Dissezionare un gioco molto dopo la sua uscita può, a prima vista, sembrare un esercizio fino a sé stesso in quanto riesumare i dettagli celati dietro le quinte di produzioni famose non è strettamente necessario per apprezzarle. Eppure, nel caso di Deus Ex, quest’opera di dissotterramento porta alla luce un processo produttivo interessante poiché animato da una visione creativa indubbiamente più avanzata del suo tempo. Il gioco che molti conoscono è infatti un forte compromesso tra una concettualizzazione molto chiara ed una realizzazione spesso portata avanti a tentoni.
Nonostante tale premessa, il risultato di questa aspra lotta fra volere e potere è stato capace di superare persino le aspettative degli stessi sviluppatori, i quali hanno agito come degli chef che, a forza di giocare con gli ingredienti, sono giunti ad una ricetta formidabile ed irripetibile. Ripercorriamo dunque lo sviluppo di Deus Ex, dalla genesi fino al lascito, analizzando i due lunghi post mortem firmati da Warren Spector, che del progetto è stato creatore, direttore e produttore: il primo è stato rilasciato pochi mesi dopo l’uscita del titolo, avvenuta nel giugno del 2000, sulle pagine di Gamasutra (link qui), il secondo è stato una presentazione alla Game Developers Conference (GDC) 2017 (link qui). Gli argomenti coperti in queste discussioni spaziano dalle filosofie che hanno ispirato il game design alle tecnologie, tutte rigorosamente prese in licenza, che hanno permesso la realizzazione del prodotto finito. Tuttavia, l’aspetto più interessante è, come detto, l’analisi del processo produttivo in sé. Ad esempio, alcune delicate scelte compiute da Spector al momento dell’assemblaggio della squadra di sviluppo hanno avuto conseguenze importanti nel gioco.
“James Bond incontra The X-files”, questo il tono ipotizzato fin dal lontano 1994 da Warren Spector per un gioco ambientato in un futuro vicino ed in un mondo rigorosamente reale. L’esperienza ludica viene intrisa da subito dal concetto di immedesimazione; nulla o quasi deve ricordare al giocatore di essere di fronte allo schermo di un PC e non nel mezzo di una missione segreta. Per questo motivo non vengono profuse informazioni sulla storia del protagonista e non compaiono mai a schermo riferimenti diretti alle meccaniche di gioco in quanto tali. Sono invece dettagliate delle regole di interazione con l’ambiente che godono di una complessità “componibile”, ovvero mischiando azioni semplici se ne possono ottenere di complesse: come fatto brillantemente nel 2017 in The Legend of Zelda: Breath of the Wild, gli sviluppatori progettano degli strumenti ludici e li mettono nelle mani dei giocatori, i quali hanno dunque la possibilità di inventarsi soluzioni potenzialmente uniche. A differenza della recente avventura di Link, però, Deus Ex si basa su una rigorosa struttura a missioni, ciascuna delle quali caratterizzata da uno o più obiettivi. Il divertimento consiste nel decidere come perseguire quest’ultimi, ovvero quale strada percorrere fino al target e quale opzione scegliere quando si è posti di fronte a decisioni importanti (e non). La componente ruolistica è infatti una caratteristica fondamentale del gioco e, oltre ad aumentare l’immedesimazione del giocatore col suo avatar, esalta l’importanza della storia nelle sue possibili sfaccettature e conseguenze.
Troubleshooter era il nome di un progetto che Warren Spector formalizzò a circa metà degli anni ’90. Inspirato dalla produzione e dalla tecnologia dei Looking Glass, questo titolo che mai vide la luce portava in sé gran parte delle idee che sarebbero state poi riciclate per Deus Ex: uno sparatutto in prima persona, organizzato in missioni ed ambientato negli ambienti più contorti e misteriosi di una verosimile società futura. Sebbene Spector avesse già preventivato un budget (mezzo milione di dollari!) ed un potenziale periodo di uscita (fine 1995!) per questa sua creatura, nessun publisher fu disposto ad investirci. Tuttavia, il lavoro di concettualizzazione fatto su Troubleshooter non fu affatto sprecato e servì invece come base per un manifesto dal titolo “Le regole del Gioco di Ruolo” (“Rules of Role-playing”). I nove punti elencati in questo documento firmato dallo stesso Spector sono i seguenti:
Poco dopo la stesura di queste Regole del Gioco di Ruolo, Warren Spector ebbe finalmente la possibilità di lavorare sul gioco che aveva in mente da diversi anni. Su invito di John Romero (ex-id Software e co-fondatore di Ion Storm, nonché figura chiave nell’incremento di popolarità degli sparatutto in prima persona), divenne infatti il capo del neonato ufficio Ion Storm di Austin, dove mise insieme il nucleo iniziale della squadra che avrebbe sviluppato Deus Ex. Tra le prime persone a prendere parte al progetto vi fu il lead game designer Harvey Smith, attualmente direttore di Arkane Austin dove si è recentemente occupato della saga di Dishonored. Durante la preproduzione di Deus Ex, Smith si occupò in primo luogo di raffinare ed espandere le Regole del Gioco di Ruolo nel seguente modo:
La preproduzione di Deus Ex durò sei mesi. In questo periodo la squadra di sviluppo era composta da sei persone in totale. Centinaia di pagine vennero scritte su come tramutare le regole di Spector e Smith in vero e proprio gameplay. La data di uscita venne ambiziosamente e prematuramente fissata per il 1998, anno in cui uscì il primo Half Life che, assieme a Fallout, avrebbe rappresentato una delle maggiori ispirazioni per il gioco di Ion Storm.
