A giudicare dai recenti anni di cronaca videoludica, si direbbe che a noi appassionati non piacciono più le sorprese. Vogliamo sapere tutto di un gioco, fin dalle sue fasi di sviluppo. Talvolta, questa smaniosa curiosità porta ad episodi quali la rottura del Day One del recente God of War (di cui Antonio Fucito parla qui).
Eppure, non è sempre stato cosi. Prima che internet divenisse un reazionario e sterile tramite per sussurri, indiscrezioni e commentari più o meno costruttivi, i giochi erano coperti da un velo di segretezza che veniva rotto in occasione dell’uscita sul mercato. Solamente allora la comunità videoludica iniziava a confrontarsi freneticamente, producendo le opinioni più disparate: si trattava spesso e volentieri di momenti memorabili, in cui la diversità delle idee innescava dialoghi fruttuosi ed interessanti. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare, ce n’è uno che fa storia a sé. Non fu nulla di polarizzante, anzi: fu incredibile perché mise tutti d’accordo.
Il 12 novembre 2001, uno dei giochi più attesi nella storia fu rilasciato. Sequel dell’apice supremo del genere stealth, produzione kolossal, creatura di uno dei più visionari, originali, imprevedibili e semplicemente geniali game designer della storia, Hideo Kojima: Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (MGS2) prometteva di essere molte cose. Eppure, per gli amanti della serie, doveva essere soprattutto la nuova avventura di Solid Snake: l’immenso, straordinario, meraviglioso Solid Snake. Eroe suo malgrado in ogni circostanza e, per me, autentica incarnazione di un Garibaldi videoludico.
Ebbene, come tutti voi sapete benissimo, MGS2 sconvolse il pubblico perche’ il suo protagonista giocabile non era Solid Snake, almeno non per oltre l’85% della sua durata. Infatti, dopo un breve prologo consistente in una missione di ricognizione su una petroliera alla ricerca di nuovi prototipi di Metal Gear, l’azione si sposta sulla struttura marina Big Shell e qui, dopo un filmato rassomigliante in tutto e per tutto a quello che accompagnava i titoli di testa del primo Metal Gear Solid (MGS1), si alza il sipario su un perfetto sconosciuto.
Il protagonista giocabile di MGS2 si chiama Raiden: un men che illustre sconosciuto che prende il posto dell’eroe più amato. A chi questa scelta non è parsa folle a prima vista?
Questo approfondimento è dedicato a lui ed al suo umano percorso: un soldato senza storia né causa, pedina di un gioco imperscrutabile, che insegue con caparbia disperazione l’autodeterminazione.
Tra le molteplici possibili chiavi di lettura, infatti, MGS2 si configura come il racconto della formazione di Raiden-Jack (suo nome di battesimo): contrariamente al caro Snake, egli non è pronto per ciò che deve affrontare, quindi la sua evoluzione avviene necessariamente in parallelo agli avvenimenti che lo coinvolgono. In questo senso, il suo cammino è anche il nostro: accompagnare Raiden sul campo di battaglia non ha meramente l’obiettivo di completare una missione muovendo così un pezzo sulla scacchiera, bensì il successo reale è quello di svelare a poco a poco chi Raiden sia e quale è il suo posto sulla scacchiera.
Solo un soldato
“Sono stato addestrato per combattere. I miei sentimenti non hanno posto nella missione” [Raiden]
Biondo e dall’aspetto androgino, si dice che inizialmente Raiden non fosse riuscito a convincere nemmeno i collaboratori di Hideo Kojima: così agli antipodi con l’eroe d’azione assoluto incarnato da Snake da risultare debole e privo di carisma fin dalla prima occhiata. Come spiegato dal suo creatore, la motivazione alla base dell’esistenza di un nuovo personaggio giocabile in Metal Gear non era la necessità di imporre un nuovo protagonista della serie (ciò sarebbe risultato ridondante a prescindere da quale ne fosse l’incarnazione), bensì la possibilità di sfruttare l’esistenza di Raiden come un fenomenale, duplice espediente narrativo. In primo luogo, ciò fornisce un punto di vista in terza persona su Snake, permettendo di esaltarne le qualità umane attraverso il supporto e la guida morale che offre a Raiden (ossia a noi giocatori); in secondo luogo, sviluppando un personaggio inedito, Kojima-san ha avuto l’occasione di sbizzarrirsi nell’architettare una storia delle origini complessa ed emozionante. Non sarebbe stato possibile fare altrettanto per Snake, almeno non senza intaccarne l’aurea di invincibilità leggendaria.
