Super Mario, Call of Duty e il cervello

Quali videogiochi giocare per allenare il cervello e prevenire alcune patologie

Videogiochi e Salute di Francesco Margheriti

Abbiamo parlato su questa rubrica, in vari articoli, di come i videogiochi e la tecnologia ad essi associata possano aiutarci in tante piccole e grandi problematiche, più  o meno comuni. Il videogioco, finalmente, comincia a godere di quell’interesse che va al di là del puro appassionato o dell’esperto di settore, con ricercatori e scienziati che sempre più spesso passano tempo e usano soldi per capire come meglio usare questo media, per arrivare a comprendere alcuni meccanismi che, strano a dirsi, con altre tecnologie non è possibile fare o è di più difficile attuazione.

Questa volta colleghiamo l’utilizzo del videogioco al mondo degli anziani e ai problemi legati alla demenza senile e, addirittura, alla comparsa dell’ Alzheimer e, per quanto riguarda i più giovincelli, anche alla possibilità di rallentare e/o modificare la perdita di materia grigia del nostro cervello e modificarne la plasticità in determinate zone.

Il primo studio che andiamo a presentare, per poi arrivare alla spiegazione del collegamento sopra riportato, è quello pubblicato su Plos One; in questo studio si è riusciti a dimostrare che persone anziane, giocando a Super Mario 64, sviluppano una maggiore concentrazione di materia grigia nell’ippocampo, zona adibita alla memoria, rispetto ad altri gruppi che hanno fatto altro o che non ha fatto proprio niente. L’autore dello studio, Gregory West, sostiene che i videogiochi 3D, che lasciano ampio spazio di manovra al giocatore e non sono del tutto guidati nel loro procedere, permettono al soggetto di ricreare una mappa procedurale nel proprio cervello per far si che l’eventuale backtracking all’interno del gioco sia il più veloce possibile e per permettere una comprensione degli spazi virtuali disponibili con maggiore semplicità unita ad una migliore capacità di sviluppare un approccio studiato e tattico al gioco.

33 soggetti, tra i 55 e i 75 anni, sono stati divisi in tre gruppi, in maniera casuale; undici di questi hanno giocato a Super Mario 64, altri undici hanno sostenuto lezioni di pianoforte e gli altri undici ancora non sono stati impegnati in nessuna attività. I soggetti sono stati seguiti per sei mesi e, a cadenza regolare, gli veniva effettuata una risonanza magnetica per valutare eventuali modifiche nella struttura del cervello.

I risultati hanno mostrato una marcata modifica a livello della materia grigia dell’ippocampo e del cervelletto nei soggetti impegnati a giocare, cosa che non è accaduta in chi ha partecipato alle lezioni di piano e men che meno in chi non faceva niente. Al contrario, questi ultimi presentavano una diminuzione di tale materia grigia.

I ricercatori sperano che questo primo studio serva per approfondire il collegamento fra lo sviluppo dell’Alzheimer, il decadimento della materia grigia in ippocampo e cervelletto e le possibili implicazioni che il videogioco può avere in tale situazione, soprattutto a livello di prevenzione.

Un’altra scoperta collaterale, anche inaspettata per certi versi, appartenente a questa ricerca è il fatto che i giocatori di Super Mario 64, oltre ad un netto rallentamento della perdita di materia grigia e ad un cambiamento nella conformazione di questa sostanza all’interno del cervello, è stata il fatto che hanno aumentato la loro capacità mnemonica (riescono ad avere maggiore memoria delle cose…), percezione confermata da un test effettuato subito dopo la conclusione dello studio, grazie alla memorizzazione di sequenze musicali.

A questo studio, come speravano i ricercatori, si sono collegati altre Università ed altri centri di ricerca. Ad esempio, nel 2015, si è ripetuto lo stesso tipo di test, solo che questa volta i partecipanti al progetto erano ragazzi giovani, e il risultato è stato il medesimo, con un cambiamento nella conformazione della materia grigia, un decadimento della materia grigia stessa praticamente nullo ed aumento della memoria. La differenza, importante, è che i risultati nei ragazzini si sono visti già dopo sole due settimane di studio.

Anche in questo caso, però, si parla di sviluppo e capacità nel ricreare nel proprio cervello mappe grazie a processi di memoria spaziale, cosa non capace di svilupparsi con tipologie di giochi diverse come gli FPS e i giochi di guida.

Ma perché si è arrivati a tale conclusione? Sicuramente non per creare game war visto che, come al solito, la scienza non mente e non fa favoritismi.

