Recensione di Farow
Partire da una piccola intuizione per arrivare a qualcosa di ben più grande: CD Projekt RED l’ha fatto ancora una volta. Quella che doveva essere una semplice attività di contorno in The Witcher 3 è divenuta un’entità a sè stante. Stiamo ovviamente parlando di Gwent, il gioco di carte basato sul mondo dello strigo Geralt di Rivia e dei suoi compagni. La recente opera di ristrutturazione – chiamata Homecoming – ha apportato importanti cambiamenti, sia alle dinamiche di gioco (come ad esempio la scomparsa di una delle tre file sul terreno) che all’aspetto generale di carte e menù. Tutto ciò è stato accompagnato da un accrescimento esponenziale dei contenuti – vedasi il sistema di contratti, ricompense e le storie dedicate a ogni singola fazione – rendendo Gwent uno dei giochi di carte collezionabili più vasti e validi del momento. Il fatto che Thronebreaker: The Witcher Tales possa essere considerato come una “espansione” del succitato non deve però trarvi in inganno: lungi da noi l’accostare l’avventura della regina Meve a contenuti come Naxxramas o Massiccio Roccianera (Hearthstone). Quella dei regni gemelli di Lyria e Rivia è una storia quasi indipendente dal titolo di riferimento, un gioco di ruolo a tutti gli effetti, venduto a un prezzo assolutamente competitivo. Gli immensi sforzi dello studio polacco per regalare all’utenza un prodotto valido e differente hanno dato i propri frutti, non senza qualche piccola incertezza. Considerando il monte ore notevole per portare a termine il tutto, la qualità e la densità dell’offerta, è quantomeno necessario partire con ordine. Scoprite con noi cosa vi aspetta in Thronebreaker: The Witcher Tales.
Collegandosi direttamente alla rinnovata introduzione di Gwent, l’incipit ci ha ripresentato lo sconosciuto ammanettato. In cammino ormai da parecchio tempo, gli viene chiesto dalle guardie di raccontare un’altra storia. Seduti in una taverna, le parole gravi e profonde del prigioniero danno vita al racconto di Thronebreaker. Un’armatura dorata, una corona pesante e una spada implacabile: la regina Meve di Lyria e Rivia è la fiera protagonista dello spin-off in giocatore singolo di Gwent. Gli eventi narrati antecedono quanto visto nel terzo capitolo della più famosa trilogia, in concomitanza con l’inizio del piano espansionistico nilfgaardiano. La conquista del selvaggio nord è il principale obiettivo dell’imperatore Emhyr var Emreis, dinanzi ai cui occhi cadono, una dopo l’altra, le regioni settentrionali. Durante il viaggio di ritorno al palazzo, interrotto da svariati tafferugli tra umani, banditi e scoia’tael, la nostra beniamina deve confrontarsi con ben più di un grattacapo: da un lato i conflitti interni lacerano la regione, impoverendo i più deboli; dall’altro le insegne delle armate nere si stagliano nel cielo, fra i campi e nei villaggi, muovendosi lente ma inesorabili come un presagio di morte. Come se non bastasse, la mancanza di uomini in cui riporre la propria fiducia rende ancor più incerto il futuro dei regni. Primo fra tutti il principe Villem, figlio di Meve, il quale è ancora inadatto a governare in assenza della madre, viste inesperienza, giovane età e indole debole.
Fin da subito è riconoscibile il tocco degli sceneggiatori di CD Projekt RED, i quali sono riusciti a imbastire una storia interessante, ricca di colpi di scena e con dialoghi ben architettati. La grande cura riposta nella narrazione è specchio dello zelo della casa di Varsavia: in pochi si sarebbero aspettati tale risultato da un’espansione per un gioco di carte. Lieti d’esser stati smentiti, Thronebreaker ci ha proposto un’esperienza ben al di sopra delle attese, riscontrabile difficilmente – se non impossibilmente – in altri esponenti del medesimo genere. Mantenendosi fedeli al mantra di The Witcher 3, gli sviluppatori hanno inserito all’interno dei dialoghi e dei siparietti vari bivi, ognuno con conseguenze sensibili al momento o sul lungo termine. Ordinare agli uomini di risolvere un problema o pagare qualcun altro con moneta sonante? Impiccare un elfo ribelle ed emarginato o mostrarsi magnanima, inimicandosi truppe e popolani? Spesso ci siamo ritrovati a scegliere il minore dei mali, oppure a fronteggiare gli sbagli derivanti dalla nostra eccessiva clemenza.
