Sono al terzo atto di una storia già scritta e mai raccontata. Mi trovo a Berlino, nel 1941, faccio parte della resistenza tedesca ma su di me non ci saranno narrazioni eroiche. Sono uno dei pochi (tanti?) che ha cercato di opporsi a un regime pur sapendo che non sarebbe riuscito a fare nulla per sovvertirlo. Mi chiamo Gotz Shultze… e che io sia omosessuale, comunista, ebreo, ricco, diseredato, operaio, avvocato, maschio o femmina è irrilevante: sto vivendo il più oscuro dei tempi e non ho alcun lume, con me, capace di rischiararlo. Il mio paese, guidato da Adolf Hitler, ha occupato la Francia e invaso l’Unione Sovietica. Dal 1933 a oggi chiunque non fosse ariano e non professasse un’adesione cieca al partito è stato perseguitato, deportato, ucciso. Io sono ancora qui, non so per quanto, ma sono ancora vivo e combatto, nascosto, pur sapendo che perderò.
Through the Darkest of Times è un videogioco incredibile. Dubitate dello spessore culturale di chiunque vi dica qualcosa di differente, perché a memoria non ricordo nulla di paragonabile – a livello educativo – su quel particolare periodo storico. Ci si è avvicinato l’esperimento sociale definito “La Terza Onda”, ovvero quando in California, nel 1967, un professore dimostrò ai suoi alunni quali svarioni cognitivi può comportare la perdita della democrazia e dell’individualità di pensiero.
Più di quanto abbia mai fatto un libro, più in profondità di quanto non sia mai arrivato un film
In verità, più di quanto abbia mai fatto un libro, più in profondità di quanto non sia mai arrivato un film, lo strategico a turni di Paintbucket Games ha risposto a una domanda che mi sono fatto fino a quando un professore di sociologia all’università non ha affrontato l’argomento in aula: com’è possibile che un’intera nazione abbia accettato, senza ribellarsi e in un clima pacifico di politica interna, che il proprio “governo” epurasse la società civile di tutti i soggetti “non puri” o scomodi, compresi i bambini, mandando al contempo i suoi giovani a morire in operazioni di guerra non necessarie alla sopravvivenza della nazione stessa? I più vecchi di voi si staranno chiedendo: “Ma questo non ha visto Schindler’s List di Spielberg o Il pianista di Polański?“… e li capirei. Il punto, qui, però, non è sapere che ci sono stati tedeschi “buoni”, quanto di comprendere come sia possibile che il 90% c.a. dei loro connazionali non lo fosse. Through the Darkest of Times racconta proprio questo, ossia di cos’è successo in quei quindici anni scarsi affinchè dei vicini di casa si denunciassero tra loro nella consapevolezza che non ci sarebbe stato alcun tribunale a giudicarli ma solo un fucile, un bastone, un campo di prigionia o la morte.
Through the Darkest of Times, dicevo, è uno strategico a turni con risoluzione semi automatica, ossia non c’è azione ma si deve improvvisare scegliendo come comportarsi in caso qualcosa non andasse per il verso giusto (del tipo: è arrivata la polizia! Fuggiamo o ci proviamo ugualmente?). Non immaginatevi un XCOM o un Civilization qualsiasi, perché siamo ben lontani anche dalla complessità dei più semplici esponenti delle rispettive serie o affini.
è uno strategico a turni
C’è una mappa (di Berlino) e una discreta quantità di hotspot: parla con il portavoce dei lavoratori, il prete, il medico, etc. per convincerli a sostenere la resistenza al regime; compra carta e inchiostro per autoprodurti un giornale; scopri cosa stanno architettando i nazisti in quella zona della città; passa a raccogliere i fondi per finanziare le azioni della resistenza; ruba alcune divise per poterti infiltrare; nasconditi per far perdere le tue tracce… e via dicendo. Si tratta di missioni da assegnare al team controllato dal giocatore, un team che può allargare le proprie fila tramite un reclutamento ad hoc, oppure vederle assottigliate dalle operazioni (poco) segrete della Gestapo. Ogni membro della squadra ha le sue statistiche (propaganda, forza, empatia, istruzione, silenziosità) e i suoi perk. Ci sono innumerevoli varianti ma non ho ancora trovato grosse difficoltà a proseguire, pur senza prestarci particolare attenzione, anche perché il sistema di gioco è punitivo a prescindere dalle scelte. Dovete immaginarvi di vivere in una città in cui, tra rastrellamenti e una campagna di comunicazione alienante, vedrete scendere, automaticamente, punti “morale” e sostenitori.
