I personaggi sono uno degli elementi più iconici e memorabili per molti videogiochi. Spesso un protagonista ben congegnato può determinare la fortuna di un intero titolo e perfino di una software house o di una piattaforma. Personaggi storicamente rilevanti sono diventati nel tempo il simbolo di una console o di un brand, basti pensare per esempio a Super Mario o Master Chief. Tuttavia, riuscire a creare il protagonista perfetto è un bersaglio arduo da centrare.
La prima distinzione da fare quando si parla di character design è quella tra avatar e personaggi. I primi sono delle vere e proprie concretizzazioni di meccaniche di gameplay e l’esempio più classico è Pac-Man: un semplice cerchio giallo con un triangolo scavato a simulare una bocca. Non fa altro che girare e mangiare dei fantasmi: non ha una storia né emozioni, ed il suo design è quindi frutto di sola funzione. Al contrario, i personaggi sono rappresentazioni più complesse e sviluppate che racchiudono elementi narrativi ed emozionali. Queste caratteristiche vanno ad influenzare non solo il design stesso, ma anche le animazioni e ciò che esso sa comunicare al primo sguardo. Pensiamo al recente redesign di Crystal Dynamics di Lara Croft in Tomb Raider (2013): il personaggio è stato variato piuttosto pesantemente rispetto al suo design passato in accordo con le nuove direttive narrative del reboot. Lara oggi non è più una prorompente avventuriera in canottiera, ma una semplice ragazza acqua e sapone che cerca di difendersi in un territorio ostile.
La differenza tra avatar e personaggio ha inoltre un’altra implicazione: tendenzialmente gli avatar assumono caratteristiche di design più astratte e stilizzate, mentre spesso i personaggi, specialmente negli ultimi anni, vertono verso il realismo. Nei primi tempi della grafica poligonale abbiamo assistito alla nascita di protagonisti a cavallo tra l’avatar ed il personaggio, come ad esempio a Crash Bandicoot: un bizzarro essere dalle enormi braccia che lo aiutano a roteare (caratteristica funzionale) ma con un design dagli occhi folli e la lingua spesso esposta (caratterizzazione narrativa). Rimanendo in casa Naughty Dog possiamo invece citare Nathan Drake come un protagonista quasi totalmente rimosso dall’idea di avatar: il suo disegno (al di là del suo essere un tipo atletico) non è creato in base alla sua funzione di gameplay ma solamente intorno alla caratterizzazione emozionale e narrativa.
Disegnare un personaggio è un compito chiave dell’intero processo di sviluppo: caratterizzazione, riconoscibilità e funzione devono essere ben espresse da un singolo design. Questo può essere suddiviso in tre aree:
La forma nasce dal concept del personaggio, un disegno bidimensionale che verrà poi convertito nel modello (sia esso 3D, sprite disegnato, pixel art o altro) per il gioco. Questo ne definisce il colpo d’occhio e la prima impressione ed è quindi vitale nel comunicare immediatamente le caratteristiche rilevanti. I primi schizzi di concept art spesso ruotano intorno a delle forme primitive che semplificano l’anatomia: al cerchio sono associate caratteristiche di familiarità e fiducia, al quadrato fermezza e determinazione ed al triangolo minaccia e dinamicità. Per questo spesso si possono osservare nemici o antagonisti con forme angolari, al contrario di alleati dalle forme più tondeggianti ed armoniose. La silhouette gioca anche un ruolo chiave nell’identificazione del personaggio in gioco, come ad esempio nella serie Bioshock: riconoscere un Big Daddy in mezzo ai ricombinanti di Rapture è immediato grazie alla sua particolare forma che combina elementi tondeggianti ed angolari nel creare una figura minacciosa e protettrice allo stesso tempo. Questa caratteristica è vitale in ambito multiplayer, sia negli shooter che nei MOBA per permettere la veloce identificazione di determinati personaggi nel mezzo di un campo di battaglia. Tuttavia spesso la forma non è sufficiente ad assolvere questo compito ed è per questo le scelte di texture, colori e materiali sono essenziali per caratterizzazione e indicazione. Pensiamo ad esempio a videogiochi in cui differenti livelli di pericolosità dei nemici sono connotati con schemi colori variabili (i Bokoblin in The Legend of Zelda: Breath of the Wild) o a titoli strategici le cui fazioni sono contraddistinte da pattern cromatici (come Fire Emblem: Awakening). Oltre a questo, la colorazione ed il dettaglio della superficie di un personaggio, sia essa creata da texture (disegni bidimensionali applicati ai modelli) o shader (simulazioni delle proprietà fisiche di un materiale), ne descrive anche delle caratteristiche narrative, come ad esempio per i colossi di Shadow of the Colossus, enormi creature di pietra e legno spesso ricoperte di pelo dal colore grigio e marrone dal sapore antico, epico e monumentale. Texture e colore sono inoltre altri elementi chiave per la riconoscibilità di un personaggio: super eroi come Spider-Man sarebbero identificabili anche dal solo close-up sulla sua tuta rossa dal pattern a ragnatela.