Al momento della sua brusca entrata in scena, Raiden è un membro della neo-ricostituita Fox Hound: assistito dal Colonnello Campbell e dall’analista (e fidanzata) Rosemary (Rose, assieme a Jack sono nomi scelti dal Titanic), deve infiltrarsi nella struttura Big Shell per salvare degli ostaggi dall’associazione terroristica Sons of Liberty. Si tratta della sua prima missione sul campo di battaglia in quanto tutto il suo addestramento è stato condotto in realtà’ virtuale (VR): ciò sembra riflesso nel suo volto all’apparenza innocente, pulito e privo di cicatrici visibili.
Nei suoi primi dialoghi via codec con il Colonnello e con Rose, Raiden esprime un ferreo senso del dovere ed anche una cieca fiducia nel suo superiore e negli ordini che questo gli impartisce. Egli è un soldato partito in missione per eseguire il proprio dovere: non vi è spazio per emozioni né ideali in ciò.
In altre parole, sembra essere agli antipodi rispetto a Snake: quest’ultimo non mancava mai di esprimere il proprio giudizio sulla missione affidatagli, lasciando intendere che, qualora non fosse stato d’accordo, semplicemente avrebbe ignorato gli ordini.
Il contrappasso tra i due personaggi è evidente anche in un altro aspetto: nelle sue conversazioni con Rose, Raiden è restio a sostenere un dialogo personale che esuli in alcun modo dalla battaglia, mentre Snake smorzava spesso i toni flirtando, nell’ordine, con Mei Ling e poi con Meryl.
“Non puoi farti male in VR, giusto?” [Iroquois Pliskin (Solid Snake)]
Non è certamente casuale che il primo passo nell’evoluzione di Raiden coincida con il suo incontro con Snake (nei panni del tenente Iroquois Pliskin): quest’ultimo interviene a nostra difesa contro Vamp, membro dei Dead Cell ed uno dei boss del gioco (non entro troppo in dettagli altrimenti l’articolo andrebbe fatto a puntate). Durante lo scontro, Raiden viene ferito al volto dal coltello del vampiresco essere.
Pliskin-Snake intuisce subito la mancanza di esperienza sul campo di Raiden ed obietta che l’addestramento VR non sia altro che una forma di “controllo mentale” che mira a spogliare i soldati della paura che li potrebbe rallentare in combattimento.
Questo “controllo”, inteso come predeterminazione degli eventi e del fato delle persone, è un tema centrale di Metal Gear: Kojima tratta i propri personaggi in maniera gerarchica, facendo una netta distinzione fra chi controlla, ossia chi agisce secondo i propri desideri e la propria coscienza, e chi invece è controllato, ossia chi subisce gli eventi in maniera inconsapevole.
Nel momento in cui Raiden inizia a percepire una discrepanza tra la realtà a lui imposta ad esempio dal Colonnello Campbell e quella da lui percepita, egli opera una presa di coscienza che inaugura la sua scalata nella gerarchia “kojimiana”e che lo porta a desiderare ardentemente di essere fautore del proprio destino. Noi giocatori ci affianchiamo a lui in questa crociata personale
“Io non ho alcun controllo. Il vero potere è nelle mani dei Patriots […] Sono la verità dietro questo paese” [Presidente Johnson]
Proseguendo la sua avventura, Raiden è chiamato a soccorre il Presidente degli Stati Uniti d’America Johnson, tenuto ostaggio sulla Big Shell. Nella conversazione fra i due vi sono delle rivelazioni scioccanti: tutte le decisioni del Presidente e del Congresso sono in realtà appannaggio di un gruppo ultra segreto, i Patriots. Meccanismi quali le elezioni presidenziali non sono altro che uno spettacolo da imbastire per il grande pubblico in modo da tenere alta la facciata della democrazia.
