Proseguiamo la serie di articoli dedicati all’approfondimento dei retroscena dei videogiochi: in questi speciali analizzeremo degli aspetti, moderatamente tecnici, della realizzazione di alcune fra le opere più significative degli ultimi anni. A tale scopo, le fonti di informazioni selezionate saranno unicamente le presentazioni effettuate direttamente dagli sviluppatori, senza intermediari, in occasioni quali la GDC (“Game Developers Conference”, conferenza degli sviluppatori) di San Francisco oppure l’annuale GameLab (che quest’anno sta avendo luogo questi giorni a Barcellona). Per chiarezza e, soprattutto, per facilitare i paragoni, questi approfondimenti sono divisi per casa di sviluppo: qualche tempo fa, sempre qui su Gameplay Cafe, avevamo analizzato delle chicche targate Naughty Dog. Questa volta discuteremo di un’altra software house che, in pochissimi anni, ha visto la propria reputazione crescere esponenzialmente, con tutto il merito del mondo. Si parte per esplorare la Terra di Nessuno (No man’s land) e le sue mille quest, scoprire la costruzione della splendida regione di Toussaint, che tanto ricorda la nostra Toscana, analizzare la cinematograficità delle avventure di Geralt di Rivia: insomma, si parla di CD Projekt RED.
Fin dall’uscita di The Witcher nel 2007, i ragazzi della casa di produzione polacca si sono contraddistinti per l’incredibile attenzione alla componente narrativa ed emozionale, caratteristica che condividono con Naughty Dog seppur sfornando giochi appartenenti a generi videoludici molto diversi, e per l’artigianalità, nell’accezione più positiva del termine, dei loro prodotti: a dispetto dell’imponenza degli ambienti, l’intera trilogia di Geralt di Rivia, ed il terzo capitolo in particolare, è stracolma di piccoli dettagli ed accorgimenti che rendono vibranti le terre dei Reami del Nord. Del resto, la forte identità culturale est-europea è un elemento da considerare quando si discute di CD Projekt RED e di The Witcher: quest’ultimo nasce infatti dalla penna di Andrzej Sapkowski, scrittore famosissimo in Polonia e molto poco altrove. Per loro stessa ammissione, gli sviluppatori della casa polacca sono appassionati di tale saga, vero e proprio tesoro nazionale, e tale affetto, a mio avviso, si avverte nella meticolosità con cui sono state create delle atmosfere, emotivamente precisissime, e nella caratterizzazione, teneramente spietata, dei personaggi, primari o meno, e delle situazioni.
Vi consiglio di proseguire la lettura con l’inebriante sottofondo musicale delle melodie slave tipiche del mondo di The Witcher, infatti di seguito si parlerà spesso e volentieri di atmosfera, coinvolgimento, suggestione e dettagli.
Durante il corso del GameLab del 2015, svoltosi a Barcellona, Konrad Tomaszkiewicz, game director di The Witcher 3: Wild Hunt e già designer sui primi due capitoli, fa un’interessantissima e sintetica presentazione riguardo il binomio al cuore della filosofia di CD Projekt RED, ovvero quello tra la sovranità della storia ed il non-determinismo della struttura open-world. In particolare, Tomaszkiewicz si concentra sugli aspetti che hanno consentito a Wild Hunt di essere un gioco in cui, da un lato, la storia è indiscutibilmente regina, ma dall’altro il giocatore gode di un’enorme libertà d’azione.
