Nei giochi ambientati in epoche passate, siano essi collocati in un contesto fedele alla realtà (o presunto tale) o immaginario, come i setting pseudo-medievali del genere high-fantasy, la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale sul piano dell’immersività. Alle classiche sinfonie che accompagnano e descrivono l’esperienza, evocando stati emotivi come inquietudine, allegria, attesa o sorpresa, si aggiungono composizioni che hanno il compito di richiamare un dato periodo storico tramite melodie ancestrali, spesso con l’ausilio di strumenti antichi. In particolare, i brani composti per le ambientazioni medievali, si ispirano a sonorità e stili raggruppate nel termine cappello di “Musica Antica” o “Early Music”. Un concetto assai vago che dovrebbe includere tutto ciò che viene prima del periodo barocco. Ma quanto prima? Siamo davvero sicuri della loro autenticità storica in relazione al setting di un gioco o qualsiasi altro contenuto multimediale?
In epoca moderna la cultura di massa ha assorbito una lunga serie di falsi miti storici e anacronismi legati all’Età di Mezzo (ve ne abbiamo raccontati diversi riguardanti il mondo dei vichinghi): un processo iniziato già nel periodo del Romanticismo, in uno smodato tentativo di rivalutare un’epoca ritenuta fin troppo oscura e culturalmente stagnante. Questo “Medioevo immaginario” è spesso catalizzatore di nefasti effetti collaterali, a partire dalla strumentalizzazione politica a opera di nostalgici movimenti nazionalisti o indipendentisti, spesso basati su cenni storici infondati (qualcuno ha detto Padania?). Anche la musica antica, come vedremo, presenta diverse imprecisioni e luoghi comuni in termini di collocazione temporale, seppur con esiti meno funesti.
Prestate l’orecchio alla musica ma non cadete nei falsi miti storici
Un classico esempio di musica ambient medievale è la melodia che ascoltiamo passeggiando per le strade di Novigrad in The Witcher 3, pietra miliare del fantasy collocato storicamente nell’Europa centro-orientale intorno al 1200 d.C.. Stiamo veramente ascoltando sonorità ispirate alla musica del XIII secolo? La risposta, ahimè, è probabilmente no. Per farlo non c’è bisogno di avvalersi di complesse indagini filologiche. Non mancano informazioni riguardanti la musica profana medievale, quella che faceva uso di strumenti, proibiti nella musica sacra poiché ritenuti inopportuni o addirittura opera del demonio. Conosciamo le liriche e relative tematiche, alcune rudimentali annotazioni ed anche coloro che le eseguivano pubblicamente, ovvero menestrelli, giullari e, soprattutto, i trovatori, eruditi viandanti che diffondevano la cultura musicale sul territorio europeo. Ma la musica profana, a differenza di quella sacra, veniva tramandata oralmente, poiché considerata poco rilevante, finché la figura del trovatore, in epoca rinascimentale, finì nell’oblio. Ci resta soltanto un corpus esiguo di brani, meno di cinquanta, risalenti al XIII e XIV secolo. Abbiamo quindi solo una vaga idea della loro reale esecuzione.
I brani dei videogiochi medievali o high-fantasy, come il caso specifico sopracitato, si rifanno a costruzioni musicali appartenenti al Rinascimento, periodo che segnò passi da gigante per quanto riguarda la polifonia, ovvero la musica a più voci o strumenti. O, al limite, composizioni medievali ma suonate alla maniera rinascimentale, come “Drink Up, There’s More”, celebre brano di The Witcher 3, che ricorda il “Saltarello”, celebre danza cortigiana del 1300. Anche in questo caso, o meglio, in questo periodo compreso tra il XV ed il XVI secolo d.C., la ricostruzione archeologica non sembra rappresentare un fedele retaggio culturale del passato, ma, molto semplificando, possiamo affermare che la musica ambientale medievale odierna è legata principalmente alla chanson, al mottetto, alle frottole e altre forme musicali che si ascoltavano per le strade, nelle taverne e nelle corti del Rinascimento. Quindi, molti secoli dopo rispetto al setting dei videogiochi, così come per i film e le serie TV.
Restiamo sempre in ambito medievale, focalizzando la nostra analisi non tanto in un periodo quanto in un’ambientazione specifica ovvero la Scandinavia del vichinghi. Il recente Assassin’s Creed Valhalla, come noto, è un titolo fortemente ispirato dalla serie TV Vikings e lo stesso vale per la sua colonna sonora.
Il cosiddetto nordic neofolk o viking folk è un genere che si è largamente diffuso negli ultimi anni, nonostante le sue origini risalgano ai primi anni ’90, quando il compianto Thomas Forsberg, in arte Quorthon, pioniere del metal estremo scandinavo con la sua one-man band Bathory, decise di abbandonare le aggressive sonorità del black metal con testi oscuri e prettamente anticristiani, in favore di composizioni epiche di wagneriana memoria con liriche rivolte alle gesta dei guerrieri norreni. Un esempio seguito da molti dei suoi “adepti” che col tempo, e soprattutto con l’età, hanno abbandonato il “corpse paint” e il genere metal per uno studio più approfondito della tradizione pagana scandinava. Tra questi non possiamo non citare Einar Selvik, autore delle musiche di Vikings con la sua band Wardruna e di Assassin’s Creed Valhalla.
