A distanza di quasi un anno dalla sua uscita, Cyberpunk 2077 non smette di far parlare di sé. Rimandi, patch, bug, glitch e quant’altro sono dilemmi e possibilità facilmente associabili al gioco di CD Projekt RED. Questo articolo non ha intenzione di concentrarsi sui problemi e le eventualità originate da Cyberpunk 2077 ma si propone di analizzarne il contesto narrativo, ponendo una riflessione di natura antropologica, soffermandosi su uno o più elementi socio-culturali racchiusi nel videogioco.
La disamina che segue ha origine nel genere di riferimento di Cyberpunk 2077. Come suggerisce il titolo stesso, il gioco riprende sapientemente le atmosfere, i temi e i soggetti delle narrazioni cyberpunk, arricchendo l’esperienza di gioco con continui rimandi ad altri media – cinema e letteratura in primis. Il genere cyberpunk nasce come corrente letteraria e artistica nella prima metà degli anni Ottanta, nell’ambito della fantascienza, di cui è divenuta un sottogenere riconosciuto.
Il nome ha origine dalla crasi di cibernetica e punk ed è originariamente coniato da Bruce Bethke come titolo per il suo racconto Cyberpunk (1983) anche se lo stile tipico del genere è reso popolare dai testi di William Gibson e Bruce Sterlig, con i loro racconti focalizzati su scienze avanzate – come l’information technology e la cibernetica – accompagnate da un certo grado di ribellione o cambiamento radicale nell’ordine sociale. L’essere umano protagonista delle narrazioni cyberpunk vede la propria identità e corporalità messa in crisi dalla presenza di innesti, impianti e protesi cibernetiche, atte a perfezionarne l’esistenza, quantomeno in teoria.
Cyberpunk 2077 si presenta come un valido catalizzatore di queste problematiche, illustrate non solo mediante la diegesi esplicita del gioco – sono un esempio la storia di Alt Cunningham e Johnny Silverhand e il rapporto tra la nazione dei Nomadi e il resto dei Nuovi Stati Uniti d’America – ma anche attraverso le micro-narrazioni che costellano il mondo di gioco di Cyberpunk 2077 – si pensi alla condizione di perfezionamento corporeo a cui è perennemente sottoposto l’avatar. È necessario quindi comprendere che cosa significa “essere umani” all’interno di Cyberpunk 2077 e quale sia la condizione in cui si trova l’essere (post-)umano raccontato dal gioco.
Un’ulteriore premessa è necessaria. Per gran parte della sua storia l’essere umano si è interrogato su se stesso, affascinato e spaventato dal caleidoscopio di emozioni e comportamenti che osservava negli altri e nel suo intimo. Le capacità di introspezione e riflessione sono state archiviate o riposte momentaneamente su uno scaffale, proclamate obsolete da una nuova visione del mondo, che vede al suo centro non più l’uomo da solo, ma l’uomo tecnicizzato, in quotidiano rapporto con la tecnologia, grazie alla quale detiene una forma di controllo sul mondo che lo circonda. Negli ultimi vent’anni questa idea si è diffusa ed è stata estremizzata attraverso i media di intrattenimento con successo, in particolare nei videogiochi.
Sin dal suo annuncio, la comunicazione di Cyberpunk 2077 si è concentrata sugli aspetti di corporalità dell’avatar di gioco e dei vari personaggi presenti. Impianti, innesti e protesi robotizzate sono immagini facilmente associabili al videogioco. Nel mondo virtuale sviluppato da CD Projekt RED, tali estensioni del corpo umano sono denominate “cyberware”. Di fatto, all’interno del gioco, esiste una vera e propria storia degli impianti e del cyberware.