I giochi di CD Projekt RED nascono attorno al concepimento di una storia ed il gameplay viene elaborato come strumento per esaltare tale narrazione (non accade il contrario, ossia che la storia venga messa a punto in seguito alla creazione di un gameplay loop), ma al contempo traggono infatti ispirazione dagli RPG carta e penna: come abbiamo avuto modo di approfondire nello speciale sulla serie di The Elder Scrolls, quest’ultimi danno vita a partite gestite dal cosiddetto custode o game master, il quale stabilisce la reazione da impartire al mondo a seguito delle azioni e delle scelte del giocatore. Tomaszkiewicz ammette subito che non è stato possibile riprodurre in un videogioco la complessità del ruolo del custode (questo sarà forse il banco di prova per Cyberpunk 2077), tuttavia la convinzione trainante di tutta la produzione è stata quella di creare un mondo quanto più possibile malleabile e reattivo. Questo ambizioso compito è ancor più complicato di quanto sembri: in giochi quali il celeberrimo Dungeons & Dragons la storia inizia somigliando meramente ad un canovaccio, che solo successivamente si espande e ramifica secondo il volere del custode, il mondo concepito da Sapkowski, invece, nasce complesso e, soprattutto, pieno di personaggi memorabili e pienamente caratterizzati a tavolino. In tal senso, non stupisce che The Witcher e The Witcher 2: Assassins of kings avessero un impianto narrativo molto sviluppato ma che tuttavia non fossero propriamente degli open world.
Konrad Tomaszkiewicz spiega come, al fine di creare l’illusione di un mondo credibile, The Witcher 3: Wild Hunt sia organizzato in diverse stratificazioni narrative: in cima troviamo la quest principale, ossia la ricerca disperata di Geralt per la figlia Cirilla (Ciri), sotto di essa vi sono le quest secondarie ed i contratti da Witcher, le prime sono le storyline secondarie il cui esito cambia a seconda delle scelte del giocatore, mentre i contratti si risolvono solitamente con degli scontri con mostri molto particolari. Ancora più in profondità troviamo le quest minori, dalla struttura molto semplice e senza alcuna implicazione nell’evoluzione del mondo di gioco. Successivamente, in una fase avanzata dello sviluppo, accorgendosi come il materiale accumulato coprisse solamente il 40% della mappa, vennero disseminati i punti di interesse. Infine, alla base di questa complessa impalcatura, vi è il mondo vivente composto dagli NPC, dalla natura, dal tempo meterologico incluso il ciclo notte/giorno.
La storia, o quest, principale è fortemente non-lineare e si sviluppa parallelamente in tre distinte regioni: Velen (anche conosciuta come No man’s land, “terra di nessuno”), Novigrad e l’arcipelago di Skellige. Ciascuno di queste macro-aree è contraddistinta da un’ambientazione, un’atmosfera, un contesto culturale differente e descritto con grande dovizia di particolari: ad esempio, Velen è una vasta campagna in cui le carestie e gli spadroneggiamenti dei signorotti locali avviliscono le già precarie vite dei contadini locali. Il giocatore è libero di portare avanti le quest legate ad ognuna di queste tre zone in maniera parallela: non vi è un ordine imposto a priori.
Le quest secondarie, anch’esse non-lineari, possono essere affrontate o meno, tuttavia anche la scelta di non eseguire la missione costituisce implicitamente una scelta e, come tale, comporta delle conseguenze: è compito degli sviluppatori mantenere la coerenza e la sequenzialità di tutte le possibili decisioni. Uno sforzo enorme è stato dedicato all’originalità ed all’unicità di ogni singola quest secondaria: alcune fra le storyline più memorabili ed i personaggi più vividi dell’intero gioco sono legati ad incarichi secondari. Un altro dettaglio che accentua la libertà del gioco è la flessibilità con cui una quest può essere iniziata: vi sono sempre almeno due modi per ricever un incarico. Il primo modo, quello ortodosso, è recarsi presso un NPC (chiamato il quest giver, appunto) ed innescare un dialogo esplicativo; il secondo modo è semplicemente recarsi “per sbaglio” su un luogo in cui la quest si deve svolgere, ad esempio una scena del crimine da investigare. La gestione delle azioni compiute dal giocatore “per sbaglio” è, a mio avviso, uno dei metri di giudizio da adottare quando si giudica un gioco open-world ed in questo The Witcher 3 eccelle.
