La storia del Super Nintendo (SNES)

Una console entrata di diritto nel Mito: ripercorriamo le gesta della piattaforma 16-bit di Nintendo!

Hardware di Massimo Reina

Dici Super Nintendo e subito ti vengono in mente i videogiochi, i caldi pomeriggi di inverno trascorsi in famiglia davanti alla TV, o le fresche serate d’estate con gli amici sulle note di Everybody Hurts dei R.E.M o della dance più commerciale dei Datura o degli Snap. Dici Super Nintendo e ti si apre un mondo, quello dei ricordi più cari, intimi, di un tempo passato che purtroppo non tornerà ma dove ci piacerebbe rituffarci senza pensarci su due volte, per riprovare certe emozioni, rivivere certi momenti e continuare a coltivare alcuni di quei sogni poi spariti con la maggiore età.

Perché è innegabile che questa console a 16-bit di Nintendo è per tanti di noi molto di più che una semplice piattaforma di gioco. E’ un’amicizia rinsaldata, un amore sbocciato, una carezza della nonna, l’odore di casa, i compiti non finiti, una canzone di Vasco, un momento di gioia. E’ il ricordo di un tempo meraviglioso, la compagna di mille partite e di tanti momenti spensierati. Una macchina che conserva ancora un posto d’onore nel cuore degli appassionati proprio per questo, perché ha saputo regalare capolavori, ma soprattutto tantissime ore liete e di grande divertimento.
In una parola: emozioni.

[C’era una volta una console…]

Sul finire degli anni ’80, in un’epoca di grande fermento per il mondo dell’informatica, un’azienda giapponese di nome Nintendo dominava il mercato dell’intrattenimento elettronico casalingo grazie alla sua console a 8-bit, ovverosia il Famicom. Conosciuta in occidente col nome di Nintendo Entertainment System, la sua presenza era così radicata nel tessuto sociale di tanti Paesi, che perfino il Senato americano, preoccupato, aprì un’indagine sostenendo che i “computer giapponesi” costituivano una minaccia alla sovranità nazionale degli Stati Uniti.

In questo contesto non c’era ovviamente spazio per potenziali rivali di Nintendo. SEGA e NEC, per esempio, interessate ad assicurarsi una fetta consistente del mercato, consce dell’impossibilità di poter rivaleggiare alla pari con la società di Kyoto, decisero di guardare oltre, concentrandosi sulla produzione di una nuova generazione di macchine più potenti e quindi in grado di proporre al pubblico grafica e sonoro superiori rispetto a quelli possibili sulla piattaforma Nintendo. Così nel 1987, NEC con la collaborazione di Hudson Soft lanciò sul mercato asiatico il suo PC Engine, il cui cuore pulsante era in realtà un processore a 8-bit, seguita l’anno dopo da SEGA col suo Mega Drive, console basata su un’architettura a 16-bit.

[Nintendo al contrattacco]

Scossa dalle manovre commerciali dei rivali, Nintendo decise di passare all’azione e incaricò Masayuki Uemura, il designer del primo Famicom, di progettare un nuovo sistema, questa volta a 16-bit. L’ingegnere si mise subito all’opera e iniziò a sviluppare delle idee: nella sua mente la nuova console avrebbe dovuto spingersi ancora più in là della precedente, e non solo dal punto di vista della potenza. Sarebbe stata la prima ad aprire le porte al concetto di interazione tra chip interni ed esterni, ci sarebbe stata la retrocompatibilità coi giochi del NES e avrebbe avuto un processore audio in grado di garantire una grande qualità sonora.

Per Uemura, infatti, dei segnali acustici semplici avevano senso in una sala giochi, perché tanto tutto si perdeva fra i mille rumori provenienti dai vari coin-op o generati dal pubblico. Ma in una casa, lontano dalla cacofonia del cabinato, suoni così elementari e ripetitivi sarebbero risultati parecchio irritanti alle orecchie degli utenti. Per questo motivo Nintendo decise di rivolgersi a Sony, uno dei leader indiscussi del mercato nel campo dello sviluppo di sistemi audio, stringendo un accordo con il giovane ingegnere Ken Kutaragi, il futuro papà di PlayStation, che realizzerà il chip noto come Sony SPC-700.

A gestire il tutto ci sarebbe stata una CPU a 16-bit che Uemura e il suo staff volevano in grado di interfacciarsi con dei chip speciali nelle cartucce.

In questo modo avrebbe potuto elaborare dei calcoli matematici complessi in grado di migliorare i giochi, senza pesare su di essa. Insomma, anziché optare per una CPU costosa che avrebbe influito anche sul prezzo finale della console, col rischio di diventare obsoleta nel giro di pochi anni, i progettisti pensarono a una soluzione più flessibile e in grado di allungarne la longevità. Questo processore principale, realizzato nei mesi successivi da Ricoh Company, Ltd., si baserà sulla famiglia di microprocessori MOS 6502, e verrà chiamato Ricoh 5A22. E poi c’era la questione CD-ROM. Siamo ancora nel 1988, ma NEC aveva già rilasciato una periferica per il suo PC Engine capace di riprodurre compact disc audio e giochi, e SEGA stava lavorando in gran segreto a un progetto analogo.

