La morte nei videogiochi è come premere Ctrl–Z e tornare indietro, pronti a rimediare ai propri errori. Dal latino mors, si tratta della cessazione delle funzioni vitali e, purtroppo, non si parla mai abbastanza dell’argomento, ancora considerato un forte tabù in Italia, poiché qualcosa che di certo ci sembra troppo lontano per dargli una determinata importanza. La morte fa parte della vita, è un punto di inizio o di fine (dipende dal vostro personalissimo punto di vista) e nei videogiochi, i game designer, l’hanno da sempre inserito come meccanica fondamentale e caratteristica. I diversi titoli possono presentare caratteristiche simili riguardanti il funzionamento della morte, tuttavia alcuni giochi fanno della morte il punto di forza presentando evoluzioni del gameplay successivamente a essa.
Bentornati su Tempo di Caffè.
Nella maggior parte dei titoli in cui è presente la morte, si tratta di un meccanismo in cui il giocatore, dopo uno scontro o una sfida andata male, perde la vita e ritorna in un determinato punto di controllo o dall’ultimo salvataggio. Da qui è possibile prendere parte alla stessa situazione in maniera identica alla precedente o attraverso differenti equipaggiamenti e caratteristiche dei nemici. La morte fa da maestra al proprio pubblico poiché insegna, così come una fenice, a resuscitare dalle proprie e tornare più forti di prima, comprendendo i propri errori e cercando di capire i punti deboli del proprio avversario o le soluzioni alla sfida preposta.
In titoli come Dead Cells, la meccanica della morte è fondamentale e funzionale al gameplay. Ogni volta che si perde la vita, si torna in gioco nell’area di inizio e si viene privati di gran parte delle cellule, soldi, abilità e di ciò che si possiede. In titoli come questo è meglio evitare la morte, tuttavia alcuni potenziamenti che si acquisiscono permangono anche dopo la morte. Si tratta di una vera e propria sfida del game design nei confronti del giocatore, dato che il titolo è estremamente action e le possibilità di morire sono all’ordine del giorno. Dead Cells è una metafora della morte come perdita ed esperienza che ti riporta al punto di partenza, come una nuova vita che si pone a ripartire. Mentre in Dark Souls La morte è la norma (sopratutto per giocatori provetti come me), si ritorna nell’ultimo falò che si è acceso e ha la possibilità di recuperare le anime raccolte ma perse successivamente alla morte. Di certo è interessante come diminuisca l’umanità del personaggio ogni volta che si perde la vita.
Se la morte è una meccanica fondamentale dei videogiochi che permette al giocatore di sfidare se stesso, riprovare e riprovare fin quando non supera una determina sfida, in alcuni titolo la questione è differente. Anche giochi realistici sfruttano la meccanica della morte/resurrezione, rendendo il titolo sicuramente inverosimile. Curioso è ciò che ha fatto EA con Battlefield 1 in cui la morte è estremamente realistica: nel prologo, ogni volta che si perde la vita, si prendono i panni di altri soldati, fornendo una visione crudele e veritiera della Prima Guerra Mondiale.
La morte è un processo fondamentale nella vita e, ovviamente, irreversibile. Di riflesso la morte è stata da sempre inserita nel contesto videogioco, ma con la bizzarra capacità di tornare in vita. Quest’ultimo è un indicatore di non avere abbastanza capacità per oltrepassare quella sfida ed è fondamentale nel mezzo videoludico come motivante per provare e riprovare. A volte ciò può risultare frustrante e rendere il gioco ripetitivo, allora è forse tempo di cambiare le regole del gioco, come il caso di Ninja Theory e il loro Helllade: Senua’s Sacrifice.