Retrogaming

Grazie al PS Now ho riscoperto Resident Evil: Code Veronica X

L’Antefatto

Preso dall’isteria collettiva per i servizi in abbonamento videoludici (Xbox Game Pass, Google Stadia) ho deciso di provare il tanto chiacchierato Playstation Now di Sony, sebbene con un intento meno tecnico e preciso di quanto fatto dal nostro Riccardo Amalfitano nella sua preziosa guida all’uso, usufruendo della settimana gratuita per toccare con mano la bontà delle infrastrutture di Gamivo e sono finito col riscoprire una vecchia perla quasi dimenticata: Resident Evil: Code Veronica X.

Coniugare il vecchio col nuovo, è (anche) questo il mantra di Playstation Now. Non avendo una Playstation 4 immaginerete il mio piacere nello scoprire che potevo finalmente recuperare una buona parte della libreria Playstation comodamente dal mio personal computer, dato che sono tante le esclusive che invidio ai sonari con Bloodborne in cima alla lista. Da fanatico dei soulslike ho avuto modo di giocare il titolo From Software a scrocco sulla console di amici, ma essendo passati anni dall’ultima gita a Yarnham (escludendo il voyeurismo nei confronti di Joel e Sabaku No Maiku) la tentazione nel rigiocarlo in streaming su PC è stata troppo forte.

Ecco come si è presentato Bloodborne sul mio PC: un agglomerato di sangue e pixel che Il Rinato levati proprio.

Dunque Bloodborne è stata la mia prima scelta, il primo titolo in assoluto che ho voluto provare su Playstation Now e già preventivavo un altro mese di abbonamento per potermelo rigiocare in tutta calma. Non avevo fatto i conti con i problemi tecnici. Dotato di una connessione fibra 100mb/s credevo di avere le carte in regola per godermi il gioco, bypassando limitazioni native come la risoluzione bloccata ai soli 720p, ma così non è stato. Input lag che a tratti rendeva Bloodborne ingiocabile (immaginate com’è schivare Djura che vi mitraglia dalla torre di Old Yarnham con quasi un secondo di latenza), una risoluzione ballerina che spesso e volentieri scendeva fino ai 144p rendendo lo schermo un miscuglio di pixel così confuso da far impallidire Il Rinato. Pensate che per amor di Bloodborne mi sono spinto fino a Cathedral Ward battendo la Cleric Beast e Padre Gascoigne, ma l’esperienza era diventata così penosa da convincermi a malincuore a lasciar stare.

Chiusa una porta si apre un portone (infestato dagli zombie)

Con ancora qualche giorno di prova a disposizione decido di dare un’occhiata ai titoli disponibili per capire se fosse un problema di Bloodborne magari dovuto al fatto che fosse uno dei titoli più giocati, che fosse multiplayer (nonostante io lo avessi sempre giocato offline) o semplicemente più corposo e quindi più stressante per i server. Da nostalgico dell’era PS2 quello che più mi balza all’occhio è la notevole quantità di titoli retrogaming disponibili, ne seleziono una decina ed inizio con Forbidden Siren, horror asiatico sovrannaturale che però mi stoppa già nel primo livello un po’ a causa della bassa risoluzione dello streaming ed un po’ a causa del mio essere impedito.

In pratica la mia esperienza dura meno della coda che ho fatto per giocarci, ma prima di arrendermi definitivamente mi decido a giocare quel Resident Evil: Code Veronica X per tanti anni snobbato e che non avevo mai realmente compreso, dato che al tempo ancora dovevo recuperare l’intera saga finendo con l’amare alla follia le dinamiche di gioco.

E’ solo nel 2017 che inizia la mia passione per Resident Evil, approfittando degli sconti sul bundle delle origini contenente il remake di Resident Evil 1 e 0. Un survival davvero complicato, intrighi nell’ombra, personaggi interessanti (al netto della piattezza originale) e le incredibili sfaccettature di villa Spencer mi conquistarono dal primo momento e lanciandomi verso il recupero dell’intera serie (ad eccezione del sesto capitolo, lì non ce l’ho fatta) con il picco raggiunto con il quarto capitolo su cui inizialmente non avrei scommesso un centesimo.

E’ curioso che qualche anno prima avessi comprato il Code Veronica X per Playstation 2 grazie ad una rara offerta di Gamestop, ma non avendo il background giusto per godere appieno dell’opera di Mikami rimase a far polvere in libreria. E così questo marzo ancora in estasi dopo aver finito il remake di Resident Evil 2 mi sono ri-tuffato nei panni di Claire Redfield per raggiungere Rockfort Island per una seconda, indimenticabile avventura.

