Ho sempre adorato i post mortem: articoli sintetici che offrono un punto di vista capace di abbracciare l’excursus di un’IP, dalla sua concettualizzazione al legittimo game over, scritti col senno di poi e senza farsi prendere dall’entusiasmo. Non che se ne trovino molti, in realtà. Sono pezzi difficili da produrre, che richiedono uno studio approfondito di ogni vecchia news, dichiarazione, intervista e chi più ne ha più ne metta, quando la maggior parte del tuo pubblico ha occhi solo per le novità. In un contesto come questo, però, la logica del tempo da investire nella realizzazione di contenuti sfugge alle dinamiche della classica stampa specializzata mainstream, permettendo a chi collabora volontariamente di perdersi nella ricerca di fonti ormai dimenticate senza la paura di consegnare in ritardo o bucare l’embargo. E così, mentre Antonio ci chiedeva di chiudere gli occhi e scegliere liberamente come contribuire, l’idea di espandere il concetto di post mortem a qualcosa di più elaborato mi è sembrata la più accattivante da abbracciare, anche perché mi avrebbe permesso di tornare su titoli che hanno lasciato un segno nella mia carriera di videogiocatore in una cornice editoriale che non ha nulla da perdere; una pagina bianca ancora tutta da scrivere, senza bandiere da difendere.
Max Payne
Certo, da queste premesse a esordire con un gioco così travagliato come Alan Wake ce ne passa… ed è un po’ come far partire il Giro d’Italia con la scalata del Mortirolo. Dal quel maggio 2005 in cui venne annunciato due settimane prima dell’E3, infatti, in rete si sono affastellati circa 300 aggiornamenti, uno diverso dall’altro, che arrivano fino a luglio del 2017 quando Sam Lake, Creative Director di Remedy Entertainment, ha raccontato che fu Microsoft a bloccare lo sviluppo di Alan Wake 2, perché voleva una nuova IP per il lancio di Xbox One, in occasione del reveal event del 2013. Per capire le origini della storia ambientata a Bright Falls bisogna però tornare ancora un po’ indietro, ossia a quel 2001 che ha visto debuttare il poliziotto Max Payne, antieroe in cerca di vendetta tormentato dal non essere riuscito a salvare moglie e figlia dall’efferatezza di alcuni tossici. Una cupa New York faceva da contraltare alla sua lotta interiore, dove una criminalità senza scrupoli e personaggi privi di alcuna etica o morale alimentavano la sua psicosi, schiacciata da rimorsi e incubi agghiaccianti. Come ha rivelato lo stesso Lake in un’intervista al The Guardian nel 2010, dopo Max Payne nessuno in Remedy voleva abbandonare quell’accento introspettivo che per il genere degli action shooter era stata una rivoluzione. Quindi decisero di continuare su quella linea ma di cambiare prospettiva, ossia affrontare un tipo di conflitto interiore più elementare legato a paure primitive come quella del buio, dell’ignoto o dell’insicurezza del futuro. Il bad cop viene sostituito da uno scrittore in crisi di identità, mentre la metropoli lascia spazio alla cittadina di provincia, che sulla falsariga della fittizia Twin Peaks ha permesso agli sceneggiatori di giocare sul contrasto tra l’idea di un insediamento tranquillo e conservatore, come vuole l’immaginario collettivo, e un’atmosfera surreale costellata da peccati ben custoditi, misteri irrisolti e ambigue presenze soprannaturali.
Per capire le origini di Alan Wake bisogna tornare a quel 2001 che ha visto debuttare Max Payne
Che Sam Lake si sia ispirato all’opera di David Lynch non è un segreto, così come non lo è la somiglianza con l’incipit narrativo di Silent Hill 2, dove un uomo qualunque torna in un luogo familiare, lontano dalla nevrosi della città, per scoprirlo infettato da una presenza oscura che riflette e simboleggia il suo disagio mentale. Bright Falls è tutto questo: una località turistica poco affollata dello Stato di Washington, fatta di tavole calde, traghetti e cottage sul lago, circondata da una grande foresta di conifere punteggiata da piccoli insediamenti industriali, come la segheria e la miniera, ma popolata dall’americano medio, lo stesso che ha reso celebri film come Fargo dei fratelli Coen, American Beauty di Mendes e un’infinità di racconti di Stephen King, altra esplicita fonte di ispirazione. Trovano quindi spazio archetipi come lo sceriffo ingenuo, l’agente dell’FBI fuori sede che alza troppo il gomito e sfodera la pistola senza riflettere, ma anche la cameriera credulona e vanesia, il guardiacaccia con la camicia di flanella che vive isolato dagli altri o il medico compassato; satelliti straordinariamente caratterizzati che permettono al protagonista di essere riconosciuto quale elemento estraneo di un quadro altrimenti in equilibrio.