La storia di Deus Ex ha luogo in un futuro distante cinquanta anni dal presente. Il mondo, impotente di fronte allo strapotere delle corporazioni, è pervaso dal caos e dalla decadente disperazione che caratterizzano il cyberpunk. Del resto, come già discusso su Gameplay.cafe qui, l’estetica di film come Blade Runner e l’atmosfera di libri come Neuromancer di Gibson hanno fissato canoni ben precisi ai quali adeguarsi al fine di rappresentare questo specifico tipo di fantascienza. Di conseguenza, le tinte sono scure, i personaggi misteriosi e le presunte cospirazioni sempre vere. Il giocatore controlla JC (Jesus Christ!) Denton, un agente scelto dell’entità antiterrorismo UNATCO che è stato ciberneticamente aumentato. Se da un punto di vista ludico, questo particolare apre la porta all’utilizzo ed alla personalizzazione dei potenziamenti (già indicati nel manifesto di Smith), da quello narrativo introduce il transumanismo tra gli argomenti di interesse.
Il rapporto di simbiosi (e schiavitù) tra uomo e tecnologia è infatti centrale nella storia. Gli “aumentati” come JC sono visti con sospetto dagli umani (tema approfondito molto tempo dopo nel seguito Deus Ex: Mankind Divided) e, tra le missioni più importanti della prima metà del gioco, vi è quella di disinnescare il “kill-switch”, ovvero un bottone di autodistruzione segretamente impiantato in tutti gli aumentati. Data la complessità della trama ed il numero esorbitante di colpi di scena che vengono snocciolati nelle varie location di gioco (New York, Hong Kong, Parigi, Area 51 e cosi via), non è molto utile tentare di riassumerne i capisaldi in poche righe. Tuttavia, è sufficiente specificare che si tratta di sventare una pericolosa cospirazione che tiene il mondo sotto scacco grazie ad un virus chiamato Ambrosia. Il giocatore può sbloccare tre finali multipli ed una pletora di differenti conclusioni per le sotto-storie. Vi sono quasi 30 missioni principali (molte meno di quante inizialmente preventivate; tra quelle scartate ne spicca una ambientata nella Casa Bianca) per un tempo di gioco che può agevolmente superare le trenta ore.
Per ammissione dello stesso Warren Spector la lavorazione di Deus Ex è stata tutt’altro che semplice. Durante una delle numerose discussioni sulla sua opera magna, il game director e produttore ha elencato le cose che hanno funzionato e non durante lo sviluppo. Poiché una tale riflessione contiene molti spunti interessanti sul dietro-alle-quinte dell’industria videoludica, la riportiamo di seguito.
In totale, Deus Ex richiese 6 mesi di preproduzione e ventotto mesi di produzione. Ci lavorarono 20 persone a tempo pieno (1 direttore, 3 programmatori, sei designer, sette artisti, uno scrittore, un produttore associato ed un tecnico) e sei lavoratori a contratto (due scrittori e quattro tester). Per gli standard odierni, si tratta di numeri tutt’altro che impressionanti, eppure il risultato racconta un’altra storia. Deus Ex ha formalizzato i cosiddetti immersive sim in chiave moderna e sono pochi i giochi che hanno potuto e saputo aggiungere qualcosa di originale a questa formula. Lo stesso sequel diretto ad opera di Ion Storm, Deus Ex: Invisible War, non ha replicato la “libertà controllata” del primo episodio. Forse quest’anno, con Cyberpunk 2077, vedremo delle novità. O forse no.
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Come sempre articolo top su Cameplay Cafè 😀
Il primo Deus Ex lo ricordo bene, forse uno dei miei giochi preferiti della sua epoca.
Al seguito Invisible War non ho mai giocato, in compenso ho giocato ai due Deus Ex con Adam Jansem; Human Revolution bello, mentre Mankind Divided l’ho trovato belliffffffimo <3 soprattutto giocato in stealth (e senza uccidere nessuno).
Grazie! Mankind Divided anche per me bellissimo, peccato sia narrativamente incompleto!
Io (purtroppo) ho recuperato la saga solo con Human Revolution, che ho amato davvero davvero tanto. Bellissimo articolo, un approfondimento viscerale davvero interessante
Grazie Giuseppe!