Editoriale di gmg215
Gli open-world hanno raggiunto picchi straordinari durante l’attuale generazione di console. La crescente importanza attribuita alla libertà del giocatore, coadiuvata dalle possibilità offerte dai più recenti sistemi hardware, ha prodotto mondi enormi, privi o quasi di caricamenti ed interamente esplorabili a volontà. Avendo realizzato un’infrastruttura talmente mastodontica si è dunque posta la domanda cruciale, ovvero: cosa fare di cotanta libertà?
Come incanalarla in un contesto ludico dotato di un inizio ed una fine? Come guidare il giocatore senza che se ne accorga? La risposta può trovarsi in un qualunque punto di uno spettro di possibilità. Per semplificare la questione, ci limitiamo ad esaminare e discutere gli estremi di questo spettro, ovvero The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Red Dead Redemption 2.
Gli open-world hanno raggiunto picchi straordinari durante l’attuale generazione di console.
Esplorazione pura, un’avanzatissima fisica di gioco ed un mondo di poche parole ma pieno di sorprese: sono solamente alcune delle caratteristiche che rendono l’ultimo Zelda, uscito lo scorso anno per Nintendo Switch, la massima espressione dell’open-world “libero”. Una storia d’autore, una sceneggiatura sublime ed un mondo di gioco che sembra un presepio animato dallo spirito dell’America selvaggia di fine ‘800, giunta alla prova dell’industrializzazione: questi sono gli ingredienti primari di Red Dead Redemption 2, la massima espressione dell’open-world “vincolato”. Non tanto perché l’opera targata Rockstar argini la libertà del giocatore, bensì perché è indubbio che i momenti migliori coincidano con le missioni in cui il gioco è articolato. Ed anche perché anche il più infimo evento casuale è reso interessante grazie ad un’attenta caratterizzazione storica e narrativa.
Il punto di collisione fra i due giochi è la maestria con cui l’attenzione del giocatore viene gestita. Poco importa se lo stimolo a proseguire nell’avventura risieda nell’applicare un gameplay formidabile in un ambiente reso vivo da un’interattività originale ed unica, oppure se risieda nello sfogliare nuove pagine della storia, personale ma emblematica di un momento formativo del mondo odierno, di un carismatico cowboy fuorilegge e dei suoi compagni di banda. Ciò che conta è che non si riesce a poggiare il controller.
La mappa di Zelda è tanto dettagliata nella descrizione topografica del territorio quanto scevra di indicatori di punti di interesse che non siano punti di riferimenti impostati dal giocatore stesso. Questo non è certamente indice di mancanza di contenuti, tuttavia ciò che il gioco offre è talmente innovativo da risultare difficile da descrivere secondo i canoni comuni degli open-world. Le missioni e le sfide formalmente assegnate per lo svolgimento della trama sono solamente una piccola parte del divertimento: tutto il mondo pullula di sorprese che ben si incastrano con un gameplay ricchissimo di meccaniche. I movimenti di Link, abile nella corsa, nella scalata, nell’uso della paravela e nel nuoto, fanno si che non vi sia alcun anfratto inaccessibile. I suoi strumenti consentono di spostare oggetti, grandi e piccoli, risolvere miriadi di puzzle ambientali molto evoluti, svolgere combattimenti nelle maniere più disparate. L’intrinseca flessibilità del gameplay apre le porte ad infinite soluzioni originali che, per ammissioni degli stessi sviluppatori, non sono sempre studiate a tavolino.
Zelda è talmente innovativo da risultare difficile da descrivere secondo i canoni comuni degli open-world.
La mappa di Red Dead Redemption 2 è costellata di simboli: una miriade di personaggi da cui ricevere missioni da svolgere, punti di interesse peculiari dei singoli villaggi ed altre attività secondarie. La mole di istruzioni esplicite che il gioco rivolge al giocatore, del tipo “Accompagna una data persona in un dato luogo” oppure “Recati nel punto X ed attendi Y”, sarebbe percepita come soverchiante se non fosse diligentemente archiviata nei menu appropriati. Una benvenuta dose di imprevedibilità viene conferita dai già citati eventi casuali: la qualità della fattura di questi piccoli aghi nel pagliaio Rockstar è testimonianza di quanto concettualmente grandiosa sia l’odissea di Arthur Morgan.
Red Dead Redemption 2 è una grandiosa odissea in un mondo in evoluzione.
Ugualmente estese sono le “enciclopedie” dei due giochi: flora e fauna sono estremamente variegate e minuziosamente descritte sia per il mondo di Hyrule che per il mid-west americano. È interessante sottolineare come questa certosina caratterizzazione non sia fine a sé stessa, bensì venga inglobata nelle attività offerte al giocatore. Ad esempio, fra le più riuscite vi è la caccia in Red Dead e la cucina in Zelda. Nel primo caso, la moltitudine di animali che popolano i meandri del mondo fa si che le tecniche da utilizzare per ottenere una caccia fruttuosa siano specifiche di caso in caso. Come pure specifici sono le pellicce ed i trofei da ottenere e rivendere. Nel secondo caso, le proprietà caratteristiche di ogni pietanza, animale o pianta consente di sperimentare miscugli di ogni tipo per ricavarne preziosi oggetti per l’avventura: pozioni, piatti cucinati e cosi via.