Alan Wake
Per arrivare al risultato finale, però, Remedy è passata da un purgatorio pieno di prototipi fallimentari. Matias Myllyrinne, al tempo Managing Director dello studio finlandese, ha raccontato in più occasioni che se da un lato la loro volontà era quella di riproporre una narrazione capace di coinvolgere emotivamente il giocatore senza concedergli pause, dall’altro ci sono voluti più di cinque anni per trovare una quadra. Merito anche delle risorse messe sul piatto da Microsoft, che nel 2006 firmò un accordo di esclusiva per Xbox 360 – confermato ufficialmente solo molti mesi dopo – che diede agli sviluppatori il tempo e la libertà di accantonare, ad esempio, l’originaria struttura sandbox in favore di un level design più lineare e stimolante, di continuare a usare un motore grafico proprietario, di ridimensionare l’HUD per offrire un’esperienza maggiormente realistica, e di modellare un mondo di gioco di 100 chilometri quadrati servendosi di 60mila fotografie scattate percorrendo oltre 3mila km in auto nel nord-ovest del Pacifico, compresi quindi lo Stato dell’Oregon e il suo Crater Lake National Park. Un lavoro di ricostruzione monumentale, a cui è seguita una serrata fase di testing che ha riscritto intere porzioni di gioco, diverse sequenze narrative e rivoluzionato una ventina di volte il sistema di controllo pensato all’inizio.
I tempi di lavorazione previsti raddoppiarono e senza l’aiuto di Microsoft non avrebbero visto la luce in fondo al tunnel
L’Art Director Saku Lehtinen, intervistato lo scorso anno, ha dichiarato che i tempi di lavorazione previsti in fase di pre-produzione raddoppiarono e che senza l’aiuto di Microsoft non avrebbero visto la luce in fondo al tunnel, specie dopo aver bucato la prima finestra di lancio. Lo stesso protagonista ha subito una lenta trasformazione, passando dall’essere un amante dell’aria aperta a un personaggio più introverso, quasi insofferente dei grandi spazi. Idem per il sistema di combattimento, che ha ereditato da Max Payne una porzione di bullet time e implementato un cambio di inquadratura scenografico tutt’altro che semplice da realizzare. La verità è che potremmo star qui due ore, citando ogni fonte possibile compresi i leak degli amministratori del forum ufficiale di Remedy, disquisendo di come venne pensato e di com’è stato pubblicato in seguito: resta il fatto che il 14 maggio del 2010 Alan Wake sbarca su Xbox 360, con le redazioni di tutto il mondo che danno il via alla giostra di Metacritic una settimana prima del lancio, accompagnate dalla messa in onda di una miniserie di sei episodi con protagonisti in carne e ossa a mo’ di prequel.
Psychological action thriller
A prescindere dal giudizio delle singole testate e che in alcuni casi, rileggendole ora, presentavano delle sviste piuttosto imbarazzanti, il 9 maggio la software house si dichiarò soddisfatta delle recensioni ricevute: “C’è molto amore per Alan Wake, là fuori, e dovremmo essere dei completi idioti per non esserne soddisfatti”. In linea di massima la critica accolse con grande positività la storyline del protagonista, così come l’infrastruttura narrativa fatta di comprimari del calibro di Barry Wheeler, radio e televisioni che contestualizzavano gli avvenimenti di Bright Falls e raccontavano piccole storie lovecraftiane, ma anche di continui rimandi alle opere di Stephen King e Alfred Hitchcock, quest’ultimo quasi inflazionato dal riproporsi eccessivo della scena dell’attacco aereo tratta dal film del 1963 Gli uccelli.