Anche il predecessore di Johnson, il Presidente Sears, nonché capo dei terroristi che tengono in ostaggio la struttura Big Shell, era stato un burattino dei Patriots, almeno fino a che non aveva deciso di ribellarsi alla loro influenza.
Sears è la figura chiave che finalmente ci introduce al passato di Raiden, fino ad adesso tenuto nascosto. Il suo nome in codice è Solidus Snake ed e anch’egli un sopravvissuto del progetto “Les Enfant Terribles” nel quale un gruppo di soldati sono stati clonati usando il codice genetico di Big Boss, il soldato perfetto. Tecnicamente, perciò, è fratello di Solid e Liquid Snake.
Solidus rivela a Raiden che il nuovo Metal Gear si chiama Arsenal Gear ed è l’intera struttura Big Shell, tuttavia non si tratta di un’arma militare, come inizialmente temuto, bensì di un mezzo di controllo di massa. Comandato da un’Intelligenza Artificiale (IA), Arsenal Gear filtra le informazioni a disposizione sulla rete per usarle al fine di schedare, spiare ed influenzare i comportamenti del grande pubblico, esercitando quindi un potere pressoché infinito. Alla luce del recente scandalo di perdita dei dati Facebook e delle conseguenti disquisizioni su cosa resti della privacy nell’era digitale, qualcuno ha giustamente riconosciuto come la trama di MGS2 avesse trattato questi argomenti con tempestivita’ eccezionale. All’epoca le tesi del gioco sul controllo quotidiano sulle nostre vite furono largamente respinte e bollate come ultra-drammatiche e fantascientifiche, tuttavia adesso pare evidente come esse trovino riscontro nella dialettica odierna.
Curiosamente, è stato prodotto un resoconto di alcuni recenti fatti letto da Paul Eiding in persona (il doppiatore del colonnello Campbell) ed il risultato sembra un filmato preso direttamente dal gioco. Cliccare nell’embed a questo indirizzo per credere!
Solidus dunque conferma quanto Snake/Pliskin aveva insinuato in precedenza:il mondo così come lo conosce Raiden non è che una mera illusione ed il suo ruolo di soldato semplice è paragonabile a quello di una pedina su una scacchiera manovrata da entità fantasma. Ma in questa complessa architettura di eventi, predefinita ed imperscrutabile, nulla è casuale: nemmeno la presenza di Raiden. È perciò giunto il momento in cui si chiarisce il mistero sulle origini di questo apparentemente comune soldato.
Tutti hanno un passato
“E’ da tanto che non ci si vede, Jack lo Squartatore” [Solidus]
Solidus è il patrigno di Raiden, colui che lo ha iniziato alla guerra in tenerissima età portandolo a combattere nella guerra civile liberiana assieme ad un intero plotone di bambini-soldato. Seguendone gli insegnamenti, Jack diventa ben presto una macchina da guerra e, ad i suoi stessi occhi, un autentico mostro degno del soprannome Jack lo Squartatore.
Raiden non è quindi un soldato alle prime armi: egli è nato sul campo di battaglia. Combattere tuttavia non è mai stata una sua scelta, quanto piuttosto l’unica opzione possibile per la sopravvivenza. È per questo che l’idealismo non ha mai avuto spazio nelle sue battaglie.
