Project REsistance – sopravvissuti alla Beta

Non tutti i derivati vengono per nuocere

Anteprima di Francesco Dovis

Partiamo da un presupposto importante: i derivati non sono per forza un mero sfruttamento commerciale di una serie famosa e persino quelli con una forte componente multigiocatore, se ben sviluppati, possono creare qualcosa di apprezzabile, se non addirittura memorabile.
Facciamo qualche esempio? Mario Kart, Halo Wars, Metal Gear Rising (dei Platinum Games, ricordiamo), Final Fantasy Tactics o World of Warcraft. Alcuni di questi nelle meccaniche di gioco non hanno proprio nulla a che spartire con le serie originali da cui sono tratti, eppure hanno saputo proporre qualcosa di nuovo, come affiancamento ad un progetto esistente.

Capcom si trova ora in situazione analoga, ma partendo da una posizione più difficile. Alcune software in effetti hanno talvolta usato un marchio famoso per creare qualcosa di poco attinente sia nelle meccaniche, che nell’ambientazione. Viene da citare Operation Raccoon City, il quale era uno sparatutto tutto sommato dignitoso, ma uscito in un periodo in cui questo genere videoludico era pesantemente inflazionato, al punto da stravolgere persino i capitoli principali piegandoli ad un’azione poco compatibile con il genere survival horror. Op.Raccon dunque faceva qualcosa che già tanti, troppi giochi facevano.
Oppure Metal Gear Survive, che per quanto non fosse neppure questo brutto come gioco di per sé, inseguiva la moda dei giochi cooperativi a tema zombie, proponendoli in un’ambientazione in cui davvero c’entravano poco (primato però poi battuto da Ubisoft con Rainbow Six, con una sfacciata disinvoltura da accompagnarsi al tormentone “hold my beer” nel fare a gara con Konami su chi infilava gli zombie dove meno c’entravano). Comprensibile quindi si sia creata una leggera suscettibilità all’annuncio di nuovo derivato multiplayer di Resident Evil, tuttavia Project REsistance non rientra in nessuno dei due casi succitati. Precisiamo inoltre che Capcom lo ha presentato come semplice  affiancamento ai capitoli ufficiali, pertanto i fan non hanno nulla da temere circa il filone principale, che resterà ligio all’impostazione survival horror.

Project RE infatti sia nella giocabilità, che nell’ambientazione, risulta anzi molto compatibile con i punti chiave della serie principale. Gli zombie, le creature mostruose e un gruppo di disperati in cerca di salvezza da Raccon City, sono anche qui al centro degli eventi, mentre sul piano ludico si tratta sì di un titolo multigiocatore asincrono 4vs1, ma basato su di un’esperienza fortemente survival e poco shooter. I protagonisti sono infatti dei cittadini qualunque, dei malcapitati rapiti dalla Umbrella e costretti a partecipare ad un crudele gioco al massacro, inteso dal suo orchestratore, Daniel Fabron, come un esperimento in cui valutare l’efficacia dell’arsenale biologico a disposizione della corporazione per cui lavora.

Il gruppo parte semi disarmato e ha a disposizione un lasso di tempo limitato per raggiungere l’uscita superando diverse aree che compongono una singola mappa. In ogni stanza i fuggiaschi possono raccogliere quello che trovano e cercare di sfruttarlo al meglio per sconfiggere le numerose creature ostili, così come sopravvivere alle trappole piazzate da Fabron. Le risorse sono sempre scarse e i giocatori non hanno mai a disposizione un arsenale corposo, limitandosi a poche armi come delle semplici mazze, o pistole e fucili a colpi rigorosamente centellinati.
Qualsiasi altro lusso è ancora più limitato e va comprato dalle casse di rifornimento dopo aver raccolto del denaro.
La stessa balistica e pesantezza dello sparare è calibrata per rendere la goffezza di persone normali, amplificando una certa tensione durante gli scontri a fuoco che avvicina la parte più action di questo titolo più ai survival horror, che non agli sparatutto veri e propri. Altro aspetto che definisce una giocabilità più ragionata e meno shooter, è anche il sistema di classi e ruoli, studiato per una cooperativa che echeggia quasi a quello (perfetto) di Resident Evil Outbreak. Ogni cavia infatti ha delle abilità specifiche, che rendono il suo apporto al fine della sopravvivenza del gruppo, indispensabile, anche qualora il membro in questione non sia capace di combattere.
La hacker e il medico infatti possono disattivare i congegni elettronici e prestare soccorso ai feriti, ma anche i combattenti finiscono per avere qualcosa che rende il loro utilizzo più singergico e degno di un titolo dove la cooperativa è ben strutturata e non inserita superficialmente. Il conto alla rovescia può essere esteso oppure accorciato a seconda delle azioni. Un sistema che nel complesso funziona bene, inserito necessariamente per evitare situazioni di stallo, ma dando il giusto equilibrio per premiare o punire le giocate migliori o peggiori di entrambe le fazioni. I giocatori infatti potranno comprare un rientro per un compagno caduto decurtando dei secondi, così come Fabron dilaterà il cronometro a favore delle cavie in caso queste reagiscano bene.

Un giocatore invece impersona Fabron come antagonista, seguendo il gruppo attraverso delle telecamere installate in ogni stanza, attraverso le quali può piazzare mostri e altri ostacoli, al prezzo di un quantitativo di punti limitato, che pertanto deve spendere senza dislocare minacce a casaccio lungo la mappa. C’è quindi un pizzico di aspetto gestionale che ricorda vagamente Dungeon Keeper, e che mantiene le partite nei panni dell’orchestratore abbastanza differenti e mai banali. In aggiunta a questo c’è l’opzione di controllo remoto, per cui si può assumere i comandi diretti di una creatura come uno zombie o un tyrant, almeno sino al momento in cui questa non viene sconfitta o termina la sua autonomia. Una possibilità che aggiunge un’ulteriore varietà e che serve a non essere completamente tagliati fuori qualora le preziose telecamere vengano disattivate o distrutte dalle cavie (opzione che preclude di inserire qualche minaccia nella zona sorvegliata dal dispositivo distrutto, almeno sino al suo riavvio).

Il clima generale è intriso di quel tipo di tensione da survival horror, anche grazie ad una direzione artistica che si riallaccia molto efficacemente al primissimo film di Resident Evil, con musiche che enfatizzano bene il senso claustrofobico e angoscioso dei protagonisti intrappolati in una struttura ricolma di mostruosità e ordigni letali. L’azione, per quanto convulsa al punto giusto da risultare perfettamente ansiogena per quello che è lo scopo di un survival horror, non è mai esagerata e orientata troppo sulla sparatoria. I compiti secondari non mancano, come ritrovare chiavi per aprire le porte, oppure distruggere o difendere alcuni obietti sensibili (come dei campioni virali o un generatore elettrico), mantenendo una partita ben alternata tra fasi più serrate e altre meno.
Come titolo multigiocatore quattro contro uno. Project REsistance parte già con due grossi pregi rispetto i pochi concorrenti nel settore, i quali si limitano principalmente a Venerdì 13 e Dead By Daylight. Il gioco di Capcom infatti può contare su di un motore grafico decisamente migliore, garantendo un comparto tecnico di buona qualità, complessivamente fluido, e una varietà delle partite ed un bilanciamento già più convincente rispetto quello dei colleghi.
Allo stato attuale rimane ancora da aggiustare l’eccessiva potenza a disposizione dell’orchestratore, il quale spesso può inanellare delle combo micidiali nelle ondate di assalto, ma l’insieme appare comunque basato su valori produttivi superiori a quelli del genere multigiocatore asincrono quattro contro uno.

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