Technomancers, ASCII, realtà virtuale, sex bot, floppini e attacchi DDoS sono solo una parte del vocabolario di VirtuaVerse, quello che potrebbe tranquillamente essere un subreddit popolato da ossessionati di informatica moderato da menti come quelle di Alessio Cosenza, Vittorio D’Amore e Ralph Meidl, i (soli) tre sviluppatori dietro al progetto che sono riusciti a dar vita ad un’avventura grafica vecchia scuola che racconta un futuro molto più prossimo e catastrofico di quanto non siamo portati a credere. Nel farlo i Theta Division hanno usato il classico immaginario cyberpunk pieno zeppo di neon sfavillanti che illuminano il buio pesto e metaforico delle megalopoli distopiche, in cui una pixel art d’altri tempi racconta la notte peggiore della vita di Nathan, hacker disilluso che fa dell’anticonformismo il suo pane quotidiano.
Svegliato di soprassalto dalla notifica di Gizmo, un Alexa del futuro, Nate si rende conto che la sua compagna Jay non è rincasata e per di più nel rotolarsi dal letto è franato sulle preziosissime lenti AVR. Queste sono indispensabili a chiunque voglia rimanere connesso con una civiltà sempre più alienata che vive attraverso riflessi elettronici dettati da un’I.A. che governa le vite di chiunque vi sia connesso, in grado di rivalutare gli squallidi vicoli della città inondandoli di spam e graffiti olografici. Nathan rigetta questi principi vivendo ai margini della società rivendendo hardware e software alterati, tra cui il proprio visore modificato in modo da poter essere acceso e spento a proprio piacimento che gli permette di vedere la realtà per quella che è dando vita ad un’alternanza tra realtà e VR che crea un doppio livello visivo su cui VirtuaVerse imposta la propria identità.
Lo switch tra realtà e VR permette al gioco di creare interessanti rompicapi oltre a spettacolari scenografie
Probabilmente perché perfetto già così, il gameplay di VirtuaVerse riporta in auge le classiche dinamiche da punta e clicca che ci vengono comunque spiegate tramite un frastornato Nathan nei primi momenti di gioco: il tasto J richiama il palmare da braccio (trovata simile a quella dei connazionali di Invader Studios per Daymare 1998) che riporta l’obbiettivo corrente della missione; il tasto sinistro del mouse serve sia per muoverci in giro per i sobborghi che per analizzare o interagire con un oggetto o personaggio; gli oggetti raccolti vanno nel borsone a cui è possibile accedere tramite l’icona in alto a sinistra mentre dall’altro lato dello schermo l’icona con il visore permette di attivare o disattiva la realtà virtuale.
Il difficile sta come sempre nel trovare i due oggetti giusti da combinare tra loro per ottenerne un terzo utile alla risoluzione del puzzle, compito non facile date le tante esche che spesso portano a sviare il giocatore costringendolo a lunghe sessioni di backtracking per assicurarsi di avere tutto il necessario esplorando aree non enormi ma spesso ramificate e dense di interazioni tra dialoghi, eventi da osservare ed oggetti da raccogliere. Per spostarsi da un’area all’altra Nathan sale in sella alla propria motocicletta come un novello Kaneda, ma talvolta dovrà fare affidamento su altri mezzi tra cui un sottomarino.
L’immaginario iper-informatico che trasuda da ogni pixel è aiutato da dialoghi ponderati e puzzle variegati che i personaggi che affollano VirtuaVerse ci sottoporranno per poter procedere alla ricerca di Jay. Tipi strani e poco affidabili incrociano il cammino di Nathan che spesso dovrà aver a che fare con richieste alquanto fuori di testa che vanno dal procurare sex bot al ricattare uomini sposati, cercare di entrare in una gang e rovinare la serata ad una band, il tutto spesso passando da enigmi più o meno articolati che vanno dall’usare l’oggetto giusto al momento giusto al famoso “pensare fuori dagli schemi” che si traduce nell’entrare nella testa dell’ideatore per capire cosa avesse in mente al momento del parto di quella sequenza.
Alcuni enigmi sono al limite dell’intelligibile ma interessanti, altri sembrano inutilmente forzati
VirtuaVerse vanta un vastissimo quantitativo di enigmi spesso a sfondo informatico come lo scannerizzare un codice QR o il tradurre un testo secondo il codice ASCII, che a tratti può spaesare chi non è così addentro a questo mondo. Nulla di insormontabile, ma vale la pena chiarire questo punto tenendo a mente che Nathan è in fin dei conti un hacker che vive in un mondo dominato dalla tecnica. Risolvere un enigma regala un sano senso di soddisfazione dato il livello medio di ingegno necessario al completamento, ma diversi vi costringeranno a cercare in giro per il web per condividere la vostra frustrazione con altri disperati prima di sfondare il muro a suon di testate per non averci pensato prima. Non è raro però che in seguito alla risoluzione di un puzzle dopo averle provate tutte vi venga da dire «perché mai gli è sembrata una soluzione logica?».
