“Souls like” è un termine coniato quasi per scherzo e poi divenuto fondamentale per inquadrare una certa categoria di videogiochi. Quando si parla di “souls like” o “souls-like” la mente subito si fionda alle opere di FromSoftware, che ha avuto il grande merito di dar vita a un vero e proprio fenomeno, tanto apprezzato quanto diffuso.
Ma cosa significa essere un “soulsl ike”? La risposta è ben più complessa di quanto potrebbe sembrare. Qualcuno vi direbbe che si tratta di giochi difficili, punitivi, in cui ogni minimo errore risulta imperdonabile, e forse non avrebbe tutti i torti. La realtà dei fatti è però ben diversa: il filone creato da Hidetaka Miyazaki e dal suo team va ben oltre la semplice questione legata alla difficoltà “pad alla mano”, poiché si dirama a situazioni ben più profonde e stratificate.
Possiamo dirvi che FromSoftware non è mai stata sazia dei successi ottenuti e non si è mai adagiata su di essi. Per questo motivo, di produzione in produzione, si è cercato di migliorare sempre di più, anche stravolgendo le fondamenta dei titoli che la hanno resa celebre. Tutto ebbe inizio nel lontano 2009, quando, quasi dal nulla, nacque Demon’s Souls che, senza saperlo, avrebbe cambiato le sorti del videogioco in modo inesorabile.
Demon’s Souls: l’inizio di un epico trionfo
Siamo onesti: se qualcuno, all’epoca, vi avesse offerto di provarlo, cosa avreste fatto? Probabilmente, come il sottoscritto, vi sareste tenuti a debita distanza dal titolo! Si parla infatti di un videogioco incredibilmente ostico, il cui tutorial è caratterizzato dalla presenza di un gigantesco demone pronto a farvi fuori con estrema facilità.
Una volta iniziato il gioco vero e proprio si capisce subito che la situazione non è destinata a cambiare: Demon’s Souls è un prodotto ostico e punitivo che non prende mai per mano il giocatore, e anzi lo catapulta all’interno di un mondo misterioso e irto di pericoli. In barba a tutto e tutti, Miyazaki aveva creato così un titolo innovativo, difficile da approcciare ma appagante come pochi. Di pari passo con lo stile di gioco, anche la parte narrativa risultava pionieristica come poche, offrendo al giocatore una storia complessa e sfaccettata narrata in modo criptico e conservativo, premiando soltanto i più attenti anche al più piccolo dettaglio.
La storia di Demon’s Souls racconta di un regno, una volta glorioso e fiorente, ora in rovina, flagellato dalla presenza di esseri demoniaci che si cibano dell’anima degli uomini. Come da tradizione, poi portata avanti con fierezza in futuro, tutto questo ci viene narrato non attraverso scene animate o linee di dialogo ben precise, ma tramite le descrizioni degli oggetti, inserendo con attenzione ogni singolo dettaglio. Tale difficoltà, unita a quella di un gameplay complicato da apprendere, fatto di schivate, parate, contrattacchi e soprattutto una difficoltà di base molto elevata, offre un quadro tanto complesso quanto prestigioso.
Il successo di Demon’s Souls, seppur non esattamente immediato, è arrivato ma Miyazaki non aveva ancora esaurito le proprie cartucce. Sì, perché il vero apice della sua carriera e del genere souls like in generale viene raggiunto con il successivo lavoro: Dark Souls, seguito spirituale di Demon’s, a cui si ispira fortemente per tante cose, ma finisce col distaccarvisi enormemente per molte altre.
Dark Souls: alla fine venne il fuoco
Forte dell’esperienza maturata con Demon’s, FromSoftware ha potuto così realizzare la propria opera, ancora oggi, più eclatante e riuscita. Dark Souls parte dalle forti fondamenta del suo predecessore, per poi distanziarsene profondamente, sia a livello di gameplay sia a livello di narrativa. La storia del suddetto titolo è molto più complessa e stratificata, e fa da cornice ad un’evoluzione del gameplay semplicemente sublime.
La vera forza di Dark Souls, però, è il level design, ritenuto ancora oggi come uno dei migliori di sempre. Tutte le aree di Dark Souls, o comunque buona parte di esse, sono direttamente collegate attraverso una fitta rete di scorciatoie, passaggi segreti e quant’altro, che rendono l’esperienza di gioco semplicemente unica e irripetibile. Pad alla mano, poi, il titolo eredita la stessa difficoltà di fondo di Demon’s, aumentandola – o diminuendola – a dismisura a seguito delle ovvie modifiche effettuate in fase di settaggio. In Dark Souls, per dirne una, una volta morti la barra vitale non si dimezza come accadeva in Demon’s. In Dark Souls, poi, la vena ruolistica è aumentata esponenzialmente, con un personaggio maggiormente personalizzabile e una differenziazione delle “build” più marcata e complessa. Senza contare l’aggiunta di meccaniche quali il salto, le pareti segrete e tante altre chicche legate, come dicevamo anche poc’anzi, a un level design ai limiti della perfezione.