Texture a New York City
I personaggi dei videogiochi che hanno raggiunto lo status di icona per un pubblico generalista sono contabili sulla dita delle mani: Super Mario, Master Chief, Pikachu, Sonic e pochi altri (sbizzarritevi nei commenti ad aggiungerne altri) sono dei portabandiera del mondo del gaming. Action figure, cosplayer, portachiavi, poster, film e fumetti sono elementi che hanno negli anno espanso la loro popolarità elevandoli allo stato di Brand iconici. Non è un caso che tutti i personaggi citati presentino uno stile estetico fortemente stilizzato: dal pasciuto baffone italiano al gigante soldato in armatura futuristica, fino al tenero roditore elettrico ed il fulmineo porcospino blu, disegnare un personaggio con un basso livello di fedeltà al reale contribuisce al renderlo facilmente utilizzabile in molti contesti. Quest’ultima è una caratteristica tipica dei loghi delle aziende e del come essi vengono progettati: un marchio aziendale deve essere facilmente apprezzabile da ogni pubblico ed in svariati contesti. Al contrario, disegni complessi e quindi più verosimili soffrono di una cronica difficoltà di applicazione in contesti non affini a quello originale. Proprio per questo potreste riconoscere Super Mario anche solo da uno disegnino mal riuscito della sua testa, mentre fatichereste a fare lo stesso per Nathan Drake. Quest’ultimo non è che un normale uomo ben progettato, ma privo di peculiarità e sempre rappresentato quasi fotorealisticamente. Per qualche motivo non meglio identificato, Sony ed il marchio PlayStation hanno faticato nella loro storia a trovare un personaggio veramente iconico e rappresentativo (alcuni potrebbero nominare Crash Bandicoot, ma dopo la cessione dell’IP ad Activision la tesi non è più sostenibile) mentre Nintendo e Microsoft hanno farlo con Super Mario e Master Chief. Lo Spartan-117 è oltretutto un esempio particolarmente brillante di re-branding di un protagonista: inizialmente disegnato da Bungie con un’armatura grigia ispirata a quella del protagonista di Doom, in seguito all’acquisizione dell’IP di Halo da parte di Microsoft in vista del lancio di Xbox nel 2001 esso venne completamente ripensato con i colori del brand Xbox. Grazie anche a questa oculata mossa di marketing, Master Chief ha vestito per anni la sua iconica armatura verde e Microsoft ne ha potuto fare una delle sue immagini di punta.
Durante lo sviluppo dei primi prototipi di Horizon Zero Dawn, gli artisti di Guerrila Games usavano disegnare la protagonista Aloy girare a cavallo nelle lande post-apocalittiche del gioco. Tuttavia, quando John Gonzalez fu assunto come Narrative Director del titolo impose una sua visione: “Vogliamo una Aloy unica e speciale in questo mondo. Chiunque può cavalcare un cavallo. Facciamole cavalcare delle macchine, qualcosa che nessun altro possa fare.” (John Gonzalez intervistato da Danny O’Dwyer – noclip 2017). Questo episodio delinea un’importante realtà: i protagonisti devono avere caratteristiche e uniche ed i designer sono responsabili per la realizzazione di elementi che attirino i giocatori ad essi. Arnold Tsang, Lead Character Design di Overwatch, ha descritto (durante il suo panel alla GDC 2014 “Character Design Across Multiple Game Genres”) questo processo come la ricerca di un gancio, cioè un elemento unico e caratteristico di un personaggio su cui si fondano le sue abilità, come ad esempio la staffa di Mercy o la traslazione di Tracer. Il design di quest’ultima, tra i migliori del titolo, si basa proprio sulle sue meccaniche di gameplay: è un personaggio offensivo e veloce, quindi ha gambe lunghe e flessibili ed un aspetto slanciato e giovanile, irriverente con i suoi capelli ma determinato nelle sue pose. I suoi colori principali sono quelli dell’intero branding di Overwatch, bianco e arancio, ed è infatti il personaggio che appare sulla copertina. Nessun altro eroe di Overwatch ha le sue caratteristiche: ognuno ha le sue unicità che ne permettono riconoscibilità, caratterizzazione e indicazione nelle fase di gameplay tanto che i giocatori anche poco esperti possono facilmente riconoscere ogni eroe da lontano.