Sempre Greg West, questa volta su Molecular Psychiatry, sostiene che i giocatori regolari di FPS hanno meno materia grigia (si, sempre lei…) nell’ippocampo. Naturalmente, da quello che si evince, non è un punto a favore di questo genere di videogioco, visto che avere meno materia grigia a livello dell’ippocampo vuol dire aver meno memoria, sia a breve che a lungo termine, meno capacità di orientamento e minore percezione di sè all’interno di ampi spazi tridimensionali.

Una importante perdita di materia grigia porta alla probabile comparsa di depressione, schizofrenia e Alzheimer.

Il Dott. West, collegandosi allo studio precedente sopra riportato, insieme alla Professoressa Veronique Bohbot, ha cercato di indagare su quali sono le tipologie di videogiochi da poter usare a scopo preventivo, oltre ai platform 3D, perchè fermamente convinti dei benefici che questo mezzo porta e porterà in futuro in alcune situazioni fisiopatologiche.

I due hanno messo in piedi uno studio con cento persone che avrebbero dovuto giocare a giochi “action”, come Call of Duty, Borderlands 2 e Killzone e a giochi “non action”, come il caro vecchio, ma sempre verde, Super Mario 64 e successivi, per 180 ore, suddivisi in 90 e 90.

Inoltre, le cento persone, sono state divise in due gruppi, i “response learners” cioè soggetti che apprendono in base alla ricompensa e gli “spatial learners”, cioe’ soggetti che apprendono e memorizzano la spazialità che li circonda, usando appunto le peculiarità dell’ippocampo.

Come è stato possibile tutto ciò? I ricercatori, all’inizio dello studio in questione, hanno invitato i partecipanti a completare dei test, tra i quali quello di superare, virtualmente, un labirinto. In base agli elementi presi in considerazione per superare questi labirinti, i soggetti erano divisi nei due gruppi sopra descritti. Le persone inserite nel gruppo dei “response learners” completavano i vari labirinti ricordando i vari giri fatti precedentemente, i vari destra-sinistra che gli hanno già portati al traguardo; gli “spatial learners”, invece, si orientavano con i punti di riferimento presenti sulla mappa o sullo sfondo.

Quindi lo studio vero e proprio è partito. I due gruppi hanno giocato per novanta ore ad un gioco e per novanta ad un altro, dell’altra tipologia.

Gli effetti sul cervello sono stati ben diversi.

I “response learners”, dopo 90 ore di gioco ad FPS, presentavano atrofia a livello dell’ippocampo, mentre giocando i platform 3D presentavano, al contrario, un aumento della materia grigia a livello dell’ippocampo stesso, come succedeva già negli “spatial learners”.

Dallo studio si evince che è possibile lavorare sulla struttura della materia grigia, allenandola, migliorandola, oltre alla componente genetica.

Il soggetto che di per sé è portato a risolvere i problemi in maniera statica e diretta e che già di suo tende ad usare poco l’ippocampo a favore del cervelletto, potrebbe impegnarsi maggiormente in giochi non guidati (come invece lo sono la maggior parte degli FPS moderni) per attivare ed allenare questa regione del cervello e prevenire quelle che sono le problematiche ad essa associate.

Gli “spatial learners” invece, già geneticamente predisposti ad attivare le zone ippocampali, hanno la fortuna di poter giocare qualsiasi tipologia di gioco ed avere le stesse risposte, positive, nelle varie zone del cervello.

I ricercatori di questo studio hanno quindi mandato, presso le varie case di produzione, i risultati dei vari studi, suggerendo di impegnarsi a creare giochi, di qualsiasi genere, con maggiore capacità esplorativa e, di conseguenza, meno guidati, il tutto per far si che il mezzo videoludico sia accettato anche dalla comunità scientifica (una piccola parte a dir la verità) che non riesce ancora a cogliere il potenziale del videogioco.

 

  • Greg West, Véronique Bohbot et al. Impact of Video Games on Plasticity of the Hippocampus. Molecular Psychiatry,8/8/2017
  • Kuhn S, Gleich T, Lorenz RC, Lindenberger U, Gallinat J. Playing Super Mario induces structural brain plasticity: gray matter changes resulting from training with a commercial video game. Molecular psychiatry. 2014;19(2):265–71
  • Clemenson GD, Stark CE. Virtual Environmental Enrichment through Video Games Improves Hippocampal-Associated Memory. The Journal of neuroscience: the official journal of the Society for Neuroscience. 2015;35(49):16116–25
  • West GL, Konishi K., & Bohbot V. D. Video Games and Hippocampus-Dependent Learning. Current Directions in Psychological Science. 2017
  • West GL, Konishi K, Diarra M, Benady-Chorney J, Drisdelle BL, Dahmani L, et al. Impact of video games on plasticity of the hippocampus. Molecular psychiatry. 2017

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