Il finale di Alan Wake lasciava il giocatore con più domande di quante non ne avesse all’inizio
In maniera del tutto analoga vennero applaudite la colonna sonora, in parte creata ad hoc da Petri Alanko, la ricostruzione delle location e loro vastità, impeccabile sotto molti punti di vista nonostante qualche limite tecnico dovuto alla necessità di mantenere le fasi action sui 30 fps. Chiunque si espresse in merito segnalò un ottimo utilizzo di motion blur e illuminazione dinamica, così come un’efficace gestione delle ombre e della fisica. Un piccolo gioiello, insomma, appesantito certo dall’essere stato sviluppato per una piattaforma non adatta a gestire la mole di calcolo che il gioco avrebbe richiesto per girare in alta risoluzione senza tearing o sbavature, costretta invece ai 960×540 pixel e a un anti-aliasing multisampling a 4x. Il vero tasto dolente era quello delle fasi action, con il protagonista impegnato a sconfiggere delle creature antropomorfe fatte di oscurità – come un disegno a china su cui sia stata versata dell’acqua – armato principalmente di una torcia elettrica e una pistola in un regime di munizioni scarse. Avere la meglio sui nemici era questione di saper gestire con parsimonia le batterie e i proiettili, combinandone l’utilizzo per allontanare da loro il buio e poterli ferire. Per quanto i singoli scontri fossero ben realizzati, Remedy aveva peccato di ripetitività e staticità, ossia presentando delle arene piuttosto simili e non prevedendo una vera evoluzione della sfida. Altro problema era il finale, che a conti fatti lasciava il giocatore con più domande di quante non ne avesse all’inizio e che venne letto da molti come un ostacolo alla felice fruizione del gameplay piuttosto che un punto di partenza per nuovi sviluppi. La natura di Alan Wake, infatti, era quella di un prodotto in evoluzione; la struttura episodica con cui venivano presentati i singoli capitoli dell’avventura, con tanto di “previously on” e “what’s next” tipici di una serie TV, lasciava intendere chiaramente che ci sarebbero stati dei sequel e nel corso degli anni la stessa Remedy dichiarò in più occasioni che l’IP era stata pensata per essere suddivisa in stagioni di cui nessuno, ancora, conosceva il finale. E in parte fu così fin da subito, con i DLC The Signal e The Writer annunciati ancor prima della pubblicazione e resi disponibili a giugno e ottobre dello stesso 2010.
Sell out
Qualcosa però non andò per il verso giusto. Nonostante i feedback positivi i risultati di vendita furono piuttosto fallimentari, forse a causa di una finestra di lancio che si era sovrapposta a quelle di Red Dead Redemption, Super Mario Galaxy 2, UFC 2010 Undisputed e New Super Mario Bros. Stiamo parlando, nel solo mese di maggio per il mercato statunitense, di 145mila copie contro gli 1,5 milioni del capolavoro di Rockstar Games e le 567mila unità di Super Mario Galaxy 2. Qualche mese più tardi Oskari Häkkinen, allora Head of Franchise Development di Remedy, confessò che sia loro che Microsoft stavano ancora monitorando l’andamento delle vendite e che parlare di seguiti o conversioni era prematuro.
Häkkinen confessò che sia loro che Microsoft stavano ancora monitorando l’andamento delle vendite e che parlare di seguiti era prematuro
La storia ci insegna che nel 2012 uscì la versione PC confezionata da Nitro Games e che, stando alle parole di Häkkinen, ciò fu possibile grazie a un concatenarsi di eventi che portarono prima allo sviluppo di Alan Wake’s American Nightmare e poi all’accordo per Quantum Break. A questo punto la ricostruzione degli eventi si fa un po’ confusa. Da una prospettiva prettamente numerica Alan Wake toccò quota 1,4 milioni di copie vendute a dicembre del 2011, 2 milioni nel 2012 e 4,5 milioni a marzo 2015, dimostrando che la base di appassionati si era allargata a macchia d’olio nonostante la diffidenza iniziale. Laddove i due DLC non erano riusciti a convincere del tutto gli utenti Xbox 360, vuoi perché fortemente narrativi e capaci di generare ancora più dubbi sulla sorte finale del protagonista, ormai imprigionato nell’oscurità, la conversione PC – che in sole 48 ore ripagò di tutti i costi di programmazione – diede un boost inarrestabile, tanto che le aspettative che Remedy fosse in procinto di annunciare Alan Wake 2 si fecero più concrete. È bene ricordare che il lavoro di Nitro Games non fu esente da critiche: tra le più discusse ci furono l’implementazione dell’inutile auto-lock per la torcia e la richiesta minima in termini di hardware.
