Perché una rubrica sul game design e sopratutto, che cos’è?
Il game design è quel modo di progettare, ideare ed implementare una determinata cosa o un determinato modo di fare le cose dentro un videogioco.
Fps arena o sblocchi con punti esperienza? E’ una questione di game design.
Action con impostazione roguelike o arcade? E’ una questione di game design.
Backtracking, gestione della crescita del personaggio in un GDR, meccaniche tecniche di un picchiaduro o casual in un platform? Tutte questioni di game design.
L’argomento diventa quindi non solo essenziale per chi sviluppa, per decidere che impronta dare al suo gioco, ma anche per chi recensisce, per valutare un prodotto analizzando che cosa permette di fare e come, in quanto esistono anche modi diversi per presentare elementi analoghi di game design (parlare di game design non si limita a citare una caratteristica). E’ utile persino per chi compra, per capire se un titolo ha le qualità che interessano, se offre un’approccio consolidato o innovativo ad un genere che ci piace, fungendo anche da aiuto nell’acquisto.
Una passata formazione giornalistica mi ha portato a considerare alcune differenze tra la stampa videoludica e quella che copre altri argomenti. Tutt’oggi nell’immaginario collettivo la stampa videoludica non gode ancora di dignità e considerazione paragonabile a quella di altri campi; dire di essere un “giornalista/critico videoludico” viene liquidato come il tentativo di dare eccessiva importanza, tramite un nome altisonante, ad un ruolo improvvisato, di basso spessore o magari costruito semplicemente nel coltivare in modo economicamente remunerativo una passione. Un pregiudizio che francamente non si può neanche biasimare troppo, visto l’eccessivo fiorire di titoloni roboanti degli ultimi anni.
Tuttavia è bene specificare che da ormai quasi vent’anni i videogiochi sono diventati anche un contenitore di influenze artistiche ed elementi propri di altri settori, arrivando ad essere spesso dei prodotti costruiti con qualità creative molto sofisticate e come tali meritevoli di approfondimenti e analisi non difformi da quelle che si danno per scontate in musica e cinema.
Al tempo stesso però la critica videoludica deve fare un salto, perché forse le manca ancora quel tipo di approccio che la critica musicale e cinematografica già possono vantare per legittimarsi agli occhi dei non addetti al settore e del pubblico generalista.
L’analisi critica (in senso esteso, come critica positiva o negativa) non è ancora diffusa e data per scontata nel trattare l’argomento. Facciamo un esempio: nel cinema si può scrivere una recensione di un film citando l’aspetto descrittivo ed emozionale (le tematiche impiegate, le emozioni che il film suscita), ma anche l’aspetto tecnico (la regia, la sceneggiatura, la recitazione). E’ possibile valutare Shining di Stanley Kubrick non solo spiegando come la paura sia costruita ad arte nello spettatore, ma anche il modo in cui la regia contribuisce, il modo in cui un piano-sequenza della telecamera diventa la personalissima nota d’autore del regista, che fa la differenza per ingigantire la forza di una scena che magari sarebbe meno potente se fatta in altro modo.
Per i videogiochi questo valore può essere conseguito grazie alla trattazione del game design, con importanza forse persino maggiore.
Come anticipato prima, non solo è un fattore che aiuta l’appassionato a capire meglio certe cose, ma è anche un metro di valutazione che permette di orientare l’acquisto dei propri sudati settanta euro in modo molto più mirato di quanto un filmato spettacolare e una recensione solamente descrittiva possano fare.
Grazie al game design possiamo capire se, pad alla mano, quel gioco ci permetterà di fare le cose che ci piacciono nel modo che ci piacciono, se potrà stupirci o semplicemente riproporre qualcosa. Un aspetto non da poco, specie perché alcuni aspetti di game design (il free roaming o l’open world, per dirne due che dominano la scena videoludica odierna) a seconda di come sono integrati, possono rendere appetibile o indigesto anche un bel gioco come Breath of the Wild (la cui qualità è oggettiva, ma il cui gradimento personale può essere legittimamente soggettivo, come nel caso di chi apprezza o meno gli open world).
Pertanto ecco quindi il game design, come rubrica fissa, per parlarne e scoprire cosa sia. Con l’intenzione che possa diventare lo strumento che celebri il progresso nel mondo dei videogiochi, che aiuti il pubblico a scegliere il prodotto più adatto a lui e che doni una dignità indiscutibile alla stampa videoludica nostrana.