Stavolta si va fino in fondo

Giocare Code Veronica X subito dopo il secondo capitolo è la scelta più azzeccata, dato che la nuova avventura di Claire Redfield ha luogo tre mesi dopo l’ecatombe di Raccoon City con la giovane ma intrepida ragazza in cerca del fratello Chris, agente della S.T.A.R.S. che per primo ha affrontato il virus-T e le sue aberrazioni nel sopralluogo a villa Spencer nel luglio del 1998.

Le orme di Chris conducono Claire in uno stabilimento parigino della Umbrella Corporation dove però la fanciulla viene catturata al termine di una spettacolare sequenza iniziale in computer grafica e spedita nella prigione di Rockfort Island, isola dell’oceano Atlantico di proprietà della multinazionale. La carcerazione diventa l’ultimo dei problemi per Claire quando la base viene improvvisamente attaccata con agenti virali che scatenano un’altra epidemia zombie portatrice di panico e morte, e quando tutto sembra perso per Claire, lasciata al suo destino dietro le sbarre su un’isola colma di zombie, ecco che l’ex carceriere Rodrigo Juan Raval ferito ed in fin di vita decide di donarle la libertà in uno slancio di compassione.

Queste le premesse di quello che è probabilmente il capitolo più sottovalutato della saga, un punto saliente del franchise pensato per essere originariamente il vero Resident Evil 3 (così è considerato dai creatori) ma per una serie di incastri fu lo spin off a diventare il terzo capitolo effettivo della serie (quello col Nemesis tanto per intenderci), dato che Code Veronica fu pensato per essere lanciato su Sega Saturn ma slittò su Dreamcast a causa del dilatarsi delle tempistiche di sviluppo, finendo in un secondo momento anche su PlayStation 2 e GameCube per via delle scarse vendite in una versione simil director’s cut con più cutscenes, chiamata Code Veronica X. A quanto pare l’assenza del numero tre ad indicare il capitolo era dovuto al fatto che all’epoca solo i giochi PlayStation venivano numerati secondo Yoshiki Okamoto, supervisore del progetto.

Il focus di Nextech, l’unico team esterno a Capcom a lavorare su un Resident Evil, fu quello di rendere il progetto mastodontico potendo sfruttare la potenza della nuova generazione di console, non più sfondi piatti e pre-renderizzati quindi ma per la prima volta nella serie le ambientazioni erano in 3D, la mole di aree esplorabili era ben superiore ai predecessori con conseguente aumento della longevità che arrivò quasi fino a doppiare i precedenti capitoli.

You were almost a Jill sandwich!

Non solo quantità ma anche tanta qualità a partire dall’ottima sceneggiatura dei personaggi, lontana anni luce dal bislacco “Jill sandwich” con cui Barry Burton sdrammatizzava la quasi dipartita della collega nel primo capitolo. Se da un lato rivediamo facce vecchie come Claire, che in questo capitolo veste un modello poligonale più “tosto” rispetto a quello esile del secondo implicando la crescita del personaggio dopo gli eventi di Raccoon City, o Albert Wesker e lo stesso Chris Redfield, d’altra parte ci sono tante novità che non solo allargano la lore della serie ma presentano spunti di sceneggiatura davvero freschi per i primi anni duemila.

Non voglio anticiparvi troppo perchè molti non hanno giocato questa perla, userò un approccio quanto più spoiler free possibile ma fidatevi, ne vale la pena.

In Code Veronica X la figura dell’antagonista è interpretata da Alfred Ashford, personaggio che non si limita ad approfondire la genesi della Umbrella Corporation e di come siano iniziati i progetti legati al virus T ma incarna con la gemella Alexia una delle trovate di trama più originali ed inquietanti di tutta la saga legata al misterioso virus Veronica, una storia malata fino al midollo con qualche momento alla Psycho che vi sorprenderà senza dubbio. La crudeltà dei bambini, una dinastia da restaurare e la misteriosa scomparsa del capofamiglia Alexander sono pochi indizi che vi porteranno a completare un puzzle sconvolgente.

Paziente con problemi al fegato

Ma non sono tutti mangia-cervelli o svitati gli ospiti di Rockfort Island, al pari di Claire ci sono anche semplici vittime delle circostanze che devono fare i conti con drammi personali persino più profondi della lotta per la vita, un unicum per la serie in tal senso è la struggente epopea di Steve Burnside spalla di Claire la cui storia è tra le più travagliate e melodrammatiche sceneggiate dal team di Mikami. A soli diciassette anni Steve è rinchiuso sull’isola a causa del tradimento del padre, ex dipendente Umbrella per cui paga gli errori (è orfano di madre a causa della multinazionale), durante l’epidemia il ragazzo manifesta un carattere esuberante ed ostinato che in un primo momento lo mette in contrasto con Claire finendo poi per spalleggiarla ed innamorarsene in un cerchio quasi perfetto rimasto incompiuto perchè quello che troverà lo segnerà irrimediabilmente, in tutti i sensi.

