Inventare e raccontare storie è una delle tradizioni più antiche dell’umanità. Tutte le culture, senza eccezioni, l’hanno messa in pratica. Non sappiamo quando esattamente sia nata, ma siamo sicuri che la sua origine si confonde con l’esistenza degli esseri umani e certamente con l’invenzione della parola che ci ha permesso di comunicare gli uni con gli altri. Nasce dalla condizione umana, vale a dire da quella strana condizione per la quale viviamo una sola vita, ma siamo capaci di immaginare o inventarne altre mille. L’uomo ha da sempre raccontato storie, immaginato mondi e li ha narrati alle persone che in quel preciso momento lo circondavano, in luoghi di ricreazione (intorno al fuoco per gli uomini delle caverne, sul divano per gli uomini moderni). La necessità di scappare dall’unica gabbia che è la nostra unica vita di cui possiamo fare esperienza ha determinato la nascita delle storie, per immaginare una vita più tranquilla e desiderare altri mondi, altre realtà di esistenze parallele fittizie. Il raccontare è un aspetto imprescindibile dell’attività umana e in quanto tale è sempre esistito anche se declinato in diverse articolazioni, in quanto è attraverso le storie che si da un senso al mondo per condividerlo con gli altri, presupponendo quindi un’interazione simbiotica tra parlante e ascoltatore. Per certi versi, la narrazione ha spinto l’uomo a migliorarsi, a cambiare con la fantasia la vita reale. Il progresso della civiltà ha reso la narrazione un’abitudine acquisita e l’uomo non ha abbandonato l’antenata necessità di creare memorie immaginarie, come ci ricorda il giovane Leopardi con la sua lirica “L’Infinito”: l’essere umano è in costante ricerca di qualcosa di qualcosa ulteriore rispetto a ciò che ha. Nel corso dei secoli abbiamo avuto bisogno di nuovi mezzi per esprimere le vite immaginarie da desiderare. Se inizialmente ci bastava un libro per fuggire dalla realtà, poi abbiamo sognato in grande e negli anni venti del Novecento la trasmissione dei contenuti si è evoluta diventando un fenomeno commerciale e di massa attraverso la radio. La serialità, modalità di espressione della narrazione, affonda le sue radici nella radio: nel corso degli anni Trenta venivano trasmessi programmi a episodi con personaggi e ambientazioni coerenti e durature. Una delle forme principali di questo tipo di programmi erano le soap opera trasmesse durante il giorno, rivolte principalmente a un pubblico femminile. Con la nascita della televisione e la diffusione di un sistema di broadcasting, i programmi radiofonici sono stati adattati in questo nuovo mezzo che forniva l’opportunità di un supporto visivo in aggiunta all’audio.
Le soap opera hanno avuto un ruolo fondamentale e hanno influenzato le serie televisive dei giorni nostri tuttavia, a differenza di come sostengono in molti, il racconto a episodi deriva dai fumetti e dalla letteratura classica. Una moltitudine di opere narrative, alla fine dell’Ottocento, vennero pubblicate a episodi su riviste e giornali, anche conosciute come feuilleton (letteralmente il diminuitivo di foglio). Romanzi come Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas e Madame Bovary di Gustave Flaubert sono stati pubblicati a episodi. Alla fine dell’Ottocento le strisce a fumetti sono state rese popolari proprio dalla distribuzione seriale nei quotidiani. Da ciò è possibile evincere che i mezzi, nell’età d’oro della loro diffusione di massa, presentano opere a episodi principalmente per un fattore economico e per legare con il pubblico per un tempo relativamente lungo. Infatti, la serialità è possibile definirla come un mondo narrativo duraturo, popolato da un gruppo coerente di personaggi che vivono una catena di eventi lungo un certo arco di tempo. Nel corso dei decenni si è potuto assistere a un’evoluzione dei programmi mandati in onda dalle emittenti televisive e da Twin Peaks in poi è possibile parlare di televisione complessa cioè che suscita disorientamento e confusione temporanei facendo sì che gli spettatori imparino a interpretare le dinamiche attraverso una visione costante e un coinvolgimento attivo. Negli anni 2000 vi è stato un successo globale per le serie televisive, con opere come Lost e Breaking Bad e il mondo dei videogiochi non poteva mantenersi esente da tale riscontro.
In una prima analisi è possibile considerare videogiochi a episodi titolo come Dunjonquest: una serie di videogiochi di ruolo fantasy rilasciati nel 1979 e negli anni 80 anche aziende come Simulmondo hanno pubblicato titoli seriali su floppy disk. Nonostante questi esempi, i videogiochi a episodi come li intendiamo oggi, titoli suddivisi a episodi e rilasciati a distanza di mesi l’uno dall’altro con una o più stagioni, vedono la nascita nel 2005 con la compagnia Telltale. Quest’ultima è stata la prima a sperimentare con un nuovo business model e una differente narrazione attraverso il rilascio del primo episodio di Bone: Out of Boneville. Comprendendo il successo delle serie televisive, il risparmio produttivo nel realizzare titoli separati nel tempo e il feedback immediato che si può ricevere da parte dei giocatori, Telltale e altre compagnie hanno deciso di utilizzare la nuova metodologia di pubblicazione. Una delle prime compagnie a utilizzarlo è stata l’innovativa e lungimirante Remedy Entertainment con il suo Alan Wake. Nonostante si tratti di un titolo rilasciato completo, all’interno è possibile ritrovare una suddivisione in più episodi e sopratutto gli espedienti narrativi tipici della serialità.
