L’alba di una nuova generazione di console è quasi giunta. Gli attori principali del mercato lavorano alacremente per portare a termine le macchine il cui obiettivo principale è quello di farci crescere attraverso momenti indimenticabili.
Indimenticabili, appunto.
Dura la vita per un capolavoro. Essere un prodotto di intrattenimento straordinario che va ben oltre le nostre aspettative, a lungo andare porta con sé innumerevoli risvolti sociali, mai immaginabili al momento in cui viene fagocitato dalla fame di emozioni del grande pubblico. Gli ultimi anni da giocatore disilluso, sono stati tutt’altro che incoraggianti, non tanto per la qualità delle produzioni partorite dai grandi publisher, quanto per le opportunità che questi sono riusciti a cogliere dall’alone invisibile che racchiude un popolo di fruitori sempre meno appagati: la nostalgia.
Ebbene, se fino a qualche mese fa protraevo il mio dito indice spavaldo ed impettito accusando i produttori di fossilizzare i loro sviluppi su troppe remastered, mi accorgo solo oggi che per ogni indice che punti ci sono ben tre dita che indicano verso di te:
il problema siamo noi.
Dura la vita di un capolavoro assoluto dicevamo, quando la tua saga preferita è conclusa ed il CD è riposto ormai da tempo tra i cimeli che custodisci con più gelosia nella tua vetrina. Dopo aver sviscerato ogni porzione di opera scomponendola in ogni sua parte però, bisogna avere la maturità di accettare la bellezza di ciò che abbiamo finito soprattutto perché ogni cosa ha il sacro diritto di essere finita, conclusa. Quella fatidica fame di conoscenza che contraddistingue il giocatore appassionato lo porta ad ignorare di condurre la sua (la nostra) vita, nella totale apatia nei confronti del presente.
Fu cosi che il presente ci scappò dalle mani.
Ricordo queste ultime due generazioni di console come le generazioni delle opportunità sprecate e della ricerca al guadagno facile, una PlayStation 3 che non riuscì a decollare per delle scelte architetturali sbagliate ed una Xbox 360 che visse di “terze parti sviluppate meglio”, una PlayStation 4 con “l’annuncio dell’ennesimo seguito a mo’ di schema Sony” e una Xbox One al “servizio” del giocatore. Quanto ci è costato essere nostalgici? Quanti progetti producibili con lo stesso brio e la stessa genialità di un tempo sono stati accantonati a favore della remastered (o reboot) del nostro videogioco preferito, a cosa abbiamo rinunciato andando alla ricerca di momenti già vissuti?
Abbiamo rinunciato a nuove proprietà intellettuali implementabili al massimo delle possibilità soltanto dai produttori più grossi, capaci di spendere ingenti cifre in favore di un’idea vincente, abbiamo rinunciato a dare una possibilità alle straordinarie capacità di artisti veri, che ogni giorno sognano di far vedere la luce alle opere cui lavorano da anni oltre la loro occupazione ordinaria, ma soprattutto, abbiamo accettato di rivivere il già vissuto rimanendo nella nostra zona di comfort impedendoci di diventare delle persone migliori, di crescere. Abbiamo lasciato nelle mani degli sviluppatori indipendenti l’annoso compito di trainare da un punto di vista creativo almeno l’80% dell’intera industria. Laddove nascono piccoli gioielli, mi chiedo quotidianamente cosa sarebbe potuto succedere se Hollow Knight o Dead Cells, piuttosto che To the Moon, avessero ricevuto un budget degno di nota, un supporto creativo e tecnico a tutti i livelli ed un approfondimento ulteriore delle meccaniche di gioco.
Quella che si appresta a diventare la quinta iterazione della console di casa Microsoft e Sony dovrà per forza di cose partire da una base solida di utenti maturi, senza i loro giocattoli che appartengono al passato, e finalmente pronti a farsi attraversare dai flussi creativi che pulsano sempre all’interno degli studi più annoverati dell’industria, ma che purtroppo vengono soffocati da noi stessi.
Riprendiamo in mano il nostro presente, custodiamo con oculatezza il passato, facciamoci travolgere dal futuro.