Ogni membro della squadra ha le sue statistiche
Va da sè che la morale del gruppo o se i sostenitori arrivassero a zero sarebbe game over, quindi tutto il gameplay gioca sul mantenere alti questi due indicatori (avendo successo nelle missioni) e intraprendere, nel mentre, azioni di resistenza attiva come “stampare quotidiani liberi” o recuperare documenti di intelligence nazisti per convertire i concittadini e spingerli a ribellarsi. A lato di queste, ogni atto presenta degli obiettivi di maggior respiro che devono essere portati a termine in concomitanza con il mantenimento delle statistiche necessarie alla sopravvivenza del movimento. Un esempio su tutti: sfruttare le Olimpiadi di Berlino del 1936 per rendere pubblici gli intenti belligeranti della governance tedesca. La storia, però, è già stata scritta: Hitler, Goebbels e tutta quell’allegra compagnia che fa da sfondo alla cronaca di quegli anni hanno già vinto la loro battaglia. La dittatura ha già annientato qualsivoglia pensiero alternativo e Through the Darkest of Times non restituisce mai, mai, la seppur minima speranza di poter davvero cambiare il corso degli eventi.
Il titolo di Paintbucket Games ha comunque il raro pregio di offrire una narrazione unica. Lo fa attraverso tre escamotage letterari: racconta l’evoluzione delle vite private dei personaggi giocanti, tra matrimoni falliti, lavori “ufficiali” al soldo del partito, drammi e perdite; spiega le conseguenze delle scelte “sbagliate” del giocatore grazie a piccoli filmati in cui si rischia l’arresto, la deportazione o la morte perché si è stati visti o catturati in una missione troppo esposta; offre inserti storici – sempre disegnati con l’affascinante stile seppia di tutto il titolo – a mo’ di bivi in cui il giocatore, magari osservando il famoso rogo dei libri, può decidere di intervenire con tutte le conseguenze del caso. Through the Darkest of Times rivela quindi la sua natura di strepitoso strumento formativo in questo suo connubio interattivo dove da una parte c’è un canovaccio narrativo individuale, interpretabile a piacimento, mentre dall’altra una cornice di fatti realmente accaduti che non può essere scalfita. Turno dopo turno, sprofondando sempre più verso l’immobilismo dettato da un regime autoritario tra i più oscuri che la modernità ricordi, il giocatore apprende i meccanismi della propaganda nazista e la loro influenza sulla mente dei suoi “sudditi”, ridotti a manichini manipolati da un manifesto, da uno slogan o dalla paura inculcata a suon di “Sieg Heil”.
Nell’Amarcord di Federico Fellini c’è una scena molto potente, uno scambio di poche parole, quasi dimenticabile in quel meraviglioso ritratto autobiografico: Aurelio Biondi, padre di Titta e vestito di tutto punto, fa per uscire dal cancello di casa ma lo trova sprangato. Chiama sua moglie, Miranda, chiedendo spiegazioni. Lei arriva, seria, compassata, gli snoda il cravattino e prima di rientrare in casa senza aprire le inferriate esclama: “Se voglio restare vedova ti strozzo io!“. In paese c’era una manifestazione fascista e nel sottotesto di tutto il film è chiaro, quasi lapalissiano, che Aurelio non parteggi per quella dittatura.