Lyria, Aedirn, Mahakam, Angren e Rivia: queste le cinque mappe sulle quali abbiamo mosso i nostri passi. Col semplice click del mouse è possibile indirizzare la protagonista, alla scoperta di segreti, risorse da accumulare e premi da riscattare in Gwent. Disseminati sulla mappa, gli incontri casuali e i rompicapo da risolvere sono in gran numero, ognuno con una soluzione appropriata e coerente con le vicende. Il sistema di navigazione, per quanto semplice e immediato, non sfugge a qualche inciampo. Capiterà infatti che Meve si incastri in qualche anfratto, non riuscendo a raggiungere la destinazione desiderata e costringendoci a selezionare man mano altre zolle per liberarci. Nella parte a sinistra dello schermo ritroviamo l’utilissima mappa, la raccolta dei documenti e il campo base. In quest’ultimo si posizionano le tende e le strutture predisposte al controllo e al potenziamento delle risorse. Esattamente come in un gioco di ruolo, ogni tenda segue un albero delle abilità e va migliorata con l’investimento di oro e legname. I nodi sbloccati ci consentono di reclutare più uomini, muoverci più velocemente oppure ottenere ricompense maggiori dopo gli scontri. Non ci sentiamo di premiare l’inclusione dell’elemento gestionale, in quanto – seppur non invasivo – non dimostra di possedere il giusto peso ai fini dello svolgimento.
Il vero fulcro dell’offerta resta comunque il combattimento: che sia contro umani o una delle tante aberrazioni partorite dal folklore polacco, gli scontri avvengono sempre sul terreno di gioco. Affidandoci al nostro mazzo di carte, tocca a noi decretare la sorte del conflitto, assemblando un grimorio sempre adatto alla situazione. Assoldando nuovi comprimari, questi si uniscono al nostro esercito ed è possibile schierarli per attivarne i potenti effetti in campo. In seguito all’arrivo della versione Homecoming, le regole di base di Gwent sono state nettamente alterate per risultare ancora più semplici. Oltre all’eliminazione della terza fila, il nostro eroe è visibilmente presente sul bordo dello schermo, con un proprio set di animazioni e linee vocali. Gli effetti delle carte in Thronebreaker differiscono però dalle loro controparti nel gioco base, per risultare più bilanciate contro avversari reali e per permettere duelli più equi. Tralasciando i più classici incontri col nemico, le attività più divertenti restano senza dubbio i rompicapo e alcune missioni secondarie che consistono nell’uccisione di mostri. Per portare a termine i primi si deve giungere alla soluzione in un singolo round e mettere in atto mosse precise e calcolate per rispettarne le condizioni di vittoria: alla viverna va impedito di cibarsi delle mucche circostanti, mentre i necrofagi devono essere eliminati senza lasciar loro la possibilità di riprodursi.
Abbiamo portato a termine Thronebreaker: The Witcher Tales su di un modestissimo PC di fascia media, senza riscontrare particolari fastidi, beneficiando dei sessanta fotogrammi. Rituffarsi nel mondo nato dall'unione delle menti di Sapkowski e CD Projekt RED è sempre un immenso piacere.