Il capolavoro di Miyazaki, al netto di una struttura sempre apparentemente elitaria e scoraggiante nei confronti del videogiocatore “medio”, ha registrato consensi inimmaginabili, diventando così uno dei prodotti di maggior successo della settimana generazione di console. Tutto qui? Chiaramente, conoscendo i From, no.
Dark Souls 2: il rovescio della medaglia
A spezzare l’equilibrio ci pensa l’arrivo di Dark Souls 2, seguito quasi “obbligatorio” dato l’enorme e inaspettato successo di Dark Souls. Il nuovo capitolo di quella che è divenuta alla fine una saga vera e propria parte con un grosso handicap: l’assenza di Miyazaki.
Il creatore della saga, infatti, decide di affidare la creazione di questo sequel a un team interno alla stessa FromSoftware che, tutto sommato, mette in piedi una discreta produzione. Le lacune strutturali, specialmente a livello di narrativa, sono però palesi, e Dark Souls 2 riesce a bissare il successo del suo precedessore soltanto in parte. I fan più accaniti hanno attaccato la nuova creatura di From per le ragioni più disparate, ma soprattutto per la carenza sotto il profilo narrativo. Tutta la struttura tematica di Dark Souls 2 appare nettamente più debole rispetto al primo capitolo, e ciò ricade inevitabilmente anche sul mero piacere nella progressione e nell’esplorazione, anch’essa funestata da scelte stilistiche molto discutibili.
Per fortuna, però, il gameplay si è dimostrato solido e di grande spessore, con alcuni elementi ereditati più da Demon’s che da Dark. Alcune meccaniche, come il poter liberare le aree dalle varie creature in modo permanente, la gestione più parsimoniosa del new game plus e tante piccole altre aggiunte, sono state capaci di dare al titolo una propria grande personalità, al netto di tutte le incertezze del caso. Il motivo per cui Miyazaki non ha lavorato al progetto, ma lo ha solo supervisionato, è presto detto: in cantiere, infatti, c’era una nuova creatura, pronta a stravolgere una volta ancora le carte in tavola. Parliamo di Bloodborne, cari cacciatori.
Bloodborne: il sangue è la cura
Il 2015 ha segnato una data epocale per la storia videoludica: dalla geniale mente di Miyazaki & co. è arrivata sul mercato una nuova IP, tanto particolare quanto familiare, il primo vero e proprio “Souls like” di FromSoftware, per intenderci, che si rifaceva alla saga originaria ma staccandosi fortemente per meccaniche, ambientazioni ed altro ancora. Il primo grosso stacco tra la saga Souls e Bloodborne risiede nel gameplay, di stampo sempre punitivo e tecnico, ma ora caratterizzato da un ritmo frenetico e quasi irriconoscibile.
Il nuovo corso di FromSoftware si pone pertanto l’obiettivo di spingere il giocatore a uno stile offensivo e spavaldo, laddove, senza l’ausilio di scudi o di armature pesanti, schivare è l’unica soluzione per sfuggire a un’inevitabile dipartita. Il titolo, poi, segna un netto distacco anche sotto l’aspetto ruolistico che da sempre contraddistingue gli altri “souls like”: e statistiche per il proprio alter ego sono in quantità molto inferiore e anche le armature, le armi e gli oggetti ritrovabili sono di meno. Un passo indietro quindi? Assolutamente no, perché Bloodborne rappresenta, probabilmente, la miglior creazione di FromSoftware, grazie anche a un’ambientazione gotica semplicemente splendida e alla forza di un racconto ancor più macabro, visionario e splendidamente imbastito rispetto al passato. Bloodborne, però, si distacca fortemente anche per quanto concerne le mappe: non più “open world” come Dark Souls e Dark Souls 2, ma caratterizzata da una struttura ad aree separate ereditata in pieno da Demon’s Souls.
Il team di sviluppo con Bloodborne ha deciso anche di osare sotto il profilo puramente strutturale, decidendo di aggiungere alla formula di gioco elementi procedurali come i Chalice Dungeon, che hanno divertito non poco i tantissimi fan della produzione. Dopo aver rasentato la perfezione con questa nuova IP, quale poteva essere la mossa successiva di FromSoftware, se non quella di chiudere il ciclo della trilogia “Dark”? Ed ecco l’annuncio di Dark Souls 3!