Dal punto di vista tecnico il lavoro di Theta Division è davvero d’impatto. I primi piani degli sprite nelle cutscene e le scenografie in pixel art realizzate da Ralph Meidl rendono giustizia alle avventure storiche 2D del calibro di Monkey Island ed Indiana Jones e rappresentano perfettamente il sapore cibernetico che l’opera vuole regalare soprattutto grazie al sapiente contrasto neon/oscurità. VirtuaVerse da il meglio di se specialmente ad inizio avventura quando il setting è focalizzato sul classico cyberpunk regalando alcune tavole degne di diventare il vostro prossimo wallpaper, ma col progredire della storia si incontrano scenari naturali molto meno ispirati e dozzinali che stonano col tenore dell’opera.
Ho dovuto giocare VirtuaVerse sul mio vecchissimo PC del 21° secolo in realtà NON-aumentata grazie ad un codice stampa fornito da Theta Division, perché come Nathan ho distrutto il mio visore AVR.
Struttura
Scheda Gioco
L’accompagnamento sonoro non tradisce l’ottima pixel art e colpisce per lo stile anni ’80/’90 con pezzi in salsa synth rock ad 8-bit che si sposano a meraviglia con l’ambientazione distopico-informatica. Se volete gasarvi sono disponibili a questo link le tracce audio di Vittorio D’Amore (in arte MASTER BOOT RECORD) che da sole meriterebbero l’acquisto del gioco, purtroppo non disponibili su Steam in versione standalone. Ineccepibile il lavoro di pulizia del codice dato che durante tutta la run non ho riscontrato l’ombra di un bug o problemi di sorta, se non un micro-glitch ricorrente all’inventario che non pregiudica in alcun modo l’esperienza.
Theta Division strizza decisamente l’occhio al popolo geek che potrà afferrare le decine di citazioni ai classici della fantascienza e la miriade di inside joke a sfondo informatico che caratterizzano la realtà di Nathan, ma alla base del progetto non c’è solo la volontà di omaggiare capolavori del cinema come Matrix ma anche di fare uno sforzo d’astrazione immaginando un futuro prossimo fatto di progressiva distruzione della natura ed alienazione degli individui in favore di un mondo virtuale regolato dalle IA. L’urlo di VirtuaVerse mette in guardia il giocatore calandolo in un immaginario violento e disilluso di cui Nathan è l’emblema perfetto per via del suo distacco dalla realtà e dal suo agire moralmente ambiguo, che lo rende incredibilmente umano in un mondo di entità sempre più virtuali.
In quindici ore è possibile portare a termine un’avventura che probabilmente non vi cambierà la vita, ma di sicuro vi farà riflettere. Forte di un comparto tecnico solidissimo, un plot per larghi tratti interessante (soprattutto privo di eccessive forzature, se non nella sequenza dello Squat) ed enigmi a volte fin troppo cervellotici, VirtuaVerse si dimostra un soddisfacente connubio tra la vecchia generazione di avventure grafiche ed un futuro distopico altamente futuribile che si esalta nelle prime ore di gioco per poi perdere qualcosa verso il finale. A chi è destinato? A tutti quelli che sanno a cosa vanno incontro, che magari hanno amato i classici Sierra e LucasArts degli anni novanta e cercano di rivivere quel feeling con personaggi vivaci e divertenti; a quelli che vivono di pane e circuiti; ai cacciatori di obbiettivi; agli amanti del genere cyberpunk e delle storie lineari.
Una pixel art di grande impatto accoglie tra le sue insegne al neon sia i giocatori affamati di poligoni che i fan dell'immaginario cyberpunk dando vita a primi piani di personaggi ed ambientazioni davvero suggestive ed accattivanti, sebbene non si vada oltre il già visto (che non è un male, in questo caso).
Due cose da segnalare: una colonna sonora di altissimo impatto, capace soprattutto nella prima parte di incalzare il giocatore e calarlo nella realtà cibernetica del VirtuaVerse, ed un doppiaggio come da tradizione assente compensato però dalla traduzione dei tantissimi dialoghi in lingua italiana senza praticamente alcuna sbavatura.
Classico punta e clicca, nel bene e nel male. VirtuaVerse eredita il modello dei classici Sierra e LucasArts dal puntatore crociato con cui interagire su oggetti e personaggi, che a parte qualche sporadica sbavatura dell'inventario non dimostra incertezze nonostante si limiti a riproporre una formula ormai vista e rivista con la sola aggiunta del visore AVR. I puzzle a volte risultano esageratamente cervellotici e poco intuitivi ma funzionano.
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Interessante. Si sa se ci sarà un’eventuale versione ps4?
Fin’ora non se n’è accennato, ma dubito ci sia un porting dato che è un genere molto legato al PC ed i cui comandi sono disegnati espressamente per il mouse (non che sia impossibile, vedi Thimbleweed Park, ma dovrà esserci una grossa richiesta per arrivare al porting)
ok grazie mille
*Finora ovviamente 😎