DurataA una narrazione di tutto rispetto e alle divertenti meccaniche di gioco si unisce quello che è il vero punto forte dell’intera produzione: il comparto artistico. Ogni singolo elemento, dalle mappe esplorabili ai protagonisti, è stato riprodotto con uno stile decisamente gradevole. Ricordando molto da vicino il tipico tratteggio dei titoli Telltale (pace all’anima sua), Thronebreaker fa la gioia degli amanti del fumetto e conferma il grande talento degli artisti in casa CD Projekt RED. Muovendoci sul terreno di gioco, abbiamo avuto in più occasioni la sensazione di esplorare un albo illustrato. Dalla grande cura riposta in ogni singolo dettaglio, Gwent si conferma come uno dei giochi di carte collezionabili più belli – sempre artisticamente parlando – e più intuitivi. Il passo in avanti apportato da Homecoming ha visto l’abbandono del canonico tavolo il legno con le tre fila per far spazio a un terreno vero e proprio, un campo di battaglia sporco e devastato, ove sono sparpagliati resti di battaglia e armature dei caduti. Tutto ciò va a beneficio della maturità complessiva del gioco, meno scherzoso e più cupo, indicando ora ancor di più il tipo di target al quale intende rivolgersi. C’è poco da dire invece circa la colonna sonora, sempre evocativa, eccellentemente performata e con le tipiche note degli strumenti popolari folk tanto apprezzati sia in The Witcher 3 che in Gwent standalone. Dal punto di vista tecnico, giocato anche su di un PC di fascia media Thronebreaker risulta sempre fluido e senza incertezze di sorta. I sessanta fotogrammi al secondo rendono giustizia sia agli scontri che alle animazioni delle carte Premium, stavolta accompagnate anche da effetti sonori. Ciò che potrebbe disturbare i giocatori è invece lo sporadico aliasing: assente quando si tratta delle ambientazioni e dei personaggi, questo si presenta in forma leggera durante alcune transizioni dei match e sul bordo delle carte.
Sembra oramai quasi ridondante voler elogiare a spada tratta ogni singolo progetto dello studio polacco, ma non farlo equivarrebbe a voler trovare forzatamente il cosiddetto pelo nell’uovo. Thronebreaker: The Witcher Tales tradisce le aspettative e lo fa nel migliore dei modi: nessuno si sarebbe aspettato un risultato del genere da parte di un’espansione per un gioco di carte. Quella che in molti attendevano come una gradita ma fin troppo semplice aggiunta si è rivelata un’esperienza unica e fresca. Paragonare l’avventura della regina Meve a quelle introdotte precedentemente da Blizzard in Hearthstone (divertenti scontri con una sequela di boss e nulla più) potrebbe essere davvero impietoso. Vendere a prezzo budget un gioco di ruolo a tutti gli effetti da una durata complessiva di circa trenta ore rispecchia l’onestà intellettuale degli sviluppatori di CD Projekt RED, i quali – consci della natura sperimentale del titolo – hanno optato per una soluzione pro-utenza. La solidità della narrazione è sintomo dell’abilità degli sceneggiatori, i quali anche senza l’ausilio delle storie dello strigo sono riusciti a imbastire un’avventura interessante, coerente, ricca di colpi di scena e dialoghi all’altezza della trilogia originale. Dal canto suo invece il comparto artistico innalza l’asticella qualitativa, regalandoci non solo la versione più bella del Gwent vista fino ad ora, ma anche scenari e dettagli che non faticheremmo a definire come “una gioia per gli occhi”.
Lo stile artistico ricorda molto quello adottato dalla ormai dipartita Telltale, rendendo l'intera esperienza come un albo a fumetti in movimento. Impossibile non apprezzare sia i personaggi che le ambientazioni, assieme alle illustrazioni delle carte sempre di gran livello. Le minuscole incertezze tecniche non inficiano in alcun modo il prodotto finale, che si conferma come una delle migliori espansioni per un gioco di carte mai concepite.
Il doppiaggio dei personaggi in Italiano è stato eseguito discretamente: se da un lato gli strumenti della tradizione folk polacca svolgono come sempre un ottimo lavoro, dall'altro le voci dei protagonisti non si confermano sul medesimo livello.
Aver raffinato e semplificato alcune meccaniche di gioco, ha senza dubbio reso Gwent ancor più accessibile e intuitivo. La navigazione sulle cinque mappe principali avviene sempre in maniera semplice, con un banale click del mouse, incappando sporadicamente in qualche piccolo ostacolo. Menzione d'onore per i rompicapo e gli scontri con i mostri, i quali propongono soluzioni intelligenti e fantasiose.