“Non ho mai avuto una ragione per combattere, semplicemente qualcuno mi ha messo una pistola in mano” [Raiden]
Osserviamo adesso Raiden sotto una luce diversa: il suo è un cammino di riabilitazione, prima ancora che di ricerca dell’autodeterminazione. Gli ostacoli su cui prevalere non sono i nemici, bensì i sintomi del “disturbo da stress post-traumatico” (DPTS) che affligge i reduci di guerra. Tipicamente, i soggetti che ne sono vittima sperimentano dei turbamenti nella vita quotidiana che ne causano un comportamento frequentemente erratico e violento che rende assai difficoltoso il loro reinserimento nella società.
Raiden ha sviluppato un meccanismo di difesa per cui gli è intollerabile discutere del suo passato con chicchessia: non potendo cancellare le proprie azioni, la dissociazione da esse gli sembra l’unica valida alternativa. Naturalmente ciò ha un prezzo: la questione viene approfondita nei dialoghi via codec con Rose.
“Non c’era nulla nella tua stanza– solo un letto ed una piccola scrivania. Sembrava una prigione” [Rose]
Durante la loro relazione, Rose non era una semplice fidanzata: sfortunatamente per Jack, era anche una spia assoldata direttamente dai Patriots per tenerlo sotto costante osservazione. Tuttavia, come narrato con un tocco di melodramma dalla sceneggiatura di Kojima, la compassione che esprime dopo essere venuta a conoscenza delle rivelazioni di Solidus è sincera. In una conversazione dai toni brutalmente onesti, Rose riconosce il traumatico passato di Raiden come plausibile spiegazione per la sua indole irascibile e pericolosa: in particolare, ricorda un episodio di violenza domestica scatenato dall’essersi introdotta senza permesso nella camera da letto di lui.
Si tratta di un rarissimo caso in cui temi come questo trovano spazio in un videogioco, tuttavia l’intento della storia non è quello di emettere un particolare giudizio morale quanto piuttosto di fornire l’ennesimo triste esempio di come i danni della guerra si protraggano ben oltre la sua durata.
L’interazione con Solidus costringe Raiden ad un lungamente procrastinato confronto con il suo passato dal quale ne esce profondamente scosso ed incerto sulla sua abilità di completare la missione. Ancora una volta, interviene Snake.
“È facile scordare cosa sia il peccato nel mezzo di un campo di battaglia” [Snake]
Snake non può che provare empatia per Raiden: egli stesso conosce bene il campo di battaglia e sa come questo spogli momentaneamente da ogni umanità chiunque ne prenda parte. Ciò che viene fatto per sopravvivere, pertanto, non dovrebbe essere percepito come un peccato da scontare per il resto dei propri giorni, quanto piuttosto un monito a scegliere le proprie lotte in nome di qualcosa in cui si crede.
“Costruire il futuro e tenere vivo il passato sono la stessa cosa” [Snake]
Snake ha sperimentato ogni tipo di combattimento, ha subito defezioni ed ha perso degli amici in guerra, tuttavia ha sempre lottato per una causa. Ricordate le parole del suo amico Frank Jaeger, alias Gray Fox, poco prima di avere l’esoscheletro frantumato dal Metal Gear Rex?
“Snake, non siamo strumento del Governo, né di nessun altro! Combattere era l’unica cosa di cui ero veramente capace … ma almeno ho sempre lottato per qualcosa in cui credevo” [Frank Jaeger (Gray Fox)]
Curiosamente, Raiden ha ereditato proprio l’aspetto da ninja di Gray Fox: oltre ad una scelta meramente stilistica, ciò potrebbe alludere ad un parallelo tra i due personaggi, entrambi indissolubilmente legati a Solid Snake da un rapporto più complesso della semplice amicizia.
Per la prima volta, Raiden viene incoraggiato a costruirsi da solo le proprie idee ed i propri ideali: nemmeno la rivelazione che l’intera missione Big Shell fosse solo una simulazione orchestrata dai Patriots, può fermare questa sua presa di coscienza e di responsabilità.