Nell’Amarcord di Federico Fellini c’è una scena molto potente
Più avanti il dissenso si sarebbe fatto più manifesto, specie quando nella caccia alle streghe tipiche di quegli anni bui la polizia gli farà bere dell’olio di ricino per confessare un crimine di cui non era responsabile, ma quella risolutezza di Miranda – quella frase – esplicita tutto un insieme di “non detti” che in quegli anni dovevano essere abituali tra i tanti italiani che, temendo per la famiglia, non si sono mai dichiarati apertamente antifascisti. Penso sia difficile per me, come per tutti i figli del dopoguerra, capire davvero cosa voglia dire sopravvivere a un regime di cui non si abbracciano i termini, cosa significhi accettare l’ingerenza di uno Stato non democratico nella propria vita. Ancor più difficile, forse impossibile, è comprendere come un individuo possa mettere a rischio il proprio futuro nel tentativo di cambiare le cose. Through the Darkest of Times ha la pretesa di offrire un valido spunto di riflessione su entrambi questi aspetti dell’essere umano in cattività. Ci riesce egregiamente, secondo il mio modesto parere, grazie al principio della “differenza”, ossia mostrandoci cos’è stato fatto dagli organi del partito nazionalsocialista per sottomettere il libero arbitrio dei tedeschi negli anni ’40 e, di contro, suscitare nel giocatore quel sentimento da “non posso accettarlo, dovrei agire ma non posso” che gli permetterà di capire un po’ di più i motivi del fallimento della resistenza.
Ho giocato a Through the Darkest of Times grazie a un codice fornito dagli sviluppatori sul mio Ryzen 5 1600 con 16 GB di RAM, SSD e un'ancora performante Nvidia GeForce GTX 1050Ti.
DurataVoglio essere chiaro: non dovete acquistare Through the Darkest of Times per il suo gameplay tout court. È un po’ superficiale, a tratti ripetitivo, quasi superfluo. Dovete acquistare Through the Darkest of Times per la qualità della ricostruzione storica, per la sua capacità di coinvolgervi emotivamente in quegli eventi, per l’impagabile offerta formativa che vi farà sognare di essere un professore che nella sua ora di storia del Novecento farà sedere in cerchio i suoi alunni e, con questo videogioco, gli insegnerà cos’è stato il nazismo. Tra le opzioni c’è anche la possibilità (come ho fatto io) di nascondere tutti i simboli di partito, quindi viene data l’opportunità di usufruirne anche nei luoghi dove non è opportuno mostrarli. Il voto a fondo pagina, in barba a qualsiasi rispetto per le medie ponderate di Metacritic, vuole celebrare questo primato, perché Paintbucket Games ha dato vita a un gioco memorabile di cui, purtroppo, troppi si dimenticheranno.
Questa recensione contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.
Non di soli effetti speciali vive l'homo ludens. La direzione artistica, le illustrazioni, le scelte cromatiche, il character design... tutto, in Through the Darkest of Times, merita di essere immortalato in uno screenshot di cui vantarsi con gli amici.
La colonna sonora, nel suo incipit, ricorda quella di This War of Mine curata da Piotr Musiał e Grzegorz Mazur, ma quasi subito si abbandona a classici di quella definita coma "la swing era". Io l'ho trovata affascinante.
Gli strateghi hardcore non troveranno pane per i loro denti, ma chi ha ritmi ed esigenze più rilassate potrà godere di uno strategico a turni senza ansia da prestazioni, con una mappa piena di missioni dinamiche che cambiano a seconda degli eventi e delle scelte. L'inventario, le abilità e le statistiche dei membri del team non sono vitali come per un classico gioco di ruolo, ma permettono comunque di giostrarsi tra maggiori o minori probabilità di successo. In questa sede voglio ricordarvi che l'acquisto di Through the Darkest of Times è imperativo per tutti quelli che hanno sete di conoscenza, i fanboy del videogioco come strumento educativo e gli irriducibili dei documentari di Rai Storia.
Devi essere connesso per inviare un commento.
Molto interessante. Grazie Maestro!
Merita. Certo allunga il backlog, ma son 5 orette…
Devo smetterla di leggere le review del Cinese, finisco sempre a spendere soldi che non avevo intenzione di spendere 🙈