Eppure le cose non sono sempre andate così! Però si sa come vanno a finire queste cose, il tempo passa, i soldi vanno e vengono, il lavoro aumenta, si fanno nuove amicizie… e in un battito di ciglia si finisce in tribunale. Sono ben lontani i tempi in cui Steve Jobs prima e Tim Cook poi – tra il 2010 e il 2011 – ospitarono sul palco di due Apple Special Event l’allora presidente di Epic Games Mike Capps per parlare di Game Center e di quanto la serie Infinity Blade fosse entusiasmante da giocare su iPhone 4 e 4S.
Nel frattempo, dicevamo, le cose sono molto cambiate: Apple ha conquistato nuove vette di successo espandendo la propria linea di prodotti e servizi mentre Epic è letteralmente esplosa grazie a Fortnite e al lancio del suo store digitale. Ma se gli affari vanno a gonfie vele per entrambi, come siamo arrivati a tanto?
Ci stiamo un po’ giocando attorno ma quella tra Epic e Apple è stata davvero una grande storia d’amore e assistere oggi a questo dibattito, ci fa vestire per un attimo i panni del figlio o della figlia che vede i genitori prima litigare tra le mura di casa e poi divorziare in un’aula di tribunale. La stagione dell’amore però, dicevamo, è stata lunga e tra un bacio e una carezza, le due aziende hanno finito per stringere un legame molto forte nel tempo. Badate bene, quando parliamo di legame molto forte non ci riferiamo soltanto alle ospitate – per quanto ambite – sul palco di Apple ma proprio a una strenua collaborazione tra le due compagnie. In alcune documentazioni ufficiali l’azienda di Cupertino ha dichiarato di aver speso più di un milione di dollari per il marketing dei giochi Epic e di aver persino messo a disposizione un proprio dipendente, in Australia, per offrire supporto allo sviluppatore dal momento che il fuso orario non poteva sempre garantire una collaborazione fruttuosa con la California.
Con le nostre parole, non ci lasceremo mai…
Allo stesso modo, Epic si è adoperata in più occasioni con i suoi ingegneri e le sue competenze in materia di videogiochi per supportare Apple, mettendo in campo il proprio parere circa le versioni preliminare di software e hardware e spendendosi in altri tipi di consulenza riguardanti l’utilizzo di tool e della GPU di iPhone. Contestualmente al successo di Fortnite, nel 2017, i rapporti tra le due compagnie però hanno iniziato a incrinarsi: in rete circolano pettegolezzi di presunte persone vicine all’una e all’altra parte ma si sa, con un divorzio in corso, chiedere parere agli amici non è mai una buona idea.
Non ha aiutato neanche l’ulteriore incalzata del nuovo CEO Tim Sweeney il quale criticò apertamente il sistema di pagamento di Apple con commissioni fino al 30%, e l’impossibilità di utilizzare altri metodi di pagamento per aggirare questa ‘tassa’. Lo stesso anno, in occasione della GamesCom di Colonia, Sweeney rincarò anche la dose definendo questa commissione come un vero e proprio parassita che affliggeva ogni transazione sull’App Store.
Mai, e poi mai…
Qualche mese più tardi, nel gennaio del 2018, ci fu un incontro tra il CEO di Epic e una parte del management Apple circa la possibilità che la compagnia di videogiochi aprisse un store proprietario su App Store e Mac App Store, accessibile in tutta sicurezza per gli utenti di iPhone, iPad e Mac. L’iniziale esitazione dei dirigenti Apple si tradusse poi in un rifiuto motivato da questioni di sicurezza che, a parere loro, sarebbe stata più difficile da garantire con l’intervento di un player terzo. Nuovi punti di vista e interessi ormai differenti spinsero definitivamente per un distacco con Epic che scelse di lanciare, nel dicembre dello stesso anno, Epic Game Store (anche su Mac, ndr), il proprio negozio digitale con commissioni al 12% e la possibilità per gli sviluppatori di scegliere il loro sistema di pagamento preferito.
Storia recente è invece quella che ha portato al lancio della campagna #FreeFortnite, nata nei mesi antecedenti a giugno 2020 e condivisa in rete invece dopo il rifiuto – previsto – da parte di Apple alla richiesta di utilizzare un metodo di pagamento terzo per Fortnite su iOS.
Insomma, la vita così come gli affari di un’azienda cambiano e non sono mai così semplici e lineari ma anzi, all’aumentare del fatturato aumentano gli interessi in ballo, le pressioni ricevute e mantenere stabili i molteplici rapporti commerciali con i propri partner diviene ancora più complesso. Il coronamento, ironicamente parlando, di questo percorso ha avuto luogo dinanzi a una corte federale presieduta dal giudice Gonzalez Rogers con il processo Epic vs. Apple: da una parte l’accusa che sostiene che Apple abusi del suo potere e della sua influenza commerciale per ‘saccheggiare’ gli sviluppatori e dall’altra la difesa che invece spiega l’esclusione del gioco come la semplice conseguenza di una violazione contrattuale. Insomma, le posizioni sono piuttosto chiare e anche tra l’opinione pubblica si sono già formate le squadre ma perché questo processo è così importante? Vi ringrazio per la domanda.