Le quest minori sono meno impegnative anche nel concepimento e nella realizzazione tecnica: servono principalmente al giocatore per entrare in sintonia con l’atmosfera del mondo e familiarizzare con determinate meccaniche di gioco. Più interessanti sono i punti d’interesse: essi sono costruiti grazie ad un template, ossia un pezzo di codice che si ripete con pochissime variazioni e che, pertanto, comporta un lavoro d’implementazione sensibilmente inferiore a qualunque altra quest. Tomaszkiewicz spiega l’importanza di particolareggiare e diversificare questi luoghi, inevitabilmente stereotipati dal punto di vista della struttura, attraverso l’inserimento di oggetti unici quali lettere, poemi, oggetti rari ed armi preziose: questo stratagemma, non solo ricompensa il giocatore invogliandolo ad esplorare sempre ogni anfratto, ma al contempo maschera la natura “template” con il cosiddetto “tocco umano”.
Beauclair è la capitale della splendida e coloratissima regione di Toussaint, dove è ambientato il secondo DLC di The Witcher 3: Blood and Wine. In una presentazione svoltasi al GDC del 2017, l’environmental artist Kacper Niepokolczycki spiega come la costruzione di questa vasta e complessa città abbia rappresentato un’ardua sfida per il team di sviluppo: infatti, la volontà di creare un ambiente colmo di contenuti ha messo a dura prova i budget di risorse hardware, considerati paletti invalicabili da rispettare per assicurare una resa fluida del gioco sulle varie piattaforme.
La città è organizzata in distretti e si sviluppa sia in piano che in altitudine: il punto più alto è rappresentato dal palazzo della Duchessa di Toussaint, Anna Henrietta, mentre il punto più basso è il porto. Il dislivello verticale va di pari passo col mutamento della classe sociale: i più ricchi risiedono nelle lussuose case a due piani che formano la città alta, mentre i meno abbienti popolano le casupole site nella zona poco sopra il porto, ovvero la città bassa.
Dopo aver composto uno schema di massima rappresentante i vari quartieri e le strade principali, la pianificazione urbana si è svolta con l’obiettivo di introdurre punti di riferimento per permettere al giocatore di orientarsi nei meandri del centro abitato: inizialmente i luoghi deputati a tale funzione erano il palazzo ducale elfico ed il monte Gorgon (o Montagna del Diavolo, la cima più alta della regione), tuttavia fin da subito è apparsa la necessità di inserire dei landmark anche dentro la città stessa. Come risultato di tale lavoro certosino di composizione urbana, in qualunque spazio aperto Geralt si trovi, entro i confini di Beauclair, uno fra il palazzo ducale, il monte Gorgon, il municipio e la chiesa del cimitero (situata nella città bassa) sarà in vista.
Come sottolineato poc’anzi, un altro fattore importantissimo per la creazione della capitale della regione vinicola è rappresentato dal compromesso fra ambizione artistica e possibilità tecniche: ogni edificio, ogni NPC, ogni elemento che figura su schermo rappresenta un “costo” in termini di hardware. In altre parole, più Beauclair è complessa e ricca di persone e contenuti, più appesantisce il motore grafico: se talune soglie di guardia vengono oltrepassate, si verificano eventi infelici, quali i cali frame rate, che inficiano l’incantesimo e la magia del mondo di Toussaint. Niepokolczycki fa l’esempio di una singola casa nobile della città alta: in tale caso,effettuare la renderizzazione, ossia la generazione dell’immagine digitale, di tutti gli elementi dell’immobile (ossia volume esterno, decorazioni, muri, arredamento degli interni, eccetera) al medesimo momento, richiederebbe un tale quantitativo delle risorse hardware da lasciare spazio solamente per una manciata di edifici!