Il valore dell’unicità si esprime con maggior forza quando si disegnano protagonisti, tuttavia il character design non si occupa solamente di essi ma anche anche di nemici, comprimari e semplici abitanti dei mondi di gioco. Tralasciando gli antagonisti, per i quali valgono la maggior parte delle considerazioni fatte per i protagonisti, cerchiamo di concentrarci sulle caratteristiche dei personaggi secondari e non giocanti. Laddove i protagonisti devono rappresentare la vera e propria faccia del gioco, i cosiddetti NPC sono spesso solamente un contorno. Il loro design deve quindi essere il più trasparente possibile, dove per trasparente si intende che non deve essere chiaramente notato. Per questo motivo potremmo quasi considerare gli abitanti di una città di un qualsiasi gioco open-world come facenti parti design dell’ambientazione. Questi devono apparire totalmente inseriti nel contesto senza saltare all’occhio: qualsiasi elemento immediatamente distinguibile denota unicità e quindi importanza. Ad esempio, se nelle pianure desolate della No Man’s Land di The Witcher 3: Wild Hunt aveste notato un personaggio con una gonna a righe viola e gialle in mezzo a contadini vestiti di stracci, avreste certamente assegnato a quel singolo un valore di importanza. Per questo è importante che i personaggi che popolano il mondo siano composti da asset ripetuti, semplici e dimenticabili. Rimanendo in ambito di RPG open-world fantasy, è importante accennare a come viene approcciato il design di personaggi totalmente personalizzabili dal giocatore. Prendendo come esempio l’approccio di The Elder Scrolls V: Skyrim o quello di Destiny, ciò che accade è che i character designer creano interi set di elementi unici come viso, forma del corpo, bandane, pantaloni e altro che vengono poi combinati secondo le scelte del giocatore in design sempre nuovi. Questo ha tuttavia un evidente costo: è difficile realizzare modelli memorabili con questa metodologia, ed infatti nessuno cita i protagonisti di Destiny come iconici, ruolo che viene occupato più facilmente da nemici come i Cabal e Oryx o comprimari come Cayde-6.
Per alcune tipologie di videogiochi i personaggi devono essere progettati e disegnati non solo come singoli, ma anche come facenti parte di un gruppo. Questa considerazione è valida per abitanti del mondo, fazioni di nemici e creature appartenenti ad un determinato livello ma vorrei porre l’accento su alcuni casi più specifici. Innanzitutto, ciò che rende coeso e ben costruito un gruppo è la credibile immersione di ognuno dei singoli nell’immaginario alla base del gioco. Il caso più estremo sono gli oltre 800 differenti Pokèmon disegnati dal 1996 ad oggi dal team di artisti Game Freak con a capo Ken Sugimori. Sebbene i titoli della serie Nintendo si siano evoluti negli anni, ogni singola creatura disegnata ha sempre dovuto rispettare il requisito minimo del poter convivere in una squadra e perchè questo si avveri, è necessaria l’esistenza di regole di design legate al rispetto di canoni estetici e di ispirazione più o meno comuni. Le creature che hanno contravvenuto a questi dettami sono state infatti criticate negli anni per la totale mancanza di adesione nell’immaginario di Game Freak, come ad esempio il Pokèmon “gelato” Vanillish.
Un discorso molto diverso è valido invece per i videogiochi multiplayer hero-based. League of Legends, Overwatch e Apex Legends sono tutti e tre validi esempi di ottima gestione della coesione di insieme, nonostante il primo sia più carente in fatto di forza dell’unicità dei singoli, dato il suo maggior numero di eroi. Prendendo Overwatch come personale preferito, possiamo notare come tutti gli eroi hanno una silouhette di partenza realistica ed utilizzano palette di colori vivide, saturate e ricche. Le loro animazioni sono varie ma accostabili, nessuna va a rompere l’equilibrio di ciò che è stato creato narrativamente e visivamente. Oltre a questo, lo stile generale dei disegni e del rendering contribuisce ad un look da comic americano super eroistico, con anatomie esagerate e animazioni fortemente stilizzate ma mai caricaturiali. Apex Legends percorre una via simile, ma con un look post-apocalittico, grunge e sporco mentre League of Legends persegue un più classico stile fantasy.
Eccoci al termine del primo episodio di ArtCafè a tema Character Design. Nel prossimo episodio sposteremo il focus sul design delle ambientazioni dei videogiochi, anch’esse spesso vere e proprie protagoniste.
Nel frattempo, fatemi sapere nei commenti quali sono secondo voi i design di personaggi meglio riusciti nei videogiochi. E ricordatevi: non solo protagonisti!
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Grandissimo Emanuele!
Davvero un ottimo articolo, capace di approfondire a sufficienza un argomento tanto interessante. Complimenti all’autore!
(se dovessi citare un personaggio il cui design mi ha sempre affascinato direi Yorda del titolo per ps2 Ico.
Le forme dolci e aggraziate ed una palette di colori molto chiari, riuscivano a dare al personaggio il giusto mix di innocenza e sovrannaturalità)
Articolo fighissimo, complimenti 🙂