Il cyberware nasce come evoluzione delle protesi mediche. All’inizio del ventunesimo secolo – circa settanta anni prima degli eventi raccontati in Cyberpunk 2077 – gli impianti sono utilizzati principalmente per sostituire gli arti o gli organi mancanti o danneggiati. Valvole cardiache, arti inferiori e superiori, vertebre: sono tutti impianti progettati per salvare vite umane o per consentire al paziente di funzionare di nuovo dopo un grave trauma. Come riportato in alcuni documenti collezionabili all’interno del gioco, lo sviluppo del cyberware subisce un’impennata dopo una delle più importanti guerre del ventunesimo secolo, la Prima Guerra Centroamericana, che porta a migliaia di feriti mutilati. In seguito, il processo tecnologico e la miniaturizzazione dei componenti rendono il cyberware medico più sofisticato e ne aumentano la diffusione, per quanto ancora piuttosto costoso e poco intuitivo da usare.
Si tratta della “generazione zero”, una tecnologia del tutto obsoleta nel 2077. Dopo la guerra, i primi impianti non medici progettati e testati con successo sono spine vertebrali e articolazioni rinforzate per gli operai che svolgono lavori pesanti e logoranti. In un primo momento, l’alto tasso di rigetto degli impianti impedisce l’ulteriore diffusione di questi miglioramenti cibernetici. Ecco che però la Seconda Guerra Centroamericana porta impianti e cyberware per la prima volta sul campo di battaglia. Le corporazioni militarizzate colgono per prime l’occasione, “producendo” cybersoldati potenziati – con maggiori capacità di carico e connessioni dirette ai telemetri – che si rivelano superiori agli avversari sotto ogni punto di vista.
Le guerre successive scatenano una corsa agli armamenti tra gli eserciti privati delle mega corporazioni, che continua ancora nel presente di Cyberpunk 2077. Come più volte dimostrato dalla storia umana, la guerra svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo di una nuova tecnologia. Al termine dei conflitti, ha inizio la produzione e introduzione dei modelli economici per il mercato industriale, con tanto di integrazione di un trattamento antirigetto. Ha inizio l’era del cyberware.
Composta da pezzi funzionali come cybermuscoli artificiali, innesti e impianti diventano presto uno status symbol, diffondendosi in tutti gli aspetti della vita e a tutti i livelli sociali: in ambito militare, nella medicina, nella produzione lavorativa quotidiana, nel sesso e nell’intrattenimento. Lo sviluppo del cyberware genera affari legali e illegali, dalla braindance – registrazioni di momenti passati all’interno di uno spazio virtuale accessibile via visore ad hoc – alla cyberfashion, dal mercato nero dei cyberarti agli organi creati con la bioingegneria.
Ciò che emerge da questo excursus sulla storia del cyberware di Cyberpunk 2077 è come l’umanità sia stata cambiata per sempre con un unico scopo: offrire un vantaggio significativo al proprio corpo in ogni ambito.
In questo nuovo mondo, il bene comune, il senso del legame, il religere viene a mancare, occuparsi degli altri è una perdita di tempo imperdonabile per il “super-uomo” che, nonostante riesca ad aumentare i propri poteri, non riesce ad aumentare proporzionalmente il suo tempo mortale. Il perfezionamento meccanico porta a una nuova condizione umana, definibile come un labirinto di specchi deformanti dove è facile smarrire la via. Il filo d’Arianna che potrebbe condurre all’uscita è fatto di carne e sangue, del riconoscimento della dignità dell’essere mortali costruttori di macchine e al tempo stesso ben altro da esse, un altro in cui costellano relazione, immaginazione e una nuova umiltà.
È l’essere umano in sé ad essere obsoleto
Attraverso impianti e cyberware, emerge un “essere umano” diverso. Di fatto, in Cyberpunk 2077 è l’essere umano in sé ad essere obsoleto, superato in competenze e performance dalle creazioni tecnologiche di cui è tuttavia l’autore, che gli impongono la necessità di un “autosuperamento”, di un’integrazione sempre più spinta in un mondo nuovo, nel quale – così com’è – non ha alcuna possibilità di competere e forse neanche di sopravvivere.
