanno basi e avamposti, i quali possono essere conquistati e diventare dei punti di riferimento per un rientro rapido o trovare rinforzi e bottino pregiato.
Tre gruppi (più la succitata Zanna Nera, che giunge al termine della campagna per fornire una sfida aggiuntiva) si contendono la capitale controllandone le zone. Conquistare un’area però è solo una parte del lavoro, in seguito bisognerà anche supportarla effettuando donazioni di materiali ed equipaggiamenti, ottenendo in cambio nuove missioni, ricompense, taglie da riscuotere e altro ancora.
Stavolta delle eccedenze di armi e bagagli se ne può fare ampio uso. I materiali servono a creare nuovi oggetti o modifiche, ma i progetti per la costruzione saranno ottenuti come ricompense per aver potenziato una zona. Di conseguenza le risorse inutilizzate, se donate ai quartieri liberati aprono un’ampia gamma di opzioni. Se in The Division si finiva per vendere a pochi spiccioli o smantellare, ora lo smaltimento del superfluo e le missioni secondarie si intrecciano meglio nell’aspetto ruolistico e anzi servono per creare nuove opportunità.
Il cosiddetto endgame del gioco è stato pure potenziato, aggiungendo varie modalità oltre alle consuete incursioni nella Zona Nera. Conflitto infatti rappresenta una specie di PvP (deadmatch o dominio) dove il sistema di livellamento equipara il più possibile gli utenti per evitare distacco troppo marcato tra arsenale e grado. Questa però è la parte meno convincente, in quanto l’equiparazione non è sempre precisa nel conciliare, nel multigiocatore competitivo, quell’assetto da RPG funzionale all’essenza PvE di The Division 2.
La Zona Nera invece rimane una terra di nessuno, dove è obbligatorio andare per ottenere oggetti di qualità massima, ma che può rivelarsi una giungla. Le battaglie per impossessarsi dei carichi e le relative estrazioni infatti diventano una zuffa in cui giocatori e computer si ritrovano a spararsi a vicenda, spesso in modo inaspettatamente divertente o frustrante (a seconda di chi incontrate). Le tre zone nere rimangono le sezioni più pericolose della mappa, dove si rischia di essere aggrediti da agenti rinnegati (i giocatori nemici) e CPU particolarmente forte, lasciando quindi a vostro rischio e pericolo la decisione di entrarvi o meno. Esattamente come ne primo Division però, dei giocatori con la vocazione del PK (ovvero player killer, quegli utenti che si divertono unicamente ad andare in giro ad uccidere altri giocatori per interrompere le loro sessioni) potrebbero lanciarsi in attacchi sconclusionati.
La guerra contro la Zanna Nera invece offre garanzie di endgame più fruibile, mettendo gli agenti in lotta contro una quarta fazione lungo le stesse strade in cui si è giocata la campagna. Per ovviare alla ripetitività in questo punto vengono sbloccate tre nuove specializzazioni con armi potenziate, oltre che nuove tipologie di nemici tecnologicamente agguerriti. Tra alti e bassi c’è comunque più da fare una volta conclusa la storia rispetto al precedente episodio.
The Division 2 è uno sparatutto MMO studiato per essere fruito in cooperativa con almeno uno o due compagni, sino ad un massimo di quattro che ne rappresenta il gruppo ideale. Non può essere giocato offline. Questo seguito rimedia alla carenza di contenuti di cui il primo capitolo soffriva al lancio, pertanto si riscontra una maggiore varietà di attività da svolgere e missioni, oltre che una migliore coesione di queste nel comparto MMO-ruolistico.
DurataSi mantiene sul buon livello del predecessore ed è apprezzabile la cura nel creare ambientazioni urbane, tipica dei giochi Ubisoft. Il gioco però è male ottimizzato per console base, presentando diffusi casi di pop up di texture dopo i caricamenti e sporadici cali di fotogrammi.
Musiche ad effetto costruiscono una tensione da film d'azione. Nessuna di queste però riesce mai a proporre un tema di impatto, limitandosi ad essere un buon accompagnamento sonoro in sottofondo, ma niente altro.
Ibrida in modo soddisfacente sparatutto e gioco di ruolo. Un pizzico di aspetto gestionale inoltre crea più coesione tra le azioni del giocatore e la progressiva ripresa di Washington. La sparatoria è gestita in modo abbastanza preciso e mantiene la giusta via di mezzo tra TPS e MMO.
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Ho provato la beta su console e lo sto giocando su PC (1080ti) e devo dire che la differenza è MOOOOOOLTO visibile.
