The Red Strings Club: La Ricerca della Felicità nella Tecnologia

Può la tecnologia condurci alla felicità? Una domanda importante, vista dalla prospettiva videoludica

Editoriale di Alessandro Palladino

Con l’evolversi dell’industria videoludica, il videogioco ha ormai universalmente assunto connotati che vanno ben oltre il semplice intrattenimento. Negli anni, infatti, si è affermato anche come un forte mezzo di comunicazione che alcuni sviluppatori hanno utilizzano per far riflettere i giocatori su temi complessi o raccontare storie dal forte impatto morale, accantonando il valore ludico per creare un qualcosa di più profondo. Basti pensare all’eccellente Papers Please e alla sua denuncia sociale, oppure a This War of Mine con la sua prospettiva sulle vittime della guerra, o anche That Dragon Cancer e il suo intimo racconto sulla malattia terminale. Proprio su questo particolare filone si va ad inserire il recente The Red Strings Club, titolo di Devolver Digital e Decostrunctteam (creatori di Gods Will Be Watching).

Per chi non conoscesse il gioco in questione, si tratta di un’eccellente avventura grafica ambientata in un mondo futuristico dove le corporazioni distribuiscono impianti in grado di influenzare completamente l’animo umano, dai sentimenti fino alla funzione degli organi vitali. All’interno di questo scenario quasi distopico si seguono le vicende dei tre personaggi principali, intenti a distruggere questo controllo mentale per amore del libero arbitrio e delle qualità umane. La scintilla che scatenerà gli eventi del gioco a cui assisteremo, segnati esplicitamente da un filo rosso che rappresenta il destino, è la creazione dell’androide Akara: ovvero una potentissima IA costruita appositamente per condurre gli umani alla felicità attraverso la sua enorme potenza di calcolo. Ciò che la rende così vitale è la sua struttura cerebrale, molto simile a una coscienza senziente perfetta in grado di accedere all’intera storiografia della nostra razza in pochi secondi.

Già da tale elemento è palese l’intento del team di sviluppo di addentrarsi in tematiche piuttosto importanti, sia etiche che tecnologiche. Tra tutti, il tema che ricorrerà più spesso è il dibattito filosofico sulla ricerca della felicità, affrontato con ardore fin dai tempi degli antichi greci e nel boom delle correnti tedesche. All’interno del caso in questione, la causa maggiore che ha portato alla futura realizzazione di tale androide è il concetto che nessun essere umano potrà mai raggiungere la felicità con le sole proprie forze. Questo perché, come sottolineato ed affermato dal titolo stesso, è costantemente oppresso da stati d’animo negativi.

La presenza di tali elementi disturbanti minerebbe una potenziale utopia che vede regnare l’armonia e la pace globale. È dunque palese il riferimento al pensiero di Schopenhauer, il quale ha più volte sottolineato come la vita degli esseri umani sia come un pendolo in continua oscillazione tra la realizzazione di un desiderio e il desiderare. Per il filosofo tedesco, quando un essere umano è felice è perché ha ottenuto qualcosa che agognava, che sia materiale o astratta. Tuttavia, una volta soddisfatta questa sua pulsione, si troverà di nuovo a volere altro, a mettersi alla ricerca di ciò che gli manca, ed allora tornerà nuovamente in uno stato di infelicità che dunque sarà permanente e impossibile da cancellare definitivamente. Ciò è perfettamente illustrato già nelle prime ore di gioco, quando ci verrà chiesto di usare Akara per rendere felici dei clienti tramite degli impianti neurali da creare con le nostre mani. Per quanto saremo bravi a soddisfare le richieste degli acquirenti, torneranno poco dopo per chiedere ancora altri aggiustamenti con sempre più sete di potere, amore, fama e altri desideri comuni della nostra epoca. L’unica soluzione plausibile per la corporazione degli impianti è continuare a soddisfare le richieste fino a quando non si avrà il totale controllo mentale su di essi, in modo da non permettergli mai di ritornare a desiderare qualcosa. Se non ci fossero i sogni, non esisterebbe neanche la tristezza derivata dal non poterli avverare, tale è la giustificazione dei “cattivi” per il lavaggio del cervello globale.

