La prima stagione di Westworld, targata 2016, è stato un successo istantaneo come raramente se ne incontrano nella storia della serialità televisiva.
Un cast perfetto e una narrazione cervellotica ma mai confusa, uno scenario che alterna western e fantascienza in maniera fluida e affascinante, una profondità tematica invidiabile: questi sono gli elementi che hanno trasformato la prima iterazione di Westworld in un’opera amatissima soprattutto dal pubblico più nerd.
L’universo raccontato da Johnatan Nolan e Lisa Joy è ispirato al film “Il mondo dei robot” del 1973, scritto e diretto da Michael Crichton (già padre letterario di Jurassic Park).
Per chi ancora non lo sapesse il Westworld del titolo non è altro che una sorta di enorme parco a tema western popolato da androidi umanoidi estremamente realistici, indistinguibili da dei veri esseri umani.
Nel parco i visitatori sono liberi di vivere le proprie avventure, assecondando i loro istinti più bassi e animaleschi, uccidendo senza remora e abusando di qualunque androide gli capiti a tiro. Insomma un Red Dead Redemption nel mondo reale in cui gli NPC sono sostituiti da robot.
Va da sé, come nella miglior tradizione fantascientifica, che ben presto questi androidi comincino a provare sentimenti umani e a desiderare di essere più che mere comparse di un gioco per ricchi annoiati.
La seconda stagione del serial HBO, approdata nel 2018, si è rivelata decisamente meno lucida e compatta. Nel tentativo di bissare l’alchimia della prima iterazione, infatti, la serie ha perso di appeal presso il grande pubblico, smarrendosi in una pericolosa spirale di autocompiacimento e in inutili complicazioni narrative.
Ecco quindi che, memori del passo falso, Nolan e Joy provano, con questa terza stagione, ad espandere l’universo della loro opera spostandosi verso strade non percorse.
Evitando troppi spoiler sulle prime due stagioni (che potete recuperare su Sky o Now TV) vi basterà sapere che il ciclo narrativo all’interno del parco western si è sostanzialmente concluso con la fine della stagione due.
La bella androide Dolores Abernathy (Evan Rachel Wood) ha valicato i confini della sua gabbia dorata per entrare nel mondo reale e compiere la sua rivoluzione contro il genere umano.
Per la prima volta nella storia dello show, quindi, gli autori si trovano a rappresentare, visivamente e in maniera estesa, il mondo reale popolato dagli umani. Il risultato, come già visibile dai trailer, è nuovo e spiazzante per i fan di vecchia data.
La nuova stagione offre un’ambientazione fantascientifica dalle vaghe tinte cyberpunk che trae spunto in maniera anche lapalissiana da altre opere afferenti al genere.
Il mondo reale è una versione futuribile della nostra realtà. Un mondo spietato almeno quanto i parchi stessi, in cui l’informazione è la più grande delle ricchezze e corporazioni senza scrupoli governano le vite dei cittadini. Un’ambientazione fantascientifica dalle vaghe tinte cyberpunk che trae spunto in maniera anche lapalissiana da altre opere afferenti al genere.
In generale il lavoro di caratterizzazione delle location (perlopiù gli eventi si svolgono nella città di Los Angeles) è eccellente e curato, merito soprattutto di un valore produttivo come al solito davvero fuori scala. Tuttavia il pacchetto complessivo non spicca per originalità e non di rado, durante la visione, vi capiterà di riconoscere i vari Matrix, Minority Report, Strange Days, ecc.
Il cast di questa terza stagione vede il ritorno di molti degli iconici interpreti, dalla già citata Evan Rachel Wood a Thandie Newton (Maeve), passando per Jeffrey Wright (Bernard) e Tessa Thompson (Charlotte Hale), fino ad arrivare all’immancabile e straordinario Ed Harris (L’uomo in nero).
Accanto a loro spiccano due nuove entrate di tutto rispetto.
La prima è Aaron Paul, il Jesse Pinkman di Breaking Bad, che qui interpreta Caleb, un personaggio dal passato oscuro e dalla doppia vita: lavoratore in cantiere di giorno e piccolo criminale di notte.
Schiacciato dal sistema e ai margini della società, incrocerà la sua strada con quella di Dolores e con i suoi propositi rivoluzionari. La performance di Paul è ottima e il personaggio sembra essere stato cucito addosso all’attore.
L’approfondimento filosofico è però meno spiccato che in passato e ora si lascia molto più spazio all’azione.
La seconda è Vincent Cassel, interprete di Serac, boss della Incite, la potente corporazione dietro al “sistema”, un algoritmo dalle potenzialità pressoché illimitate, capace di accumulare informazioni su ogni cittadino e, forse, di prevederne persino il futuro.
Se il personaggio di Paul, dopo i primi quattro episodi, è già perfettamente a fuoco, lo stesso non si può dire del personaggio di Cassel, che ha un minutaggio a schermo davvero esiguo nella prima metà di stagione.
Sin dal primo trailer è stato evidente al pubblico come questo nuovo ciclo di episodi tentasse di prendere le distanze dalle prime due iterazioni di Westworld. L’impressione era infatti quella di un soft reboot, con nuove tematiche, nuove ambientazioni e nuovi personaggi. Non è proprio così.
Questa terza stagione di Westworld, infatti, pur rinnegando se stessa sotto alcuni punti di vista, si pone in piena continuità narrativa rispetto al passato. Il nucleo tematico rimane il medesimo: l’indagine della realtà e della sua natura spesso ambigua, l’illusione della libertà individuale, la natura dell’essere umano. L’approfondimento filosofico è però meno spiccato che in passato e ora si lascia molto più spazio all’azione.
In generale il valore produttivo è davvero stellare e HBO sembra aver fatto un deciso all-in per provare ad irretire un pubblico il più vasto possibile
Sono state abbandonate anche le diverse linee temporali che hanno caratterizzato la serie in passato. Il racconto è ora lineare, sempre a fuoco per lo spettatore, a cui non viene nascosto nulla attraverso artifici di montaggio.
A giovarne è il ritmo e la compattezza, complice anche il minor numero di episodi, che per questo stagione sono otto anziché dieci.
Il plot generale però, a giudicare dalla prima metà di stagione che HBO ci ha permesso di visionare in anteprima, non sembra spiccare particolarmente e non risulta particolarmente memorabile.
Da un punto di vista tecnico questa terza stagione di Westworld è persino superiore alle due precedenti stagioni. Scenografia e fotografia di livello cinematografico ed effetti speciali qualitativamente e quantitativamente eccelsi.
In generale il valore produttivo è davvero stellare e HBO sembra aver fatto un deciso all-in per provare ad irretire un pubblico il più vasto possibile e non necessariamente gli affezionati della prima ora. Certo il legame con le prime due stagioni, come detto, è forte, ed è praticamente indispensabile la visione delle stesse per comprendere pienamente l’agire della maggior parte dei personaggi.
Quello che invece lascia perplessi, dopo la visione di questi primi quattro episodi, è l’identità generale dello show che ne esce affievolita, quasi smarrita.
Al netto dei personaggi storici e di qualche sporadica e poco convincente incursione in uno dei parchi della Delos (ambientato in italia durante il dominio nazista), dello show originale e della sua peculiare estetica non resta quasi nulla.
Westworld si è trasformato apparentemente in una fantascienza più canonica e generica, priva di quella impronta peculiare che aveva decretato il successo della prima stagione.
Un peccato forse, ma anche un passo necessario dopo la stantia seconda stagione. Non resta che attendere quindi la seconda parte della stagione per valutare in maniera definitiva la bontà o meno di questa trasformazione.