Dopo essere emerso vittorioso dallo scontro finale con Solidus, egli ha l’occasione di riconciliarsi con Rose, la quale aspettava un bambino. Snake lo incoraggia a non lasciare che i suoi traumi da DPTS gli impediscano di condurre un’esistenza il più normale possibile con la sua famiglia.
“Trova qualcosa in cui credere, fallo per te stesso. E quando l’avrai trovato, tramandalo al futuro” [Snake]
L’eredità genetica è un altro tema molto caro ad Hideo Kojima: in diverse situazioni, e per bocca di diversi personaggi, egli esprime il desiderio di ogni essere umano di tramandare i propri geni alle generazioni venture ma, allo stesso tempo, avverte che il DNA può implicare un destino predeterminato contro il quale è difficile ribellarsi.
A questo proposito, Snake riporta a Raiden il messaggio di speranza che a sua volta aveva ricevuto dalla Dottoressa Naomi Hunter, poco dopo aver scoperto d’essere portatore del Fox-Die durante la sequenza finale di MGS1:
“Non lasciare che il destino ti incateni a sé. Gli esseri umani possono scegliere che tipo di vita avere. Quello che conta è che tu scelga la vita…e poi vivi” [Dottoressa Naomi Hunter]
Forte di questi incoraggiamenti e libero finalmente dal suo dovere di soldato, Raiden inizia dunque la sua battaglia più importante: quella per una vita normale.
“Sceglierò il mio nome…e la mia vita.Troverò qualcosa degno di essere tramandato” [Jack]
Tutte le guerre, prima o poi, finiscono
Nonostante i buoni propositi, la redenzione di Raiden non è un processo semplice e, cosa ancora più importante, egli ancora rappresenta un personaggio dal grande potenziale narrativo nella saga e pertanto il suo posto non può ancora essere relegato a quello di reduce e buon padre di famiglia.
Nel prequel Metal Gear Solid 3 (MGS3) vi è una sorta di omaggio/easter egg (il maggiore Ivan Raidenovitch Raikovne ha le sembianze), ma è nel quarto capitolo Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots (MGS4) che egli fa la sua ricomparsa e, stavolta, l’entrata in scena non avviene esattamente in punta di piedi.
Seguendo il canovaccio della scena, gia’ menzionata, in cui Gray Fox interviene contro il Rex, Raiden riappare a soccorso di Snake contro Vamp ed un gruppo di Gekko.
Ha l’aspetto di un cyborg ninja, il suo corpo è costituito da materiale sintetico dalla mascella in giù: proprio come Jaeger, queste sembianze suggeriscono che vi sia rimasto ben poco di umano in lui.
Alla fine di MGS2 sembrava che Jack fosse ben avviato sulla strada della redenzione, eppure eccolo qui: nuovamente sul campo di battaglia. Cosa è successo dunque?
Di fronte alle troppe difficoltà nell’adattarsi alla vita da civile, egli decide di abbandonare la propria famiglia e parte per adempiere la propria vendetta personale contro i Patriots. Incurante dell’aver intrapreso una missione suicida, ben presto finisce loro prigioniero e viene sottoposto ad ogni tipo di esperimento genetico al fine di mettere a punto tecniche per massimizzare l’efficienza in battaglia dei soldati. Da questa immane tortura nasce l’aspetto artificiale che lo caratterizza in MGS4: la perdita dei classici lineamenti umani completa una transizione estetica brutale se si considera l’aspetto delicato ed innocente del primo Raiden in MGS2.
Jack aveva perduto le speranze di un’esistenza normale e pertanto si era concentrato su ciò che sapeva far meglio: combattere. Sceglie di aiutare Snake nella sua missione contro i Patriots. L’evoluzione osservata in MGS2 non è infatti andata perduta: Raiden non è più un soldato che esegue ordini come un semplice pedone, bensì un giocatore imprevedibile che vaga sottotraccia nella scacchiera di Metal Gear portando scompiglio laddove vuole.