Selvik ha svolto un encomiabile lavoro di risveglio della coscienza di una cultura dimenticata e, secondo la sua opinione, sopita e distorta dalla cristianizzazione del popolo norreno. L’artista norvegese, attraverso sonorità epiche ma al contempo oscure e rituali, riporta alla luce le tradizioni pagane attraverso lo studio della poesia scaldica, un’erudita forma di racconto delle leggende e saghe nordiche risalente al IX e X secolo. Non possiamo affermare lo stesso per la musica composta da Selvik che risulta una personale interpretazione, pur ricorrendo al patrimonio culturale del nord Europa. La sua band suona infatti esclusivamente antichi strumenti folcloristici scandinavi come la kraviklyra, la tagelharpa ed il bukkehorn, risalenti tuttavia al XV e XVI secolo. Perché, anche in questo caso, non abbiamo informazioni rilevanti legate alla musica ed i canti dei vichinghi.
Nonostante l’inevitabile mancata autenticità, le suggestioni sonore create dal nordic neofolk offrono comunque un efficace ponte culturale tra antico e moderno, in grado di cogliere in pieno il sentimento delle gesta dei leggendari eroi vichinghi e le saghe del nord, garantendo così immersività al giocatore o allo spettatore.
Discorso analogo per quanto riguarda la cosiddetta musica celtica che, per le sue eteree e magiche atmosfere, è molto diffusa nei videogiochi high-fantasy. Il nome rimanda ad un complesso di popoli e tribù indipendenti dai medesimi aspetti culturali, la cui massima espansione risale al III/IV secolo d.C., estesosi dall’Europa fino al Medio Oriente. Lo stile musicale, incentrato sull’uso di arcaiche versioni di arpe, violini, cornamuse e flauti, rievoca antiche leggende cantate dai bardi, che narrano di eroi e creature mitologiche, alla base, non a caso, del contemporaneo sword’n’sorcery e del fantasy epico medievale.
Tuttavia, anche in questo caso è più corretto parlare di suggestioni, così come di musica dei paesi celtici, dato che lo stile è nato intorno al XVI secolo e proviene dalle regioni in cui è rimasto maggiormente preservato il retaggio linguistico e culturale celtico, come la Scozia, l’Irlanda ed alcune aree settentrionali della Francia. Anche in questo caso è scontato riaffermare che dello stile musicale dei bretoni, galli ed elvezi abbiamo poche, pochissime informazioni.
Nelle colonne sonore di prodotti audiovisivi storici o fantasy è spesso presente una melodia cantata al femminile. Brani ammalianti, malinconici, che accompagnano la contemplazione, la sventura o una situazione di riscatto. Talvolta sono canti eterei e privi di testo, per evidenziarne il senso di drammaticità. Classici esempi nel cinema li troviamo ne Il Signore degli Anelli con il brano “Lotholorien“, che evoca la caduta di Gandalf a Moria o “Now we are free“, arcinoto brano del film “Il Gladiatore”, cantato dalla mai abbastanza lodata Lisa Gerrard. Ma non mancano esempi anche nei videogiochi come “Leliana’s Song” in Dragon Age:Origins, “Home in Florence” in Assassin’s Creed II , o il tema di Dragon’s Dogma, per citare quelli a cui sono maggiormente legato.
Il ruolo centrale della melodica voce femminile era già diffusa nella mitologia greca, come metafora del sapere o simbolo dell’ammaliante potere della seduzione. Basti pensare al canto delle muse, custodi della memoria e della saggezza, o il magico, intrigante quanto pericoloso richiamo delle sirene, simbolo, secondo Cicerone, dell’insaziabile desiderio di conoscenza. Dall’avvento del cristianesimo, in particolare dall’epoca bizantina il canto femminile venne ritenuto indecente e proibito pubblicamente per molti secoli a venire. Si riscontrano tracce in ambito profano tra il XII e XIII secolo con la presenza delle trovatore occitane.
La voce femminile come metafora del sapere
Tuttavia, dalla Scandinavia arriva un’altra reale fonte d’ispirazione che si è preservata ed ha attraversato i secoli fin dal Medio Evo, a differenza di quanto detto in precedenza. Si tratta di un’usanza popolare elevata ad arte colta da Edvard Grieg, il più celebre compositore norvegese e autore del “Peer Gynt”, famosa opera basata sulla mitologia norrena. Grieg ha più volte affermato che le sue composizioni sono state fortemente ispirate dal kulning, un’antichissima forma musicale usata dalle donne scandinave per richiamare il bestiame al pascolo.
Il suono acuto permetteva di comunicare con i pascoli anche a lunghe distanze e al tempo stesso tener lontano belve predatrici come lupi e orsi. Nei giorni nostri, le portavoce (in tutti i sensi) in ambito musicale sono Myrkur, già reginetta del black metal moderno, come potete verificare ascoltando l’ultimo album “Folkesange”, e Jonna Jinton, fotografa e blogger svedese. In questo straordinario video, la Jinton si esibisce nel kulning nel tentativo di richiamare una mandria poco distante. Cercate di immaginare mille anni fa, quali emozioni e fantasie potessero essere scaturite da un simile canto, se ascoltato a chilometri di distanza dalla fonte, immersi in un paesaggio montano o boschivo.
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