Qualcuno, in Nintendo, non voleva rimanere spiazzato, e già che c’era voleva sviluppare qualcosa in tal senso appoggiandosi nuovamente a Ken Kutaragi e alla “sua” azienda. Venne così stipulata una partnership con Sony per la realizzazione di un lettore compact disc da abbinare alla console Super Nintendo, chiamato provvisoriamente SNES-CD, e più in appresso per un’unità combinata di nome Play Station, marchiata Sony, che doveva fungere da console con le cartucce del Super Nintendo e da lettore dischi.

Nel dicembre del 1988, intanto, Nintendo svelò un primo prototipo della console regolare e del joypad attraverso due articoli che apparvero sulle riviste Famicom Hissyoubon e Famitsu. L’erede del Famicom si presentava al pubblico con un design dalla forma compatta, colori grigio-azzurro e bianco, due ingressi sulla parte frontale a sinistra per i controller. Questi ultimi dalla forma “a osso” con i bordi arrotondati non dissimile da quella che vedremo poi anni dopo nell’originale, erano caratterizzati da quattro pulsanti aggiuntivi rispetto al controller del NES. Questi, di color rosso-arancio acceso, erano disposti di sopra, indicati con le lettere C e D, al fianco dei precedenti A e B, mentre gli altri due, denominati L ed R, erano frontali.

Questa soluzione verrà ripresa in futuro dalla maggior parte dei gamepad dei produttori concorrenti. C’erano poi tre bottoni, Power, Reset e il misterioso Famicon, incolonnati in verticale sulla faccia alta della console, sotto l’ingresso per le cartucce. Sul fianco destro erano presenti poi un ingresso per un connettore jack e un controllo per il volume. Negli articoli si parlava anche di alcune delle caratteristiche tecniche della macchina e di retrocompatibilità coi giochi del Nintendo Entertainment System.

Una caratteristica che sparì però già qualche mese dopo, quando a giugno del 1989 Nintendo mostrò un secondo prototipo del sistema. Ora la console aveva una forma più armoniosa e rotonda, abbastanza simile a quella finale. I colori erano grigio e grigio scuro, sull’estremità, sotto la fessura per le cartucce, c’erano tre pulsanti adibiti per il Reset, per l’accensione e per espellere i giochi, stavolta disposti uno di fianco all’altro in basso. Il pad aveva la solita forma, ma con le lettere X e Y, B e A a contrassegnare i tasti in alto e l’hardware prometteva mirabilie. I fan erano entusiasti e bramavano di informazioni sempre più dettagliate sul Super Famicom. Invece, subito dopo questa seconda apparizione, sul progetto cadde un pesante silenzio, a parte i soliti rumor: Uemura  e il suo staff non volevano distrazioni. Le varie fasi di studio portarono il team di sviluppo hardware a confrontarsi su diversi concept e idee, a cercare nuovi spunti, a tagliare o a migliorare gli elementi già approvati e considerati validi attraverso tutta una serie di test. Fino al completamento dei lavori.

[Il lancio sul mercato]

Il 21 novembre 1990 il Super Famicom arrivò finalmente sul mercato giapponese al prezzo di 25,000 yen, accompagnato da soli due titoli di lancio, anche se del calibro di Super Mario World e F-Zero. Il trionfo fu immediato, con trecentomila unità vendute nel giro di poche ore. Grazie a un prezzo concorrenziale, al design compatto ed elegante, al controller ergonomico comodo da tenere e utilizzare coi suoi quattro colori blu, verde, rosso e giallo, e alla partnership consolidata e già confermata per il futuro con la maggior parte dei principali sviluppatori di terze parti del suo sistema precedente, tra cui Capcom, Konami, Tecmo, Square, Koei ed Enix, nei mesi successivi consolidò addirittura la sua posizione nel mercato asiatico.

Il pubblico ebbe conferma che il Super Nintendo era davvero una console “avanti” per l’epoca, e che molte delle originali caratteristiche annunciate in fase di progettazione erano presenti. A cominciare da una struttura hardware che conteneva davvero delle routine speciali programmate per effettuare delle complesse operazioni come la rotazione, la trasparenza e lo scaling senza gravare direttamente sulla CPU. Allo stesso modo l’unità centrale poteva interagire con dei coprocessori esterni specializzati nel suo supporto, come per esempio il famoso DSP-1, utilizzato in Pilotwings e Super Mario Kart, o il  Super FX, posti proprio all’interno delle cartucce dei giochi, per incrementarne le prestazioni.