Dal punto di vista umano, tuttavia, questo è possibile solamente perché egli sembra agire senza timore delle conseguenze, incarnando così a tutti gli effetti il soldato perfetto: colui che non ha paura della morte.
Per l’ennesima volta è Snake ad esprimere la voce del buon senso per l’amico:
“Non voglio una vita da marionetta… da schiavo del volere di qualcun’altro […] Quando questa Guerra avrà fine avrò la mia libertà” [Raiden]
“Non essere idiota. Lo sai che hai qualcuno da proteggere.” [Snake]
La lotta senza quartiere e senza fine può essere fermata solamente dalla morte, ed infatti Raiden muore…quasi. Durante un’incursione a Shadow Moses che segna l’apice narrativo ed emotivo di MGS4, Jack rimane in fin di vita e, finalmente, realizza che ha molto da perdere e tanto da guadagnare fuori dal campo di battaglia: la sua famiglia. Tra i tanti sentimenti possibili è la paura ciò che riporta Raiden ad una dimensione umana stabile e che gli permette di riconciliarsi con Rose e con il loro figlio John.
Seppur con tutta la sottigliezza del melodramma giapponese (si legga con tono sarcastico), Raiden ha finalmente il suo lieto fine (lo spin-off Rising è intenzionalmente lasciato fuori da questa rubrica in quanto progetto non diretto da Kojima e fuori dalla narrativa centrale della saga).
Nonostante tutti i risvolti esoterici e soprannaturali della storia, questo è stato il racconto di formazione di una persona. Un cammino condito da conquiste e ricadute che mettono in luce, tra le altre cose, il complicato rapporto tra la società civile ed i suoi reduci, ossia coloro che hanno condotto una vita militare e che sono stati toccati in prima persona dall’epidemia della guerra.
Conclusione
Hideo Kojima si è sbizzarrito con Raiden in una maniera che non sarebbe stata possibile con Solid Snake: quest’ultimo è, come detto prima, un eroe garibaldino di tutti i continenti, una figura che non ha formazione perché nasce leggendaria fin nel suo codice genetico, identico a quello di Big Boss. Invece, Raiden non è una leggenda, è un uomo comune che fin dalla tenera età, per colpe non sue, viene contagiato dal virus della guerra: deve perciò costruirsi un futuro di integrità fisica e morale superando una dolorosa introduzione al mondo.
Tra le tappe del suo percorso vi sono la redenzione dallo stress post-traumatico, l’autodeterminazione e, per ultima, l’occasione di un’esistenza felice in un nucleo familiare. Ogni passo viene accompagnato da un’interazione costante con Snake: Raiden diviene catalizzatore per la filosofia di quest’ultimo permettendoci di apprezzarne ancora dipiù l’empatia e la capacità di compassione, anche nel mezzo della battaglia.
Raiden non è mai stato il protagonista di Metal Gear, nemmeno nelle fasi in cui è l’unico personaggio giocabile: come previsto dalla concezione originale di Kojima, si pensi a lui come ad un Watson al fianco di uno Sherlock. Adottando quest’ottica narrativa è possibile mettere da parte i dubbi e la frustrazione che hanno accompagnato la comparsa di Raiden ed apprezzare l’originalità e la rilevanza della sua parabola personale. Una delle tante storie geniali raccontate in una delle saghe che più hanno segnato la storia dei videogiochi.
Un’ultima riflessione: nel giocare a Metal Gear si accompagna Solid Snake (o Big Boss) nelle sue missioni però mai, nemmeno per un istante, si ha l’illusione di essere Snake. Egli è unico, inimitabile ed inavvicinabile: una leggenda, appunto. Creando Raiden, Kojima ci ha dato qualcuno in cui poterci immedesimare senza scalfire l’aurea del suo personaggio più celebre. Perché arrabbiarsi per questo?
Ci sono 1 commenti