Dark Souls 3: il cerchio si chiude
Abbiamo scelto apposta la parola “cerchio”, data la natura ciclica della serie. Dark Souls 3 è infatti un continuo rimando ai precedenti due capitoli, una sorta di tributo ai fan, l’estasi del fan service, per dirla tutta, ma funziona a dovere. Dai suoi due predecessori numerici esso non riprende soltanto lo stile ludico e visivo, ma anche luoghi e personaggi, risultando, in buona sostanza, una sorta di punto di raccolta ove sono finiti tutti i regni delle precedenti “Ere del Fuoco”.
Inutile dirvi che il titolo ha saputo regalare emozioni incredibili ai fan storici della saga, in cui ogni riferimento ha un perché e non è mai casuale. Dark Souls 3 ha avuto il grande merito di riuscire a chiudere tutto sommato degnamente una saga incredibile e affascinante, centrando anche l’arduo compito di non snaturarne, per doveri di narrazione, la formula ermetica da cui è sempre stata contraddistinta. L‘ultima fatica di Miyazaki-san, però, ha saputo anche attingere da Bloodborne, ereditando dal titolo buona parte della dinamicità e della frenesia di un sistema di combattimento più veloce e dinamico, con le dovute limitazioni del caso dovute al ritorno a una natura ruolistica più marcata ed incisiva.
Appare evidente come sarebbe stato impossibile per From riuscire a fare di meglio in futuro, a non cadere nell’ovvio e nella ridondanza continuando a sfruttare un brand che, ormai, aveva detto tutto. E quindi, molti appassionati, tra cui il sottoscritto, durante la messa in onda del misterioso trailer del nuovo progetto della software house nipponica, il misterioso “Shadows Die Twice”, hanno subito pensato al seguito di Bloodborne. Risposta sbagliata: dal solito, gigantesco, cilindro gli autori di Demon’s Souls hanno tirato fuori l’ennesima sorpresa, pronta, manco a dirlo, a distruggere le fondamenta per costruire un nuovo successo.
Una nuova IP è all’orizzonte, un qualcosa che si rifà non soltanto ai “souls like” ma anche a Tenchu, vecchia gloria del team di sviluppo, e che promette grandi cose per il futuro: Sekiro.
Sekiro: morire non è mai stato tanto utile
Prima di iniziare a parlare di Sekiro è doverosa una fondamentale precisazione: la nuova fatica di FromSoftware non appartiene al genere dei “souls like”, a cui comunque attinge a piene mani, ma più che altro può definirsi un “souls lite”, giacché differisce, e non poco, su diversi aspetti. La prima, grande, differenziazione, sta nella progressione del giocatore, non più ruolistica ma di stampo più action.
Il personaggio, in primis, è uguale per tutti e non ha statistiche fisiche da aumentare. Ad aumentare, in Sekiro, sono le abilità di cui lo shinobi dispone, spesso e volentieri legate direttamente all’arto protesico di cui è munito. L’arto in questione viene perso del protagonista proprio nelle primissime battute dell’avventura, una storia molto più lineare e chiara rispetto al passato, ma che comunque promette grandi cose in termini di fascino e di lore. L’ambientazione del Giappone Feudale non potrebbe, del resto, offrire un risultato diverso. Il fascino del folklore locale si riversa in Sekiro come non mai, nel corso di un’avventura che si snoda sulla doppia volontà del protagonista di ottenere vendetta per la sconfitta – e per l’arto perduto – e la volontà di proteggere il signore del suo clan, a cui egli avrebbe dovuto salvare la vita a ogni costo.
A mutare parecchio è anche il gameplay: in Sekiro, che si rifà molto più a Bloodborne che agli altri esponenti del genere, il ritmo di gioco è ancor più frenetico. L’unica vera arma per difendersi dalle temibili lame nemiche è focalizzare il proprio stile di gioco sul tempismo e sull’aggressività, ma non solo: essendo un abile shinobi, il protagonista ha a disposizione diversi gadget e numerosi ninjutsu, pensati appositamente per offrire diversi approcci alle varie battaglie. Gli sviluppatori hanno fatto capire chiaramente che, rispetto al passato, qui approcciarsi con parsimonia ai vari scontri è un’idea molto più valida, laddove il semplice sguainare la spada e attaccare risulterebbe – quasi sempre – una scelta opinabile ed errata.
Il nuovo corso di FromSoftware, dunque, è ormai dietro l’angolo. L’arrivo di Sekiro è previsto per la prossima settimana e l’attesa di tutti i fan, compresa quella di chi vi scrive, è ormai alle stelle. Del resto, la compagnia nipponica non ha mai deluso le aspettative finora, e a ogni passaggio ha sempre saputo elevare il proprio tasso qualitativo esponenzialmente: sarà così anche stavolta? Lo scopriremo soltanto vivendo… o morendo!