In queste pagine abbiamo affrontato una tematica tabù nel nostro Paese e di estrema rilevanza nei videogiochi: la morte. Nella puntata di oggi facciamo quattro chiacchiere del suo opposto, la vita. Si può intendere come lo spazio compreso tra la nascita e la morte di un individuo e gli sviluppatori non potevano non tenerne conto. La stessa definizione, all’interno di un’opera videoludica, assume un ruolo differente e ciò è in grado di fornire differenti soluzioni da parte del game design. Tramite barre della salute, cuoricini e contatori, gli sviluppatori si sono sbizzarriti per fornire varie possibilità di tornare un’altra volta in vita, con o senza conseguenze.
Bentornati su Tempo di Caffè.
La vita in un videogioco è il lasso di tempo in cui si entra in gioco, si assumono le sembianze di un altro personaggio e si viene eliminati. La perdita della vita può avere differenti significati in base alla tipologia di gioco. Se pensiamo al K.O. o al Game Over, entrambi versioni più edulcorate di “sei morto”, sono entrati a far parte della norma dei videogiochi con l’avvento dei cabinati. In genere, ogni gettone era una o più vite e, quando si perdeva la partita, la barra della salute scendeva fino a restare privo di esse, era necessario inserirne altri. Il sistema che teneva in vita l’impianto economico delle vecchie sale giochi si basava proprio sulla perdita delle vite. Negli arcade, per dare la possibilità di perdere meno vite e imparare le meccaniche di gioco, venivano inseriti power-up e checkpoint così da poter avanzare con meno rischio. Le cose sono cambiate quando le console si sono affacciate nelle nostre case.
Il sistema di vite è, stavolta, differente. Pensiamo a The Legend of Zelda: il giocatore ha a disposizione dei cuoricini e, una volta persi tutti, non ha più possibilità ed è costretto a ricominciare. Quindi possiamo dichiarare che la vita, in questo titolo, è sempre e solo una, anche se le cose sono cambiate negli ultimi capitoli della saga. Dato che non era più necessario per il giocatore pagare per ogni vita, è stato inserito il concetto, nella maggior parte dei giochi action, di morire e ritornare in vita in un checkpoint per riflettere e affrontare la sfida in maniera differente rispetto a prima. Le vite risultano, adesso, meno frustranti rispetto al passato e rappresentano un tipo di meccanica poco reale ma funzionale al prodotto videoludico. Con l’avvento degli smartphone, il concetto di vita è nuovamente cambiato, dovendo pagare o guardare video pubblicitari per ottenerne altre e proseguire nel gioco. Praticamente si è tornati al punto di partenza.
La vita, così come la morte, diventa un concetto utile al giocatore per permettergli di imparare al meglio le meccaniche e superare se stesso per poter proseguire nel gioco. Qualcosa di surreale che nella vita reale non è sempre possibile: rimediare a un disastro realizzato. Tornare sui propri passi, avere un’altra possibilità e imparare dai propri errori. La vita come meccanica videoludica ha molto da insegnare e permette di farci riflettere sulle azioni che abbiamo compiuto e le stesse che ci prestiamo a mettere in atto. A volte tornare in vita ha delle conseguenze: se il mondo potrebbe sembrare lo stesso, in alcuni titoli, qualcosa è cambiato e spetta agli occhi del giocatore captare determinati segnali. Buona vita a tutti.