Pertanto, è risultato palese il fatto che il motore grafico dovesse elaborare solamente gli oggetti certamente visibili al giocatore: per esempio, il mobilio delle case viene caricato esclusivamente nel momento in cui Geralt varca la soglia di tale abitazione. Inoltre, sono stati realizzati diversi modelli per ogni oggetto, ciascuno dotato di un diverso livello di dettagli ma anche di un diverso costo computazionale. Torniamo all’esempio della casa nobile: nel momento in cui ci troviamo ad una distanza maggiore di 50 metri dall’edificio, il motore grafico ne carica solamente il modello più “povero”, detto proxy, ossia una rappresentazione di qualità e costo relativamente bassi. In fondo, essendo così lontani, non saremmo comunque in grado di apprezzare ogni singolo ghirigoro a decorazione della facciata! Nel momento in cui ci avviciniamo maggiormente, tra i 50 ed i 20 metri, il proxy viene sostituito dal cosiddetto Lod1, ossia da un modello leggermente più dettagliato e quindi pesante dal punto di vista computazionale. Infine, quando Geralt è in prossimità della casa, il modello Lod0, ossia la versione dettagliata della struttura, completa di tutti gli interni visitabili, viene dato in pasto al motore grafico. In tal modo, il livello di dettaglio del mondo rimane altissimo alla percezione del giocatore, poiché è il frutto di un raffinato lavoro di ottimizzazione. Tale stratagemma è rappresentato nello schema raffigurato qui sotto:
Vi sono dei casi particolarmente impegnativi per il motore grafico: le viste a lungo raggio ed i luoghi gremiti di persone ed attività. Vagando per Beauclair, potete facilmente notare come tutte le potenziali viste a lungo raggio, ossia quelle che da un vicolo permetterebbero di ammirare la campagna circostante la città, sono bloccate da svariati elementi architettonici, quali scalinate o alti portoni. Ciò, oltre a creare interessanti scorci urbani, consente di evitare le costosissime renderizzazioni delle vallate antistanti Beauclair. Per quanto riguarda i luoghi affollati, in particolare la Gran Piazza, è stato necessario introdurre percorsi di ingresso a tale ambiente che fossero coperti e tortuosi abbastanza da assicurare il tempo necessario al motore grafico per generare una tale mole di contenuti.
In estrema sintesi, la composizione della capitale di Toussaint ha caratteristiche di estrema suggestione ma, soprattutto di estrema funzionalità: tale risultato, ottenuto attraverso molteplici iterazioni e tentativi, mostra, ancora una volta, la dedizione di CD Projekt RED verso la credibilità del mondo che si vuole prospettare al giocatore.
Il mastodontico The Witcher 3 contiene quasi 40 ore di dialoghi: viene spontaneo chiedersi come siano riusciti a realizzare una tale mole di contenuti, attenendosi al tempo previsto per lo sviluppo del gioco e, al contempo, garantendo un elevatissimo valore cinematografico per ogni singola scena. Piotr Tomsinski, il technical art director e principale programmatore del motore grafico Red Engine, sviluppato in casa CD Projekt RED, discute questo straordinario risultato durante una presentazione al GDC del 2016.
La considerazione di partenza, che da una motivazione a questo interessantissimo intervento, è che il costo richiesto per realizzare un vero e proprio filmato per ogni singola scena di dialogo è esorbitante: pertanto, è necessario elaborare uno stratagemma che consenta di rimpiazzare il motion capture, tecnica molto dispendiosa e che richiede la presenza di numerosi attori. Infatti, nel prodotto finito, solamente i filmati pivotali, che in totale ammontano a circa 2.5 ore, sono realizzati in maniera canonica,il resto viene costruito attraverso un codice sviluppato appositamente dai programmatori della casa di Varsavia. Gran parte della presentazione vede Tomsinski dettagliare il funzionamento di tale software e discutere il flusso di lavoro messo in campo per la realizzazione di un dialogo.
Proprio i dialoghi sono infatti una parte importante della narrazione e, più nello specifico, di una quest, pertanto la prima figura professionale che interviene nella genesi di una missione è il quest designer: una figura a metà strada fra l’autore ed il game designer, che posiziona i singoli dialoghi all’interno della quest stessa. A questo punto interviene il dialogue designer, ossia un artista competente in cinematografia ma non necessariamente un programmatore, ed in questo risiede la genialità del metodo CD Projekt RED: il codice funziona attraverso un’interfaccia creata dai programmatori per l’utilizzo da parte degli artisti. Questo dettaglio è in realtà importantissimo, perché il dipartimento artistico è solitamente molto più numeroso di quello di programmazione ed in tale modo la produzione di dialoghi di pregevole fattura è resa molto più spedita.
