Bowie cantava che tutti noi possiamo diventare eroi, anche solo per un giorno. Infatti, ci sono diversi motivi per cui si può essere considerati eroi moderni: persone comuni attraverso gesta di estrema umanità. Il punto della discussione è perché vogliamo diventarlo? Qui entra in gioco la psicologia che dichiara l’esistenza di diversi fattori per cui vogliamo sentirci degli eroi: fa provare sensazioni miste di soggezione, venerazione e ammirazione per l’atto compiuto, promuove un’identità sociale e mostra come trasformare le nostre vite.
La riflessione sull’eroe in sé e per sé mi è balzata in mente proprio con Dragon Quest, il cui protagonista viene chiamato, per l’appunto, Hero. Il mezzo videoludico ci permette di impersonare un alter ego che, con le azioni che compie, viene considerato eroe. Viene data la possibilità di prodigarsi in situazioni che risultano impossibili nella vita reale e che consentono di spingersi oltre, per poi poter essere gratificati alla fine, come può non accadere nella vita reale.
Bentornati su Tempo di Caffè.
Prendiamo i primi eroi che vengono in mente pensando ai videogiochi: Link di The Legend of Zelda e Geralt di Rivia del videogioco The Witcher. Entrambi fanno parte di un immaginario fantasy e hanno la possibilità utilizzare magie o poteri speciali, permettendo domini e tecniche che vanno al di fuori delle capacità tipiche dell’essere umano. Se teniamo in considerazione Link, è da trent’anni che compie il viaggio dell’eroe per salvare la principessa Zelda e sconfiggere la calamità Ganon. Nonostante le sue umili origini e non abbia mai aperto bocca, il giovane Hylia non si tira indietro quanto una sfida si presenta davanti i suoi occhi. Magari sarà perché è il portatore della Triforza, una sacra reliquia composta da Saggezza, Potere e Coraggio. Link è l’eroe per antonomasia: aiuta gli abitanti dei villaggi e si avventura per sconfiggere il male più estremo. Invece, Geralt è più una sorta di antieroe, il suo allineamento si posiziona in quello di neutrale buono, tuttavia è possibile stabilire che le azioni compiute da noi attraverso il suo controllo ci fanno sentire degli eroi. Salvare le vite della povera gente dai mostri è pur sempre salvare le vite, nonostante lo si faccia solamente per una ricompensa. Ciò è un comportamento naturale se si considera che lo strigo vive in un mondo realistico di gente disonesta e ciò necessariamente lo porta a non assecondare nessuno. Malgrado la vera eroina sia Ciri e Geralt non sia per nulla perfetto, le azioni che compie sono totalmente realistiche ma plasmate da una drammaticità che le rendono uniche e tali da potersi rispecchiare.
Ci è stato detto che l’eroe è centrale per una storia, ciò perché permette allo spettatore di empatizzare e rivedersi nelle sue gesta e negli obiettivi. Successivamente ci hanno insegnato che senza un buon cattivo la storia è spacciata. Onestamente credo che una narrazione sia possibile considerarla ottima se si viene a creare un equilibrio tra eroe e antagonista, tale che possa esserci una parte da odiare e un’altra da amare. Gli eroi e le icone dei videogiochi sono veramente troppe: alcune senza nome, molte senza volto e diverse non hanno mai parlato. Ciò che accomunano loro sono le virtù che gli permettono di adempiere prodezze a dir poco impossibili.
Siamo stati cresciuti con un’idea di moralità decisamente buona, con un codice da seguire, coraggio da mostrare e protezione dei bisognosi. Non necessariamente questi valori rappresentano una via che porta alla salvezza o allo stare bene con se stessi. poiché i valori cambiano da una generazione all’altra. Non importa che facciate gli eroi nella vita reale o attraverso personaggi di opere fantastiche, l’importante è che possiate rientrare nella figura che più vi rappresenta o forse è meglio liberarsi da queste catene e non rimanere legati in vetusti costrutti.
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Ottima lettura. Vorrei chiedere però all’autore: è vero che la narrazione è ottima se possiamo scegliere una parte da amare e una da odiare? Non sono forse più interessanti le narrazioni dove si crea un area grigia, difficile da definire, che ci fa riflettere su quale sarebbe la posizione che prenderemmo? Esempio classico: “Delitto e castigo” è interessante perchè non sappiamo come valutare le azioni del protagonista. Esempio pop: Black Panther non è forse interessante perchè ci porta a tratti a patteggiare per Black Panther e a tratti per Killmonger? Ciò che è interessante a parer mio non è il prendere una posizione in se, ma il nostro conflitto interiore che si genera nel sceglierne una. Alcune narrazioni lo sanno creare, altre no. Quelle buone sono quelle che lo fanno.
Grazie per il commento. Il discorso da affrontare è veramente ampio e arduo. Certamente è interessante il conflitto che si crea all’interno del fruitore che si trova per certi versi disorientato nell’affrontare l’opera. Riflettendo sul tuo punto, è doveroso soffermarsi sulla possibilità della sfumatura che si crea fra le forze contrapposte che sicuramente creano, se realizzate a dovere, una narrazione a dir poco ottima.
Il dualismo tra bene e male di cui parlavo, specialmente in narrazione in cui l’eroe è tipicamente stereotipato, è portato agli estremi. Nella cultura popolare un esempio su tutti è Star Wars con il suo lato chiaro e oscuro della forza.
Hai fatto bene a citare Star Wars: una serie che, nei suoi ultimi episodi, sta frequentemente sfumando il suo confine tra lato chiaro e lato scuro presentandoci personaggi come Rey e Kylo Ren che sembrano agire sempre meno per assoluti ma più per aspirazioni personali. Meno idealisti e più pragmatici. Forse lo stereotipare l’eroe come bene assoluto è una metodologia che in narrativa sta perdendo forza anche in ambito pop ultimamente: quante persone amano l’odiosamente sempre corretto Captain America e quanti invece apprezzano i costanti conflitti interiori del più umano Tony Stark?
veramente una gran bella lettura !
Grazie mille!