American Nightmare
Presentato come un vero e proprio stand-alone, ma non come un seguito diretto, con tanto di videodiario degli sviluppatori in tre puntate e campagna promozionale, American Nightmare riproponeva le meccaniche narrative viste nell’originale ma in una versione zippata, ampliando però arsenale e combat system; quest’ultimo reso ancora più spettacolare da sequenze al rallentatore dal taglio cinematografico ed esaltato dalla modalità arcade Fight Till Dawn, in cui si doveva sopravvivere fino all’alba a un’orda di nemici da uccidere per recuperare armi e accumulare punteggio. Ambientato in Arizona senza una precisa collocazione temporale, il gioco ricalcava gli stilemi della serie TV Night Springs con cui il giocatore aveva fatto i conti nel titolo originale, introducendo nuovi personaggi come Mr. Graffio, alter ego malvagio di Alan, e alcuni enigmi ambientali. A differenza del suo predecessore, che come abbiamo visto era direttamente ispirato al lavoro di Lynch e Stephen King, American Nightmare si avvicinava di più all’immaginario horror/splatter del cinema d’exploitation, reso celebre da registi come Tarantino e Rodriguez.
American Nightmare riproponeva le meccaniche narrative viste nell’originale ma in una versione zippata
A lato del suo gameplay e dei giudizi della stampa, però, questo “non seguito” fu importante perché diede il là a tutta una serie di polemiche sul futuro dell’IP e sulle reali intenzioni di Remedy. In primo luogo la fan base si era talmente allargata che la scelta di pubblicarlo esclusivamente in versione digitale alzò un polverone tale che persino Larry Hryb, Director of Programming del servizio Xbox Live e noto ai più come Major Nelson, intervenne nella diatriba intervistando Geoff Keighley, giornalista di Spike Magazine e GameTrailers TV, che aveva provato il gioco in previsione degli Spike Video Game Awards del 2011 dove il titolo sarebbe stato ufficialmente presentato. Il messaggio ripreso dalle testate di tutto il mondo era chiaro: per quanto si trattasse di un contenuto scaricabile l’orizzonte era quello di un gioco completo, ambizioso e del tutto paragonabile a prodotti retail. Quando però le persone iniziarono a giocarci si accorsero che, per quanto valido, American Nightmare non era Alan Wake 2, e i forum si riempirono di utenti che chiedevano perché sprecare tempo ed energie in un corposo DLC quando si sarebbero potuti investire in una vera e propria seconda incarnazione. Ripensare a quel maggio del 2012 sapendo come sarebbe andata a finire è piuttosto divertente, anche perché Remedy rispose a questo mormorio virtuale con due tweet capaci di calmare gli animi e rilanciare il proprio brand, senza però sbilanciarsi o mentire. Il primo fu di Matias Myllyrinne e recitava: “Recruiting baby”; il secondo fu di Sam Lake, che tre settimane dopo l’intervento del suo Managing Director dimostrava di essere uno stratega tutt’altro che improvvisato: “It’s all true. It will happen again, in another town, a town called Ordinary. It’s happening now”, linkando il blog di una certa Samantha che raccontava dei suoi sogni relativi a un uomo dai capelli scuri ossessionato dal tenere le luci accese.
Quantum Break
Giusto un paio di mesi prima la software house aveva lasciato trapelare la notizia che stava lavorando con le console di nuova generazione e quando su NeoGAF, il giorno dopo l’uscita di Lake, comparve un messaggio che confermava la registrazione da parte di Remedy Entertainment del dominio alanwake2.com tutti erano pronti a scommettere dei quattrini che all’imminente E3 ci sarebbe stato l’annuncio di Alan Wake 2. Ma la fiera losangelina passò senza colpo ferire e di quei tweet si persero le tracce, forse anche perché di lì a poco non si fece altro che parlare di Quantum Break. Sul finire del 2013, però, iniziarono ad alternarsi alcuni botta e risposta tra Sam Lake e Phil Spencer, Head Executive della divisione Xbox di Microsoft, che nel rimettere sul piatto l’Alan Wake affair portarono i fan della serie a capire finalmente che un ipotetico seguito non era una priorità per la casa di Redmond e che Remedy doveva smetterla di insistere per avere dei finanziamenti, perché “quella era la porta e poteva cercarseli altrove”.