Consolidato il successo in patria, per l’azienda di Kyoto era arrivato il momento di esportare il suo gioiellino anche in occidente. Nel 1991, ribattezzato Super Nintendo e con colori e un disegno del case diverso e più squadrato a opera di Lance Barr, designer di Nintendo of America, la console arrivò negli Stati Uniti in bundle con Super Mario World, mentre nel 1992 giunse finalmente in Europa con lo stesso nome “americano”,  ma con la forma arrotondata e i colori della controparte orientale. Nel mezzo la rottura con Sony e la fine del progetto SNES-CD-Play Station. Ad ogni modo, sia nel Nuovo che nel Vecchio Continente Nintendo si ritrovò a dover rincorrere i rivali di SEGA. L’azienda di Tokyo, infatti, era sbarcata in Nord America e in Europa da quasi due anni, e col suo Mega Drive (Genesis negli USA) aveva sbaragliato la concorrenza del TurboGrafx-16 di NEC e conquistato buona parte del mercato. Eppure, con molta pazienza e strategia, un’ottima campagna pubblicitaria incentrata sui potenti chip grafici della console, e i primi titoli di un certo spessore rilasciati a cadenza regolare, su tutti l’ottima conversione di Street Fighter II: The World Warrior, uno dei coin-op più famosi dell’epoca, la situazione volse presto in favore di Nintendo.

La console poté contare per anni su decine e decine di grandi giochi, comprese le migliori esclusive terze parti. Una valanga di titoli di grande livello che si susseguirono anno dopo anno, a ritmo vertiginoso, facendo del Super Nintendo una macchina in grado di soddisfare le esigenze di qualsiasi tipo di videogiocatore. Alla fine del suo ciclo la console si è ritrovata ad avere una delle ludoteche più belle e complete della storia dei videogiochi.
Dare un’occhiata alla lunghissima lista di autentici capolavori rilasciati su questa piattaforma può dare subito l’idea di quello che essa ha costituito negli anni per ogni appassionato: Super Mario World, Zelda, Super Metroid, Super Mario Kart, la trilogia di Donkey Kong Country. E ancora, Final Fantasy V e VI, Dragon Quest V, Megaman X, Battletoads in Battlemaniacs, Chrono Trigger, ma anche titoli come Super Mario RPG, e Yoshi’s Island, a dimostrare come l’arte e la poesia visiva di certe ambientazioni potevano convivere bellamente con l’intrattenimento.

Quando nel 1994 Sony fece il suo trionfale esordio sul mercato videoludico con la sua con la sua PlayStation, vendendo qualcosa come un milione di unità in Giappone nei suoi primi tre mesi di vita, Nintendo riuscì ancora a tenere botta proprio grazie ai suoi meravigliosi giochi, su tutti Donkey Kong Country. Ma pian piano dovette iniziare a cedere il passo. Grazie alle sue specifiche tecniche, ai nuovi supporti CD, al controller e a titoli come Ridge Racer e Toshinden, PlayStation attirò l’attenzione dei giocatori, dimostrando che Sony Computer Entertainment aveva tutte le carte in regola per competere con i veterani del settore.

Nel 1995 la console targata Sony sbarcò anche in Europa e l’anno dopo, con lo slogan “non sottovalutare la potenza di PlayStation”, consolidò la sua posizione sul mercato, conquistando il cuore di milioni di utenti. E per il Super Nintendo cominciò un lento quanto inesorabile declino. La console venne prodotta ancora per qualche anno in Giappone, dove il Super Famicom smise di essere fabbricato il 25 Settembre del 2003.
Da allora di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta, e personalmente ammetto di essermi divertito tantissimo negli anni grazie alle varie piattaforme di Sony e Microsoft, e perfino con le sfortunate GameCube di Nintendo e Dreamcast di SEGA. Ma mai nessuno, devo dirlo, ha saputo regalarmi le stesse emozioni di quella piccola, grande scatoletta grigia.

 

SCHEDA TECNICA

Nome: Super Nintendo (Super Famicom in Giappone)
Casa Produttrice: Nintendo
Tipo: Console
Origine: Giappone
Nascita: 21 Novembre 1990
Fine Produzione: 2003
CPU: Ricoh 5A22 basato su core 16-bit 65c816
Velocità’: 21.28137 MHz (PAL) – 21.47727 MHz (NTSC)
CO-Processore: Ricoh 5C77 (PPU1) e Ricoh 5C78
CO-Processori esterni: DSP chipset (scaling e sfondo in Mode 7), Super FX (mondi 3D, texture e gestione delle sorgenti luminose), SPC700 (sonoro e I/O)
RAM: 128 KB on board. 64 Kbyte VRAM dedicata al processore video; 64 Kbyte dedicati al processore audio.
Risoluzione: Progressiva – 256×224, 512×224, 256×239, 512×239; Interlacciata – 512×448, 512×478
Colori: Palette 32768 (15-bit)
On screen: 256
Sonoro: SPC700 16-bit ADPCM, 8 canali, 32 kHz 16-bit stereo
Porte I/O: RF Out, RGB (versioni PAL e NTSC), MULTI-OUT, AC Adapter, interfaccia per cartuccia, 2 porte Joystick
Periferiche di Serie: Cartucce
Supporti di memorizzazione: Cartucce elettroniche da 2 Mbit a 48 Mbit
Alimentazione: Alimentatore esterno, 9V 1.3A AC (corrente alternata)

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