Sarebbe semplicistico, nonché parzialmente sbagliato, dire che Zelda punta sul gameplay mentre Red Dead Redemption 2 punta sulla narrativa. I due giochi presentano ciascuno la propria idea di intrattenimento e la portano avanti in maniera coerente: elementi come il realismo e la fisica sono il frutto di precise scelte di design che probabilmente risalgono a fasi primordiali dello sviluppo. Pertanto, le differenze tra i due giochi a livello ludico sono meramente le conseguenze della diversità di scopo, non il contrario. Si potrebbe affermare che Zelda punta sull’avventura mentre Red Dead Redemption 2 punta sull’immersione. Il resto viene di conseguenza: non ci può essere avventura se esistono delle istruzioni per l’uso, non ci può essere immersione senza il realismo e le pesanti limitazioni sulle possibilità fisiche e motorie dei personaggi che ne scaturiscono. L’elevato tasso di interattività è uno strumento che entrambi i giochi utilizzano a piene mani. l’interazione “umana” trova la sua massima espressione nel Vecchio West. È possibile interagire con ogni singola anima viva, scegliendo di volta in volta l’atteggiamento da assumere: parlare o minacciare oppure, ovviamente, rapinare senza sprecare fiato. Hyrule, d’altro canto, è un parco-giochi di interazione “ambientale”: gli alberi, ad esempio, possono essere scalati per coglierne i frutti oppure abbattuti per ricavarne legna. L’interazione con gli altri personaggi è considerevolmente più limitata: l’esatto opposto di Red Dead.
Zelda punta sull’avventura mentre Red Dead Redemption 2 punta sull’immersione: le scelte di design seguono di conseguenza.
Il combattimento non rappresenta un elemento centrale in nessuno dei due giochi. Nelle sparatorie tra cowboy fuorilegge gli sviluppatori Rockstar mettono a disposizione del giocatore un sistema di mira automatica che semplifica notevolmente il livello di sfida. Questa meccanica consente di integrare alla perfezione le sezioni di gioco con gli innumerevoli filmati o con le fasi registicamente guidate, producendo un ritmo perennemente incalzante e privo di fasi di stallo. In Zelda il combattimento, nella sua forma più interessante, è un’estensione dell’esplorazione: le medesime meccaniche fisico-ambientali sfruttabili durante le fasi “calme” di gioco possono essere sfruttate negli scontri. Ciò consente di arricchire notevolmente il classico sistema articolato in attacco, parata, schivata e contrattacco.
Nei prossimi anni diverse, imponenti produzioni improntate all’open-world sono state annunciate. CD Projekt RED metterà per la prima volta i piedi fuori dal mondo di The Witcher per lanciarsi nella fantascienza Cyberpunk. Al netto del radicale cambio stilistico, la casa di sviluppo polacca sembra voler continuare a puntare sul connubio fra open-world e gioco di ruolo. Presumibilmente, l’atteso Cyberpunk 2077 proporrà una libertà di carattere morale, oltre che esplorativa, in cui la narrativa rimane centrale e si adatta alle scelte del giocatore. Si può grossolanamente affermare che i giochi di CD RED abbiano maggiori punti di contatto con l’open-world Rockstar che non con quello Nintendo.
D’altro canto, Bethesda ha annunciato ben due giochi open-world di prossima generazione: il misteriosissimo Starfield, di cui non si sa davvero nulla, e The Elder Scrolls VI. A mio parere, il classico The Elder Scrolls III: Morrowind è un antenato spirituale di Breath of the Wild, avendone anticipato, tra le altre cose, la parsimonia di istruzioni imposte al giocatore. Risulta difficile dire quale direzione il Deus Ex Machina Todd Howard e la sua squadra prenderanno nei loro prossimi progetti. Sicuramente ogni proposito dovrà necessariamente includere il rinnovamento del comparto tecnico legato al Creation Engine. Da un punto di vista strettamente ludico, auspico un ritorno allo spirito avventuroso di Morrowind unito alla riproposizione della lore oscura ed intrigante di Skyrim.
Tuttavia, la grande novità negli open-world potrebbe essere rappresentata dalla crescente attenzione per il multiplayer. Giochi come Anthem di Bioware sembrano voler proporre un mondo di gioco che si configura come un contenitore libero e condiviso all’interno del quale il singolo giocatore può sviluppare una storia individuale in cui sono previste sia le interazioni con gli NPC sia con gli altri giocatori. Si vocifera che anche Death Stranding sia una esperienza completamente online (nulla di confermato) anche se è del tutto ignoto se si tratti o meno di un open-world sulla falsariga sand-box di Metal Gear Solid: The Phantom Pain. Ciò che è certo è che gli open-world, a differenza di gran parte degli action-adventure lineari, offrono la longevità che i giocatori moderni sembrano chiedere a gran voce: per questo, il genere è destinato solo a crescere negli anni a venire.