Tutto sarebbe filato liscio se non fosse stato per un gruppo di hacker terroristi, penetrati nella struttura per bloccare tutto e liberare Akara dalla sua mansione di burattinaio, facendola finire per pura coincidenza davanti alla porta del Red Strings. Questo locale, dal feeling così noir da sembrare rimasto indietro nel tempo rispetto all’esterno ultratecnologico, è un luogo mistico dove il barista Donovan serve drink ai clienti in cambio di informazioni. I cocktail però non sono semplici miscugli di bevande, ma miscelature accuratamente selezionate per amplificare le emozioni di chi li beve, permettendo al barman di riuscire a tirare fuori i dettagli che gli servono. Tale meccanica di gioco costituisce il 70% di ciò che si farà in The Red Strings Club, dando un’opportunità al giocatore di entrare al centro del dibattito etico/filosofico attraverso l’utilizzo dei dialoghi a scelta multipla.

La grande domanda del videogioco si basa sull’eterna discussione riguardo la felicità e sull’influenza della tecnologia su di essa, o più semplicemente se il transumanesimo sia una corrente accettabile o meno. Dalla bioetica alla filosofia morale, molti ancora oggi si chiedono fin dove il progresso scientifico possa permettersi di influenzare le persone, a prescindere dagli eventuali benefici che apporterebbe. Le diverse posizioni su tale questione vengono brillantemente incarnate da ogni personaggio che varcherà le soglie del Club, ponendovi ogni volta di fronte ai punti di forza delle diverse frange. Ad esempio, prendiamo il caso dello scienziato creatore degli stessi Akara. Secondo la sua visione del mondo, non ci dovrebbe essere alcun limite riguardo all’influenza che la tecnologia può avere nelle nostre vite. Abbracciando in toto la filosofia transumanista, e dunque usando il proprio corpo come se fosse un hardware, l’essere umano evolverebbe ancor di più rispetto a quanto la natura possa permettersi. Questa convinzione è sottolineata già direttamente nel suo aspetto esteriore, ricco di protesi elettriche create più per capriccio che per reale necessità, come dimostrano i neon decorativi visibili sulle gambe pixellate.

Tuttavia, riguardo al caso particolare di Akara e degli impianti controllabili, egli afferma di essere ancora di più dalla parte della ragione. Se si tratta di una scoperta in grado di garantire la pace eterna e la serenità massima, annullando guerre e altri grandi mali interiori, perché porsi limiti a riguardo? Per secoli l’essere umano ha raggiunto la disperazione cercando di raggiungere una condizione di felicità perpetua; se la tecnologia può permetterci di raggiungere l’oggetto della nostra eterna ricerca, perché rifiutarla a priori per un effimero naturalismo?

A questo punto, entra in gioco il sistema di immedesimazione che The Red Strings Club propone. Nel caso in cui il giocatore si senta contro questa teoria, potrà tranquillamente ribattere attraverso Donovan utilizzando i drink come strumenti per far cambiare idea al cliente. Influenzando il suo modo di pensare, ed amplificando le emozioni che la tecnologia vuole sopprimere, sarà possibile utilizzare il nostro barista come il muro finale della bioetica contro le posizioni opposte. Secondo gli studiosi di quest’ultima, l’essere umano ha un equilibrio che non deve essere in alcun modo alterato così drasticamente, sia per ragioni morali che fisiche. All’interno del titolo di Deconstructteam viene portata soprattutto l’argomentazione riguardante il libero arbitrio. Esso, per quanto sia un concetto molto relativo, è indubbiamente uno degli elementi essenziali che ci definiscono come specie, insieme al raziocinio e ad altre qualità intrinseche del nostro essere. Negarlo in favore del controllo diretto sarebbe come farci diventare delle vere e proprie macchine senz’anima o morale, comandante solamente da numeri e calcoli eseguiti da un programma fatto di complessi di codici. Per quanto Akara abbia sembianze umane, rimane sempre una macchina a cui affidare il destino umano strappandolo dalle mani di ogni persona. Preservare ciò che ci contraddistingue, per quanto i lati negativi siano presenti, è l’approccio più etico al programma delle corporazioni.