Se non siete troppo interessati alle malate macchinazioni della genealogia Ashford, al dramma del povero Steve o ai piani di Wesker avrete comunque pane per i vostri denti: Code Veronica non spicca solo per longevità e trama ma vanta uno dei bestiari più variegati della serie che ben si sposa con la moltitudine di ambientazioni che il gioco offre, a partire dai classici laboratori sotterranei alla villa di famiglia degli Ashford per finire nell’inquietantissimo ed infestatissimo castello in stile gotico brulicante di pipistrelli, non morti e segreti agghiaccianti.

Uno dei motivi per cui spesso lo si etichetta come capitolo più difficile è dovuto alla moltitudine e varietà di creature che infestano Rockfort Island e l’Antartide (sì, ci finirete), dagli immancabili zombi umanoidi e canidi alle fastidiosissime falene velenose (a mani basse le creature più stressanti dell’intero franchise) passando per i bandersnatch (non il film Netflix) creature davvero spaventose la cui pelle giallastra sembra sciolta dall’acido con grosse arterie rosso vivo a frastagliare la carnagione a cui come se non bastasse manca un braccio, il che non le rende meno temibili perchè in compenso l’altro arto è allungabile a dismisura il che vi darà non poche noie. A coronamento dell’opera salamandre geneticamente modificate, il ritorno degli hunters, i vermoni giganti che fanno tanto Tremors e vedove nere grandi quasi quanto quelle australiane. Discorso a parte per i boss, mediamente meravigliosi con alcune aberrazioni da brividi sulla schiena che riescono a dare un perenne senso di inquietudine e risultando persino frustranti a volte, il caso del Tyrant è eclatante in tal senso.

Cara Sony, una settimana mi sta stretta

Riportando il discorso su un piano più personale ho (quasi) completato la storia in una ventina di ore in una serrata lotta contro l’orologio fatto di impegni, code per giocare e l’intoppo Bloodborne. Dico quasi perchè la settimana di prova si è conclusa proprio sul più bello, a circa l’85% dell’avventura. Code Veronica X è un gioco fantastico ma a tratti un po’ dispersivo, soprattutto se si è reduci dai primissimi capitoli della serie che essendo stati pubblicati su console maggiormente limitate potevano contare su ambienti più densi e congestionati, un’esigenza venuta meno col passaggio su Dreamcast/PS2, il che si traduce in qualche classico momento di backtracking maggiormente dilatato rispetto al passato.

Peggio delle file alle poste nel periodo delle pensioni

Con mio sommo rammarico la mia lotta contro il tempo per cercare di finire Code Veronica è andata a farsi benedire a causa della concomitanza del mio onomastico e quindi degli impegni sociali che ne conseguono (leggasi: parenti ed amici affamati di zeppole di San Giuseppe). I miei Chris e Claire non sono riusciti a compiere il loro viaggio proprio in prossimità dell’ultimo boss, nel momento in cui la tensione fa esplodere il cuore e provi quel prurito alle dita poichè ogni nodo è venuto al pettine e non ti rimane altro che portare a casa la pellaccia. E’ finito il momento di scervellarsi su enigmi, gestione dell’inventario o su come preservare le (esigue) cure, la fine è vicina.

Come per ogni Resident Evil che si rispetti il finale di Code Veronica X è un continuo saliscendi sulle montagne russe, un susseguirsi di filmati e combattimenti coi boss ai quali bisogna essere molto ben preparati altrimenti senza armi giuste e nervi saldi potrebbero volerci fin troppo tempo e pazienza. Lo scontro tra Chris e la nemesi Wesker, la verità sul famigerato codice Veronica e la burrascosa fine di Steve rappresentano tre momenti cruciali per l’opera che si condensano in un finale pirotecnico ed altamente spettacolare che rende giustizia al percorso dei personaggi e non scade in banali colpi di scena.

Con i titoli di coda non è calato il sipario solo sugli orrori di Rockfort Island ma sulla saga stessa per come la conoscevamo. Le inquadrature fisse e la legnosità dei controlli non tenevano il passo con l’evoluzione della giocabilità moderna, evoluzione concretizzatasi con Resident Evil 4 e la sua innovativa telecamera sulla spalla portatrice di una nuova e prorompente forza espressiva di cui beneficiò non solo il brand ma tutti gli sparatutto in terza persona degli ultimi quindici anni. Code Veronica è quindi da annoverare come la massima espressione dell’epoca classica della serie, un capitolo che è la summa di quanto fatto fino a quel momento che non potrà deludervi, provare per credere.

PlayStation Now, una manna per i retrogamer?