Sul PC è anche un gran bel vedere secondo me (anche se il mondo è un po’ “fermo”).
A livello di gameplay l’ho apprezzato di più rispetto al primo, che dopo un po’ di ore mi aveva annoiato.
Un “more of the same” fatto bene direi 🙂 🙂 🙂
davo quasi per scontato che la versione Pc sarebbe stata graficamente migliore. anche a me questo sta piacendo più del primo, credo sia perché hanno integrato meglio le missioni, le ricompense, gli oggetti e le abilità. Ora svolgere attività crea un effetto su più livelli: zone controllate, nuovi tipi di missioni, equip, quindi si è incentivati a fare cose, per ottenere qualcosa di più ampio del semplice mucchio di punti esperienza o il fucile nuovo. more of the same fatto bene è una definizione che condivido, ma direi che non pesa perché è normale che il secondo consolidi e migliori la formula d’esordio. dal terzo sarà lecito aspettarsi innovazioni vere e proprie.
Il colpo d’occhio é sicuramente ottimo..ma il fascino dell’ambientazione invernale secondo me é un’altra cosa..davvero suggestiva!
A me ha convinto soltanto a metà, ma nel complesso è un buon gioco, difficile, appagante e moderatamente divertente.
Gioco che mi sta piacendo tantissimo, molto più del primo, vorrei solo avere più tempo da dedicargli. Ubisoft ha fatto comunque un gran bel lavoro, migliorando praticamente in tutto il primo capitolo. Certo NY innevata aveva un fascino tutto suo ma anche Washington è figa da esplorare ed offre scorci fantastici.
alcuni punti della città sono piuttosto peculiari e belli. altri invece potrebbero essere schermate di Division 1 e non ci sarebbe alcuna differenza. un’ambientazione europea avrebbe garantito più varietà architettonica tra una città e l’altra, spaziando tra molti stili. pensa ai monumenti del vecchio continente, in America invece il palazzo più vecchio ha poco più di un secolo e sono tutti in stile contemporaneo. ma poi anche l’urbanistica cambia, tra una città del nord, una mitteleuropea e una nostrana, per dire.
La voglia di provarlo é tanta ma i dubbi sul fattore tecnico su PS4 liscia e l’arrivò a breve di days gone mi fanno propendere a cercarlo quando costerà un po’ meno
Ottima recensione! Non so se riuscirò a recuperarlo però magari con qualche buona offerta ci penso XD
Io non ho giocato al primo titolo e devo dire che ho con questo secondo mi sto abbastanza divertendo ma solo in gruppo. giocare in modalità singola praticamente e aberrante dato che proprio la narrativa è fallace. A livello di gameplay, proprio negli scontri si trova la massima soddisfazione perché sono ben bilanciati, le armi producono gli effetti sperati ed immaginati. Una cosa che non posso proprio tollerare è che il gioco abbia continui bug grafici: spesso gioco senza l’arma in mano o con il volto schiacciato e sfigurato. Durante la modifica delle armi specialmente se con skins l’elaborazione diventa un’impresa e l’effetto popup in un gioco tripla A nel 2019 su una PS4 pro non lo posso accettare, ancora di più se suddetta console diventa un radiatore della macchina in funzione. Inoltre la vera falla è anche il suo pregio, ovvero come dicevo, il gioco è davvero divertente solo se giocato in compagnia ed è assolutamente vuoto se giocato in singolo. Non c’è alcuna parte della trama o della narrazione che faccia sentire coinvolto il giocatore e gli dia un senso per le azioni in-game
mi confermi che anche su console potenziate c’è il problema di pop delle texture allora? pensavo fosse solo per le console base. allora l’ottimizzazione è carente su console in generale, non dipende dall’hardware.
Sono quasi tentata
Lo stò giocando per pc e devo dire che il comparto grafico è sempre di ottima fattura, pochi bug e pochi cali di frame.
Sotto l’aspetto prettamente tecnico e di sviluppo, lo reputo ancora un pò troppo ripetitivo: le missioni secondarie e gli eventi, troppo persistenti – non si rimane appagati nel portarle a termine -. Capita di fare una side e dopo due minuti te la ripropongono nello stesso luogo e nella stessa modalità.
A mio avviso potevano chiamarlo The Division: Washington perchè non offre, secondo il mio modesto parere, niente di nuovo a quello gia visto (anzi, io personalmente preferivo l’ambiente invernale a livello prettamente visivo) da poterlo definire del tutto un sequel.