Vorrei dirti, ora, le stesse cose…
Ebbene, ciò che conta davvero in questa storia in effetti non sono tanto i risvolti diretti per l’una o per l’altra compagnia miliardaria quanto il precedente legale e le possibili ramificazioni che una sentenza di un giudice federale potrebbe scaturire. Il mercato e gli investitori sono in allerta: nonostante anche Google sia stata citata in giudizio, una possibile sentenza contro Apple potrebbe spingere verso un ridimensionamento dei limiti e delle regole che la compagnia impone sul proprio negozio digitale, con effetti per milioni di sviluppatori sparsi in tutto il mondo. Al momento non è facile prevedere verso quale posizione tenderà la sentenza ma ciò che si può dire adesso è che sicuramente non sono mancati i colpi di scena. La difesa e l’accusa hanno chiamato in aula i rispettivi CEO per offrire il loro punto di vista sulla vicenda e sono emerse informazioni interessanti.
Tim Sweeney di Epic ha parlato nei primi giorni di udienza e ha spiegato il punto di vista dell’azienda ovvero quello di ‘favorire’ la comodità e, se vogliamo, l’impulsività della transazione; pensare a un acquisto di V-Bucks che comporta la navigazione fino al sito web attraverso un browser, a detta loro, sarebbe sconveniente e poco produttivo. Una posizione forse discutibile sul piano etico ma largamente diffusa e condivisa nell’ambito dei negozi digitali.
Parlando invece di cifre, dalla deposizione di Michael Schmid di Apple è emerso che la compagnia avrebbe intascato commissioni per oltre 100 milioni di dollari attraverso gli acquisti in-app di Fortnite: una cifra davvero mostruosa che spiega peraltro la forte impellenza con la quale Epic ha voluto costruito il caso. Tuttavia, dimostrare che la compagnia di Cupertino agisca in una situazione di monopolio e che ne tragga un profitto spropositato è tutt’altro che facile: la memoria difensiva, promulgata dallo stesso CEO Tim Cook e da Craig Federighi, Senior Vice President, è stata costruita attorno alla necessità di Apple di controllare le transazioni per garantire agli utenti uno standard di sicurezza e privacy elevato e unico nel mercato.
L’App Store raggiunge miliardi di dispositivi in tutto il mondo e la protezione dei dati personali e l’affidabilità dei contenuti sono da sempre un cavallo di battaglia dell’azienda fondata da Jobs. Tutto ciò costa caro, come ha ribadito Cook in aula, anche se, a dire il vero, non è stato fornito un quadro delle spese sostenute né degli investimenti fatti nel tempo. Il giudice si è detto conscio degli sforzi sostenuti dall’azienda per costruire e tenere in piedi il proprio ecosistema ma ha anche fatto notare che sono i giochi quelli che mantengono il pubblico su una piattaforma. A tal proposito, il presidente di Apple ha replicato dicendo che “Le app che portano clienti sono molte e spesso gratuite e su quelle Apple non percepisce alcun profitto anzi ne sviluppa di proprie […] il 30% di commissione viene chiesto invece soltanto a chi ha un volume d’affari importante” (oltre un milione di dollari nell’anno precedente, ndr).
Ma come fan presto, amore, ad appassire le rose…
In conclusione, anche la testimonianza di Craig Federighi, probabilmente il secondo profilo più in vista del board di Apple, si è rivelata piuttosto interessante per il contenuto e le tematiche che ha toccato. Lui, Senior Vice President e responsabile dell’ingegneria del software Apple, è stato chiamato a parlare proprio di sicurezza dal momento che, come sostenuto dalla difesa, l’introduzione di negozi di terze parti potrebbe comportare un rischio sotto quell’aspetto. Incalzato in aula, Federighi si è trovato a dover dare una spiegazione del perché su Mac esistano e si possano scaricare store di produttori differenti mentre su iOS questa sia reputata una soluzione impossibile da percorrere. A tal proposito il dirigente Apple si è espresso, a sorpresa, sostenendo che su Mac la diffusione dei malware sia attualmente “inaccettabile” mentre sui dispositivi mobile il livello di protezione dei clienti è in grado di soddisfare livelli di sicurezza ben più alti e auspicabili. La similitudine che ha utilizzato nella sua deposizione è stata chiara: col Mac, se ne hai voglia, con un po’ di esperienza e responsabilità, puoi ‘andare fuori strada’; l’iPhone invece, è pensato per essere un dispositivo sicuro al 100%, rispettoso della privacy e dei dati che gestisce così che possa essere usato anche da un figlio.
A questo punto, è molto difficile ipotizzare in che direzione andrà la sentenza: da una parte Epic chiede un trattamento economicamente più equo e rispettoso degli sviluppatori, concedendo loro più potere e libertà e dall’altro Apple che, forte dell’aver creato un infrastruttura software sicura e protetta, diffusa su miliardi di dispositivi, vuole continuare a controllare ciò che può essere fatto. In attesa della sentenza che arriverà in agosto, voi che idea vi siete fatti?
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