Il 27 novembre 1998, ormai quasi venti anni fa, il SEGA Dreamcast fece il suo esordio sul mercato giapponese, per raggiungere l’anno successivo anche Europa e Stati Uniti. L’industria videoludica si avviava, così, verso uno dei suoi più grandi e rilevanti cambiamenti.
Il suo difficile ruolo fu chiaro fin da principio: risollevare le condizioni, non certamente brillanti, in cui tergiversava l’azienda. La quale si vedeva costretta a far fronte a perdite nette di circa 270 milioni di dollari nell’ultimo anno fiscale e riscattare l’immeritato insuccesso del suo predecessore, il Sega Saturn; una macchina alquanto performante, ma allo stesso tempo molto difficile da programmare.
Ma come si presentava la nuova e promettente console di SEGA al lancio? Vediamolo nel dettaglio.
A muovere la console era un processore SuperH 4 prodotto da Hitachi, in grado di raggiungere una frequenza di clock pari 203 MHz. Poteva contare su ben 32MB di RAM e una GPU, che le permetteva di renderizzare fino a sette milioni di poligoni; questi numeri sancivano, sulla carta e non solo, la superiorità del Dreamcast rispetto a tutte le altre console di quinta generazione, con cui si trovava attualmente a competere.
Il sistema operativo montato era un adattamento di Windows CE, fornito dalla stessa Microsoft. Questo permetteva, inoltre, l’esecuzione di tracce audio in formato Mp3 dal menu principale.
Come supporto ottico fu scelto il GD-ROM, un particolare formato nato dalla collaborazione tra SEGA e Yamaha. Esso offriva uno spazio di 1,2GB, attraverso una maggiore densità di bit; quasi il doppio rispetto a un normale CD.
Una particolarità unica di questa macchina fu sicuramente la dotazione di un modem (di 56 e 33,6 Kb/s rispettivamente nelle versioni NTSC e PAL). Il quale consentiva di connettersi ai servizi di SegaNet e Dreamarena, a seconda della regione di appartenenza e la libera navigazione su internet; l’esperienza di gioco online offerta si rivelò davvero soddisfacente per i tempi e presentava un lag davvero contenuto.
Nel caso non ne foste a conoscenza, vi apparirà piuttosto sorprendente sapere che il gamepad, che presentava la console, era dotato di un piccolo dispositivo estraibile, denominato VMU (Visual Memory Unit) caratterizzato da uno schermo LCD, che solitamente mostrava un’immagine per ogni gioco in esecuzione, una memoria da 128KB, in grado di archiviare circa 200 salvataggi di gioco e funzionalità simili a quelle di un Tamagotchi, se usato separatamente dal pad.
Tra i vari e curiosissimi accessori che supportarono caratteristiche di alcuni giochi si ricordano anche:
All’uscita, l’ultima fatica hardware targata SEGA ricevette un’accoglienza piuttosto calorosa in Giappone, suscitando un grande entusiasmo tra gli acquirenti; regione dove nel giro di tre mesi riuscì a piazzare circa 900.000 unità. Ma la vera sorpresa fu rappresentata dal lancio americano, dove furono venduti 500.000 esemplari in sole due settimane, raggiungendo il milione in poco meno di due mesi dall’uscita. Andando così a polverizzare il record stabilito da PlayStation (arrivata alla stessa quantità nell’arco di ben nove mesi).
Nel periodo che va dai primi giorni di vita di Dreamcast fino agli inizi del 2001 Sega diede mostra delle sue grandi capacità nel realizzare software di qualità e di aggiudicarsi il supporto delle terze parti; un esempio lo offrono titoli del calibro di Shenmue, Skies of Arcadia, Sonic Adventure e molti altri.
Ma i guai non tardarono ad arrivare…
In seguito a quattro anni di perdite sempre più ingenti, causate in principio dalla mancata spinta finanziaria del Sega Genesis e poi dai ricavi decisamente sotto le aspettative dei titoli di punta, che faticavano a coprire i costi di sviluppo e le spese di marketing; il tutto in aggiunta all’arresto improvviso delle vendite di Dreamcast, in vista dell’uscita dell’attesissima e ben presto inarrestabile PlayStation 2.
L’andamento finanziario dell’azienda mostra un brusco calo a partire dal 1997, raggiungendo il picco negativo nel 2001.
La situazione si fece ben presto insostenibile per la compagnia di Tokyo e il 31 gennaio 2001 fu diffuso il terribile annuncio. Fu confermata la cessazione della produzione di Dreamcast nel marzo di quell’anno, sancendo in modo definitivo, l’abbandono del mercato hardware da parte di SEGA.
Per evitare il collasso più totale, lo storico presidente e principale azionista, Isao Okawa, decise di donare la propria intera fortuna di circa 695 milioni di dollari all’azienda; in un ultimo disperato tentativo egli stesso si recò più volte al quartier generale di Microsoft, trattando con Bill Gates in persona.
Durante quegli incontri l’obiettivo dell’imprenditore giapponese fu quello di favorire la migrazione software del Dreamcast nella nuova console di casa Redmond, che avrebbe esordito nel novembre di quell’anno; in modo da offrire agli acquirenti una nuova alternativa evitandogli il senso di totale abbandono.
L’accordo sfortunatamente sfumò, si dice per la riluttanza di Microsoft nel prendere sulle proprie spalle le funzionalità online dei titoli di Dreamcast. In seguito alla serie di notizie spiacevoli e alla vista del disfacimento della propria azienda il cuore di Okawa non resse. L’amato presidente ci lasciò a 74 anni nel marzo di quell’anno.
Questa fu la tragica sorte di una società, che nonostante la console, per certi aspetti davvero innovativa rispetto alle concorrenti. Ma anche capace di far rientrare nei propri piani progetti con budget impensabili per quei tempi, si vide soffocata dai debiti e dall’agguerrita concorrenza di avversari del calibro di PlayStation.
La spietata sentenza costrinse, così, SEGA ad abbandonare definitivamente l’universo hardware, relegandola successivamente alla pubblicazione ed allo sviluppo di software; basta una veloce occhiata all’indietro per rendersi conto di come quella di oggi non sia altro che un’ombra sfumata della compagnia leader di un tempo.
Tuttavia, la sua immagine migliore vive ancora nei ricordi dei più, per la passione e l’impegno mostrati in passato nella creazione di videogiochi e delle macchine su cui hanno preso vita.
Un chiaro esempio di ciò si è visto nel 2015 grazie al successo della campagna Kickstarter del terzo capitolo di Shenmue, la cui saga, nata su Dreamcast, non ebbe la possibilità di giungere alla propria conclusione. Con essa quasi 70.000 appassionati e nostalgici, insieme al supporto di Sony e in seguito della stessa SEGA hanno collaborato in un’iniziativa che fino a poco tempo fa appariva impensabile. Il tutto in memoria di un modo di fare giochi sempre più raro e di una console, che conobbe un troppo sfortunato e prematuro epilogo.
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