Allo stato attuale, nì. Essendo passati solo pochi mesi dal lancio italiano (ma con un ritardo di ben cinque anni rispetto all’utenza statunitense) il PlayStation Now è un servizio ancora acerbo per garantire sessioni di gioco fruibili senza particolari intoppi, questo giudizio si basa sul servizio PC. La mia esperienza su un titolo impegnativo come Bloodborne è stata francamente disastrosa, con input lag esagerato ed una risoluzione troppo spesso precaria che costringeva a giocare ben al di sotto dell’alta definizione. Tutto ciò in modalità singleplayer, dato che visti gli scarsi risultati non ho avuto l’ardore di giocare online, opzione che avendo una connessione fibra dovrebbe essere ampiamente alla portata.

Guardando il bicchiere mezzo pieno non ho mai riscontrato code eccessivamente lunghe per giocare o quantomeno mai che si siano superati i cinque minuti di attesa, sul versante retrogaming oltre ad esserci una buona scelta di titoli i server hanno dato l’impressione di mantenere sempre un buon livello in quanto a framerate, qualità grafica (magari essendo un gioco PS2 qualche sporadico calo è passato in sordina come grafica vintage) e risposta dei comandi.

La libreria del PlayStation Now conta circa 650 giochi, di cui la metà sono quasi tutti per PS3 mentre una decina per PS2. Prima di sottoscrivere l’abbonamento di 15€ mensili (aderite alla prova gratuita in ogni caso) o 99€ annuale fareste bene a controllare se i titoli che più vi interessano sono compresi nell’offerta, potete consultare questa lista che è la più chiara che sono riuscito a trovare, o quella del sito ufficiale Sony che in teoria dovrebbe essere aggiornata man mano. I giochi sono tanti ma naturalmente non comprendono la totalità dell’offerta Sony delle ultime tre generazioni, mancano molte saghe importanti come Final Fantasy,Jack and Dexter o i remake di Crash e Spyro, lo stesso Resident Evil è per ora circoscritto ai due Revelations, al Code Veronica X, agli Umbrella e Darkside Chronicles e Operation Raccoon City.

Chi volesse provare alcune grandi esclusive degli ultimi anni avrà a disposizione Ico, Shadow of the Colossus, Yakuza 4 e 5, Heavy Rain e la saga completa di God Of War più qualche extra nostalgico come Rogue Galaxy, Wild Arms, Forbidden Siren e le HD collection di Metal Gear, Silent Hill e Devil May Cry. La ciccia c’è, Sony sta cercando di portare tutte le saghe storiche sul servizio in streaming ma le lacune sono ancora grosse, il che rende il PlayStation Now un servizio adatto a chi vuole recuperare i titoli più mainstream della casa di Kyoto e godersi qualche vecchia perla senza pretendere cimeli di nicchia, potendo contare su diverse remastered uscite per PS3 di giochi della prima e seconda generazione.

Il PlayStation Now dunque è un buon inizio se volete iniziare a recuperare vecchie leggende (ma neanche troppo vecchie) senza inondare il salone o la stanzetta di console Sony, che però saranno richieste nel caso vogliate andare oltre l’antipasto che troverete sulla piattaforma. Il prezzo, lo ribadisco, è di quindici euro al mese o novantanove euro (circa otto) all’anno, che ha bisogno di un paio di precisazioni.

  1. Se il servizio funzionasse perfettamente (la prova è relativa ad una macchina Windows 10, su cui a differenza della PS4 non è possibile scaricare i giochi) senza lag clamorosi, una definizione che tenesse almeno l’alta definizione e le code non fossero eccessive, varrebbe la spesa mensile se non quella annuale data la grande disponibilità di giochi recenti e moderni che altrimenti farebbero lievitare il prezzo.
  2. Se invece ci si volesse rivolgere al PSNow come piattaforma di puro retrogaming io personalmente lo sconsiglierei, o quantomeno valuterei il rinnovo mese dopo mese. Sono presenti in catalogo molti giochi appetibili ed anche relativamente rari da trovare sul mercato dell’usato, ma non così tanti da definirlo un vero e proprio must.

Per fare un raffronto basti pensare che il solo Code Veronica X in versione platinum per PS2 sfora facilmente i dieci euro su piattaforme come eBay e Subito.it, mentre la versione “liscia” arriva a costare sui 20€. Se però state pianificando il recupero per Dreamcast o GameCube desistete, o proseguite solo se realmente affezionati, dato che i prezzi schizzano dai 35 ai 60 euro.

Giuseppe Pirozzi

Napoletano sui 25. Studente di lettere, giornalista pubblicista, racconto la Campania ma di professione faccio l'accumulatore seriale di libri, fumetti e videogiochi.

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