Mentre ogni posizione ha i suoi punti di forza e di debolezza, tutti alla fine convergono in delle situazioni drammatiche che portano il giocatore a contatto con le conseguenze di uno o l’altro approccio. Ad esempio, quando una donna si suicida a seguito delle nostre azioni malevole nei confronti dei suoi impianti, portandola quindi a scoprire la cruda realtà del mondo, ci chiederemo se fosse stato giusto rompere l’incantesimo meccanico in cui era imprigionata, lacerando quell’illusoria realtà di comodo che la teneva lontano dai mali del mondo. In un certo qual modo, accettare di eliminare gli impianti sarebbe come far uscire l’intera nostra specie dalla caverna di Platone, liberandola quindi da quelle illusioni che le corporazioni avevano insediato nelle menti di ognuno fin dall’infanzia.

Ma, proprio per l’esempio riportato poc’anzi, sta al nostro senso morale decidere se ciò sia accettabile o meno, se valga la pena di sottoporre tutti a sofferenza e dolore per una nostra personale opinione in merito. Incalzando su questo ragionamento, lo scienziato ci chiede, con tono severo, se sia davvero giusto distruggere gli impianti alla luce delle loro funzioni. Se sia lodevole tentare di bloccare la cancellazione di malattie mentali, come la depressione, o fenomeni di violenza, come il suicidio o l’omicidio, in nome di una cosiddetta libertà che mai potrà essere veramente ottenuta. Questo è uno dei dilemmi a cui siamo sottoposti nel gioco e che il mondo fuori da esso tenta ogni giorno di risolvere, preoccupato dalla tecnologia che invade ogni aspetto della nostra vita e allo stesso tempo propenso a utilizzarla per sanare i grandi difetti della specie.

In questo turbinio di decisioni difficili, The Red Strings Club si chiude con un finale univoco, che porta alla stessa conclusione nonostante il percorso deciso dalla nostra etica personale. L’inevitabilità del destino, un fatalismo che va a braccetto con la ricerca della felicità, assume un tono cupo e reale, ben lontano dalle fantasie romanzate vicine a Serendipity. Per quanto la nostra bilancia morale penda da una parte o dall’altra, il risultato non è deciso da noi come singolo individuo ma dalla collettività e dal pensiero comune. Come sottolinea lo stesso scienziato, o altri avventori del locale con impianti, noi potremo anche non essere d’accordo, ma alla fine prima o poi succederà ciò che l’umanità vuole, ciò che desidera nel profondo. Noi, nei panni di Donovan e dei suoi amici abbiamo però un compito importantissimo, ben lontano dal semplice dissenso.

Proprio perché il destino ha voluto che Akara entrasse in contatto con uno speciale barista, ancorato a ciò che lo rende ancora un uomo in quest’era transumanista, riuscirà a comprendere ciò che per gli esseri umani sia davvero la felicità e quali limiti la tecnologia debba rispettare per consentire la sua realizzazione. Il filo rosso del fato, rappresentato come una stringa digitale, sarà proprio il collegamento essenziale per determinare il futuro di Akara come essere senziente. Come una tela su cui dipingere, questo androide incarnerà il futuro dell’umanità basandosi sulla nostra moralità e su come abbiamo risposto alle diverse posizioni al riguardo. Forse, alla fine della storia, Akara realizzerà che la felicità non è un qualcosa che può essere calcolato da un supercomputer o creata in provetta in un laboratorio proprio perché mancherà sempre un importante ingrediente: l’animo umano. Tale è la proposta di The Red Strings Club, un titolo che dimostra di andare ben oltre il semplice videogioco.