Il desiderio dell’umano di Cyberpunk 2077 è di incorporare il potere e vivere oltre il limite il più a lungo possibile, una questione evidente ed esplicitata al giocatore sia dall’intera main quest del gioco che dalle parole di Johnny Silverhand stesso, che più volte sottolinea come il corpo non sia solo strumento (avere un corpo), ma una forma di identificazione (essere corpo) – dichiarazione determinante l’epilogo della storia raccontata dal gioco.
Attraverso innesti, impianti e protesi l’identità umana diventa ibrida, si va contaminando con quella meccanica. Cibernetica e programmazione informatica invece di eliminare i limiti li riaffermano con forza: nulla è mai abbastanza, tutto dev’essere fortificato e ridisegnato, è necessario cambiare l’immagine dell’uomo e conseguentemente il suo ruolo e rapporto con l’ambiente che lo circonda.
Come ricordato da Isabela Corvino e Fabio D’Andrea nel loro Essere umani nel XXI secolo (2018), l’essere umano, in Occidente, “risponde all’insufficienza essenziale con la tecnica, il dono di Prometeo che lo assiste lungo i secoli con strumenti che ne potenziano le capacità e ne alleviano le debolezze.” Non sorprende quindi che nell’ideale delle narrazioni cyberpunk, l’uomo non immagina più la macchina, ma si immagina macchina e l’immaginario artificialista che ne scaturisce ha conseguenze significative su ogni registro della sua vita, dal quotidiano all’astrazione scientifica.
Più cresciamo e diventiamo superuomini, e più siamo disumani
Negli anni Cinqunata, il premio Nobel per la pace Albert Schweitzer, affermava che “l’uomo è divenuto un superuomo ma il superuomo col suo sovrumano potere non è pervenuto al livello di una sovrumana razionalità”. Ciò significa che più il suo potere cresce, e più egli perdere quello stesso potere poiché “più cresciamo e diventiamo superuomini, e più siamo disumani”.
La tensione verso l’ignoto, il voler affrontare la vita e l’eternità con mezzi post-umani e ultra-umani, se da una parte dà potere, dall’altra toglie umanità. Questo paradigma è perfettamente descritto in Cyberpunk 2077, ne è un valido esempio il rapporto tra il protagonista/giocatore e le sue scelte relativamente alla breve sotto trama dell’intelligenza artificiale Delamain.
Sin dal suo primo annuncio, risalente a più di otto anni fa, Cyberpunk 2077 proponeva un’idea di corpo post-umano, in grado di “ritoccare” i canoni estetici della società occidentale. Nel primo trailer pubblicato da CD Projekt RED, il corpo femminile è messo in scena sotto una nuova luce: il filmato cavalca l’archetipo di femme fatale andando a modificare fisicamente il corpo della donna, concretizzandone la minaccia e la resistenza in rapporto a ciò che la circonda, creando un’icona di bellezza post-umana.
Immaginarsi macchina fa sì che azioni non lineari o razionali siano considerate un errore. L’essere umano tende a una dimensione superiore ed esercita forme di controllo e potere attraverso il suo corpo: come il software che agisce per mezzo dell’hardware. Quel corpo, quell’hardware, è però vittima del tempo, porta i segni e le tracce del suo vivere sociale, ciò che si cerca di celare appare evidente, diventa sempre più necessario riprendere il controllo sul proprio corpo, poter decidere cosa mostrare agli altri di sé.
Ecco quindi che si origina il paradigma definitivo e definito di Cyberpunk 2077, sottolineato, evidenziato e nascosto dalla relazione tra il giocatore e la figura di Johnny Silverhand: l’individuo dà il via a uno scambio simbolico con la morte, cercando di ridefinire se stesso, il sacrificio di una parte di sé lo strappa al quotidiano e in particolare alla routine della sua sofferenza. Il giocatore – nei panni dell’avatar – modificando se stesso, dà per scontato di riuscire a modificare l’ordine delle cose.
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Bellissimo articolo, complimenti