La serialità presenta delle caratteristiche tipiche della narrazione che si distaccano dal mondo cinematografico e che vengono utilizzare nei telefilm e sono state riprese dai videogiochi. La struttura del racconto si divide in quattro o cinque atti per episodio, scandendo un ritmo più dinamico e intenso rispetto al film e distaccandosi dai tre atti aristotelici o modelli canonici come Il Viaggio del’Eroe, dovuto al fatto che la serialità nella maggior parte dei casi non presenta un finale preciso e la longevità dipende dagli emittenti televisivi o editori. Gli espedienti narrativi ripresi nell’ambito videoludico e fortemente utilizzati nel piccolo schermo sono la recap sequence, che riavvolge gli eventi principali accaduti nell’episodio precedente che saranno ripresentati nell’arco narrativo del corrente, e la clip finale prossimamente su (next on) che forniscono un breve montaggio delle scene più intriganti che accadranno in futuro. Tuttavia l’elemento più significativo rimane il cliffhanger, che ha completamente modificato la costruzione delle storie. La tecnica consiste nel lasciare la narrazione appesa, cioè con una brusca interruzione che continua nell’episodio o stagione successiva utile per far proseguire il pubblico o il consumatore con la fruizione dell’opera. Nei titoli di Telltale e Square Enix questo espediente è fortemente utilizzato e determina le vendita degli episodi successivi da parte del pubblico, che di solito dimostrano un forte calo rispetto al numero di giocatori del primo capitolo. Il cliffhanger non solo è fondamentale in questa tipologia di fare videogiochi, tuttavia necessaria in accordo a un adattamento e cambiamento della narrazione per costruire il racconto con un colpo di scena o sospensione finale. La serialità dei videogiochi a episodi presenta caratteristiche in comune con altri mezzi poiché nell’epoca in cui viviamo è praticamente insensato far vivere il proprio universo in un unico soltanto, i medium si influenzano tra loro e vengono espansi su più piattaforme, creando il cosiddetto fenomeno del milking.
To be continued…
Fonti:
M. Jason, Complex Tv, Minimum Fax, 2018
Mario Vargas Llosa. La vida y los libros, Lectio Magistralis, 7 giugno 2018, Dipartimento di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
http://www.hardcoregaming101.net/dunjonquest/dunjonquest.htm
https://www.illibraio.it/feuilleton-romanzi-a-puntate-399338/
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Davvero un interessante articolo ma personalmente questa scelta si discosta a ciò che a me piace. Non dico che per alcuni, come le storie interattive (Telltale), non possa funzionare ma per altri mi pare assurdo ed incomprensibile come nel caso di FFVII Rem.
Ancora complimenti !
Ti ringrazio per i complimenti e non trovo assurda la strategia di Square. È stata una delle prime compagnie ad adattare il modello presentato da TellTale perché in principio consente di abbattere i costi di sviluppo, oltre a modificare la narrazione.
Capisco la tua argomentazione ma in modo soggettivo non sono d’accordo XD Preferisco avere il prodotto finito e non a “puntate”, sopratutto per un titolo come FFVII! Per altri ci sta e può sicuramente funzionare! Poi quando uscirà vedremo se mi convincerà oppure no XD
Ottimo articolo e ben argomentato. Per quanto riguarda ff7 remaster ancora non ho capito ( o non hanno specificato) se saranno episodi stand alone ( tipo la serie .Hack\ e kingdom hearts 1\2\3) o alla “life is strange”. Se SquareEnix dovesse scegliere il primo caso io non vedo dove stia il problema perché potrebbero rilasciare i giochi a cadenza annuale e magari non con un prezzo esagerato. Spero solo che non infarciscono il gioco con side quest assurde e prive di senso.
Di recente Square ha confermato che sarà a episodi come Life Is Strange perché ciò gli permette di revisionare e completare lo sviluppo sull’episodio successivo una volta rilasciato il primo e così via.
Grazie per la risposta. Allora se sono alla life is strange spero che ,una volta finito il capitolo, si possa continuare a giocare in modo tale da finire le quest lasciate in sospeso e avanzare liv.
Personalmente, non digerisco gli episodi a rate!
preferisco di gran lunga il gioco completo; così me lo godo di più senza aspettare l’episodio successivo.
Certamente dipende dai gusti personali, tuttavia credo che il videogioco a episodi possa offrire qualcosa di potentissimo: la possibilità di creare comunità. Dato che la serialità è l’attesa fra un episodio e l’altro, ciò permette di teorizzare, speculare e discutere con i fan sui vari forum e crea aspettative sui successivi.