Remedy aveva iniziato a lavorare al secondo capitolo fin dall’uscita del primo, proponendolo immediatamente a Microsoft
È comunque noto che il lupo perde il pelo ma non il vizio, e quando nell’aprile del 2015 Sam Lake si presentò da Polygon con un vecchio prototipo di Alan Wake 2 nessuno ne rimase davvero sorpreso. Certo, le sue dichiarazioni furono abbastanza significative: avevano iniziato a lavorare al secondo capitolo fin dall’uscita del primo, proponendolo immediatamente a Microsoft. Questa rimase colpita dalle idee, ma non si dimostrò interessata. Alcune meccaniche vennero allora riciclate per American Nightmare, mentre il resto rimase – parzialmente – in stand-by, ma ci torno dopo. Ora, se siete arrivati fin qui dovreste avere le idee ben chiare sulla strategia adottata dallo studio finlandese nel corso degli anni: tenere viva un’IP ormai di culto a ogni costo, un po’ per farsi pubblicità indiretta e un po’ per potersi presentare da qualche publisher senza venire accusati di spacciare vaporware. In quest’ottica, quando il 25 febbraio del 2016 Remedy depositò il marchio Alan Wake’s Return in tanti avevano mangiato la foglia. Interpellato da Kotaku, Lake spiegò che si trattava solo di un’operazione volta a tutelarsi da un punto di vista legale, e infatti si scoprì poi che Alan Wake’s Return era solo un easter egg sotto forma di live action presente nel primo atto di Quantum Break. Ciò nonostante la stampa riprese la notizia, e ancora una volta si tornò a parlare di Alan Wake 2.
The end so far
Arriviamo quindi a luglio 2017. Nel corso di un’interessante intervista sul processo creativo ai microfoni di VentureBeat, Sam Lake ha raccontato che quando nel 2010 fece vedere il suo prototipo a Microsoft la trattativa, in realtà, non si concluse lì. Sì, una parte di quel game design venne riutilizzato per American Nightmare, come aveva dichiarato a Polygon un paio di anni prima, ma la commistione tra interazione e live action, ancora acerba nel primo Alan Wake ma centrale nel concept che gli stavano mostrando, piacque così tanto che la proposta fu di utilizzarla per una nuova IP, perché di quella aveva bisogno Microsoft in previsione dell’annuncio di Xbox One. Ed è così che la verità è venuta a galla: Quantum Break era figlio di quell’Alan Wake 2 che Remedy aveva in cantiere e che venne brutalmente fatto a pezzi quando ancora non si era raggiunto il break even con l’esclusiva Xbox 360 del titolo originale. Ci sarebbero molte altre cose da raccontare in questa lunghissima storia che non si è certo ancora conclusa: come dimenticare le dichiarazioni di Lake sulla pirateria, innescata da prezzi al day one eccessivamente pompati proprio quando pubblicò Alan Wake su Steam a “soli” 20 euro? Oppure come scordarsi dell’incremento del 1350% dei giocatori PC all’annuncio che le licenze per la colonna sonora non originale del gioco stavano per scadere e ci fu la svendita del titolo su tutti gli store perché di lì a poco sarebbe stato ritirato dal mercato? O ancora dell’annuncio della quotazione in borsa di Remedy Entertainment, proprio un paio di mesi prima della dichiarazione shock sull’origine delle meccaniche live action di Quantum Break?
Quantum Break è figlio di quell’Alan Wake 2 che Remedy aveva in cantiere e che venne brutalmente fatto a pezzi quando ancora non si era raggiunto il break even con l’esclusiva Xbox 360
La compagnia oggi conta più di 140 dipendenti, nuove cariche istituzionali e una libertà di azione impensabile ai tempi di Max Payne, quando Matias Myllyrinne ricordava che Remedy era un dev indie composto da un piccolo gruppo di appassionati che amava i propri personaggi e avrebbe continuato a raccontare le loro storie con la stessa passione che li aveva mossi all’inizio. Ora sono al lavoro su due nuovi progetti, hanno attivato una rete di publisher del calibro di 505 Games e stanno ristrutturando il Northlight Engine proprietario. Presto li vedremo sbarcare su PS4, ormai impossibili da arrestare. Sam Lake è diventato una celebrità, in questo settore, e ogni volta che viene intervistato sono sempre dichiarazioni capaci di fare il giro del mondo… e io sono pronto a scommettere che non passerà molto tempo prima di sentirlo nuovamente affermare che: “Alan Wake 2 è ancora in discussione. Stiamo aspettando solo il momento giusto”.
NB:
La ricostruzione di questa vicenda è avvenuta grazie a più di 300 fonti differenti, gran parte delle quali conservate con cura. Sono a disposizione di chiunque voglia approfondire gli argomenti trattati e le conclusioni a cui queste fonti portano: basta chiederle.