In termini di input, il codice richiede i nomi dei personaggi partecipanti al dialogo ed una serie di informazioni relative al loro stato emotivo. Successivamente, si accede ad una libreria di “blocchi”, ciascuno dei quali racchiude una brevissima animazione rappresentante un gesto o una movenza, ad esempio agitare il dito indice oppure indicare assenso o dissenso tramite un movimento della testa oppure stringere la mano a pugno e cosi via. Il compito degli artisti è sincronizzare tali movenze “prefabbricate” con la traccia audio del dialogo (evidentemente registrata in una fase precedente, come sempre accade nei videogiochi): così facendo, i personaggi risultano convincenti ed ogni singola scena prende vita. Ovviamente, tale processo richiede molte iterazioni e molta precisione: bisogna curare la direzione dello sguardo degli interlocutori, la loro distanza reciproca, gli accadimenti che hanno luogo sullo sfondo, i movimenti della telecamera, la gestione dell’illuminazione e gli eventuali effetti speciali (necessari quando un personaggio esegue una magia).
Tale stratagemma non raggiunge ovviamente il livello qualitativo di un filmato vero e proprio, tuttavia riesce a mantenere alta l’attenzione del giocatore verso la storia, favorendo così il suo coinvolgimento emotivo negli eventi. Parlando di CD Projekt RED, spesso ci si meraviglia di come, nonostante una mole di contenuti enorme, ogni piccolo dettaglio sia stato concepito per essere unico. Tomsinski ribadisce che tale sensazione è illusoria, nel miglior senso possibile: molto lavoro è dedicato alla creazioni di escamotage tecnici, come il software per creare dialoghi di cui abbiamo parlato, che nascondono il riutilizzo dei medesimi asset (gesti nei dialoghi, costruzioni, elementi decorativi, alberi, foreste e cosi via) in diversi punti del gioco: la maestria risiede proprio nel mascherare tali “trucchi”.
Gli RPG open world a trazione narrativa appartengono forse al genere videoludico più oneroso da sviluppare: comportano enormi costi di produzione e mastodontici rischi. Tuttavia, alcuni tra i più grandi capolavori di recente memoria ricadono in questa categoria. In pochi anni CD Projekt RED è riuscita ad arrivare all’avanguardia di questo difficilissimo settore. La sua crescita, artistica e commerciale, è stata organica, coerente e più o meno spedita (vi fu una debacle durante il tentativo di conversione a console del primo The Witcher). Ogni gioco è stato costruito sui pregi e difetti del precedente. Le idee alla base dei loro progetti sono state mantenute nel tempo con una coerenza straordinaria: la supremazia della storia, la libertà di azione consentita al giocatore e la cura maniacale per l’unicità dei momenti.
Detto questo, i mondi enormi non possono essere disegnati a mano! CD Projekt Red dimostra un’ingegnosità eccezionale nel trovare soluzioni tecniche innovative ed originali che rendono realizzabile un’impresa altrimenti impossibile: le città, le quest, i dialoghi appaiono unici e sono interamente funzionali al nutrimento dell’atmosfera del mondo di The Witcher e di Geralt di Rivia.
In chiusura, al solito, consentitemi un pensiero personale. Ci sono stati accesi dibattiti in seguito allo svelamento del nuovo progetto Cyberpunk 2077: evidentemente, la scelta della visuale in prima persona ha instillato dei dubbi in qualche fan di vecchia data. A queste persone, mi permetto di far notare che una software house che lavora con la dedizione, la precisione e la maestria che emergono dagli scampoli tecnici descritti poc’anzi, non va mai dubitata a priori (a posteriori, avendo il gioco in mano, i confronti e le opinioni sono invece interessanti e sempre bene accetti). Se la visuale è stata portata dalla terza alla prima persona, un motivo ci deve essere ed il gioco ne beneficerà sicuramente. Quindi cerchiamo di portare pazienza e sperare che Night City arrivi presto.