Ghost of Tsushima è l’ultimo grande titolo first party Sony per PlayStation 4 e, sebbene la sua componente ludica non abbia soddisfatto completamente il nostro Tanzen nella sua recensione, nell’articolo sulle migliori direzioni artistiche del 2019 lo citammo come il nostro most wanted per il 2020.
In questo episodio speciale di ArtCafé siamo pronti dunque a giudicare se da quel punto di vista l’ultima fatica di Sucker Punch Productions ha soddisfatto le nostre altissime aspettative.
Uscito all’incirca un mese dopo The Last of Us Parte II, Ghost of Tshusima si distanzia dal quasi fotorealismo del titolo Naughty Dog per proporre una visione molto più stilizzata, seppur con shader realistici, di un’ambientazione perlopiù naturalistica, con giusto qualche avamposto, micro-città e una popolazione umana generalmente più scarsa di quella di altri open world recenti. Grazie a questi elementi, è impossibile non accostare il primo impatto con Ghost of Tsushima ad una grande perla del passato, ossia Shadow of the Colossus.
Shadow of the Colossus ma anche Zelda Breath of the Wild!
Sarà forse grazie alle splendide animazioni del cavallo, ma galoppare in campi aperti mossi dal vento verso mete inesplorate senza mappe o radar di sorta dona una sensazione di libertà e scoperta che recentemente solo The Legend of Zelda: Breath of the Wild aveva saputo proporre. Rispetto a quest’ultimo, il titolo Sucker Punch, si appoggia ovviamente a una console di tutt’altro peso rispetto a Nintendo Switch e può quindi vantare soluzioni di simulazione di vento e particelle piuttosto avanzate, tutte al servizio di un’estetica assolutamente non foto-realistica ma tesa all’enfatizzazione, grazie a luce, animazione e camera, di ogni momento a favore di camera: una tecnica direttamente ispirata dal modello principale della cinematografia del titolo, ossia Akira Kurosawa.
Insomma, Sucker Punch ha saputo esprimere molte delle sue qualità all’interno del suo nuovo titolo; già in Infamous: Second Son nel 2014 avevamo potuto assaggiare una livello di cura per luci ed effetti particellari al tempo inediti. Questi ritornano in grande spolvero anche in Ghost of Tsushima, e a dire il vero, fanno la parte del leone. Foglie, volatili, ceneri e neve si muovono negli scenari con una naturalezza assoluta, accompagnati da un vento sempre costante che mantiene in movimento ogni singolo frame, anche quelli dai ritmi compassati che precedono un duello. Questa costante animazione della natura del gioco deve molto alla cinematografia di Kurosawa, che amava appunto lasciar trasparire emozioni e sensazioni tramite il movimento degli scenari, specialmente quelli naturalistici. La luce riempie ogni singolo istante, con raggi tra le fronde, nebbie volumetriche e un uso volutamente accentuato del bloom di sole e luna a ricercare un effetto onirico e sublime. A coadiuvare questo sontuoso lavoro sull’atmosfera c’è ovviamente l’uso del colore. Nell’episodio sul colore di ArtCafé avevamo analizzato come il suo utilizzo sia allo stesso tempo una questione di distinzione, emozione e progressione. Ghost of Tsushima riesce in tutte e tre gli ambiti restituendo un quadro d’insieme che può fare scuola: dai campi fioriti che indicano la presenza dei racconti mitici, agli aceri rossi delle fonti termali, fino alle tinte del tramonto che ingegnosamente entrano in gioco quando la narrazione lo richiede, queste composizioni creano frame infiniti per gli amanti della fotografia digitale.
Il livello di dettaglio raggiunto nella creazione del protagonista è assolutamente eccellente. Nonostante lo stesso non si possa dire per nessuno degli altri personaggi secondari, la cura riposta nella modellazione di ogni armatura, spada ed accessorio è impressionante. Inoltre, grazie alla super accessoriata modalità fotografica, Suckper Punch permette di apprezzare da distanza ravvicinata ogni dettaglio dell’elsa, dei copricapi da samurai, delle vesti intessute e dei materiali realizzati con shader esaltati dalle incredibili fonti di luce del gioco. L’amore per il dettaglio traspare anche volgendo lo sguardo verso l’ambientazione, specialmente quella naturale, dove la vegetazione, il fogliame e tutti gli altri elementi di corredo sono ricchi di vita, nonostante una conta poligonale non altissima (che però da spazio ai caricamenti quasi istantanei del titolo). Grandissimo merito del team è l’essere riuscito a creare ambientazioni assolutamente memorabili e facilmente riconoscibili tra loro nonostante la narrativamente coerente mancanza di numerosi elementi antropici, che lasciano invece spazio a grandi colline, pianure, campi e coste, ognuno sempre dotato di una sua caratterizzazione peculiare.
Un enorme sforzo è stato inoltre dedicato alla realizzazione dell’interfaccia di gioco. La volontà di ottenere un’immagine il più cinematografica possibile ha richiesto la rimozione della maggior parte degli indicatori a schermo durante le fasi di gioco per un risultato sicuramente interessante. Dove invece di interfaccia c’è necessariamente bisogno, come nella mappa o nell’inventario, gli ui designer di Sucker Punch si sono sbizzarriti con un look ricco, ricercato e rispettoso del loro pedigree di sviluppatori, con icone ricche, illustrazioni pennellate e forme non convenzionali, il tutto in maniera stilizzata in accordo all’ambientazione del titolo. Queste scelte traspaiono anche nella realizzazione delle bellissime cinematiche di intermezzo dei Racconti Mitici, che appaiono come inchiostrate da maestri di calligrafia orientale. Ultimo tocco di stile è ovviamente la Kurosawa mode: una piacevolissima aggiunta assolutamente apprezzabile per un eventuale replay del titolo. Grazie ad uno studio molto efficace del bianco/nero dei classici film di Kurosawa, gli artisti del team sono riusciti a creare una modalità che dona grande personalità alle immagini del titolo anche quando private dei loro perfetti colori.
Riserviamo l’ultimo paragrafo per qualche appunto sottilmente critico ma che è necessario fare. Come discusso nell’articolo sulle animazioni, queste sono tra gli elementi più costosi e d’impatto sul monte di produzione di un videogioco. Giocando Ghost of Tsushima si ha spesso la sensazione che qualche animazione, collisione ed espressione facciale sia leggermente fuori posto, come se il budget devoluto a questo settore non sia stato sufficiente. Alcuni esempi sono le animazioni dei nemici quando colpiti da frecce, oppure gli effetti dell’attacco di un orso sul protagonista, che producono movimenti legnosi e mal collegati al resto delle azioni. Altro punto sicuramente più debole del resto della produzione sono la ripetitività e la relativa assenza di ambientazioni al chiuso interessanti. Seppur è certamente vero che il Giappone del tredicesimo secolo evidentemente non offriva grandi ricchezza e sfarzi nell’arredamento degli interni, è un peccato riesplorare la stessa casa, o le stesse sale di una torre o castello per diverse volte in diversi punti del gioco.
Ghost of Tsushima è l’opera della maturità degli artisti di Sucker Punch. L’atmosfera di ogni frame, la luce che pervade ogni ambientazione e gli incredibili effetti particellari dinamici sono i punti di forza di un titolo da giocare, ma ancora di più da osservare e gustare con grande ammirazione. In attesa di vedere quali altri titoli dall’art direction interessante ci potrà offrire questo travagliato 2020, possiamo confermare con felicità quanto Ghost of Tsushima abbia mantenuto positivamente le promesse fatte al suo annuncio.