Alita: Angelo della battaglia – Cuore e macchina

La trasposizione del celebre manga di Yukito Kishiro sta finalmente per arrivare nei cinema di tutto il mondo. Lo abbiamo visto in anteprima e siamo pronti a parlarvene nella nostra recensione!

Cinema & Serie TV di Simone Di Gregorio

Annunciato per la prima volta nel 2003 e diverse volte posticipato nel corso degli anni, Alita: Angelo della battaglia ha faticato parecchio per arrivare al cinema. Nelle intenzioni originali diretto da James Cameron (Terminator, Titanic), ma a più riprese ostacolato dall’immensa produzione di Avatar prima, dei suoi seguiti poi, la trasposizione di parte del celebre manga di Yukito Kishiro trova solo oggi la sua dimensione cinematografica, concentrandosi verso una deriva da blockbuster sia nel budget, sia nelle intenzioni.

Nonostante il passaggio di Cameron alla produzione, con Robert Rodriguez (Spy Kids, Sin City) alla regia, l’impronta della grande mente dietro alla serie di Avatar c’è e penetra in ogni fotogramma, testimonianza di un interesse duraturo e quasi morboso verso il manga originale, vera e propria icona pop degli anni ’90. La portata di Alita (anche commerciale) appare quindi ben più ampia di quanto si possa a prima vista immaginare, nel suo complesso tentativo di far coincidere due culture diverse e due linguaggi antitetici, in una continua tensione tra oriente ed occidente, laddove sarà il secondo a decretare il successo dell’operazione.

Il risultato – vi anticipiamo – ci ha in fin dei conti soddisfatto, solidissimo nei suoi connotati action e fluido nella ricostruzione artistica, complice una CGI a tratti sinceramente impressionante. Se siete curiosi di scoprire nel dettaglio cosa ne pensiamo di Alita: Angelo della battaglia, non vi resta che leggere dunque la nostra approfondita recensione. Prima di iniziare, vi ricordiamo inoltre che il film arriverà nelle sale italiane – distribuito da 20th Century Fox – il 14 febbraio 2019.

 

 

Anno 2563. Sono trascorsi circa trecento anni dalla devastante guerra interplanetaria che ha portato la Terra sull’orlo della completa distruzione. Tutto ciò che è rimasto dell’umanità si è raccolto nella cosiddetta Città di Ferro, un immenso e sovraffollato agglomerato urbano che funge da discarica, fabbrica e risorsa per la severa ombra dei privilegiati di Zalem, l’ultima città volante. Se tuttavia civiltà, ordine e ricchezza sono la trinità alla base di Zalem, lo stesso non è possibile dire per la metropoli diroccata sottostante, vittima di un disordine sociale che ha portato col tempo a una progressiva scomparsa della legge in favore di temibili cacciatori di taglie, i Braccatori.

L’intreccio di Alita si avvolge tutto intorno all’omonima protagonista

Fissato questo strutturato immaginario fantascientifico, l’intreccio di Alita si avvolge tutto intorno all’omonima protagonista, un curioso cyborg trovato dal misterioso Dr. Dyson Ido (Christoph Waltz) tra l’immensa pila di rifiuti della Città di Ferro. La complessità ingegneristica di Alita e la sua straordinaria abilità in una specifica arte marziale mettono subito in chiaro l’importanza della ragazza e del suo passato, avviando una catena di eventi che va ad intrecciarsi con le stesse origini di una guerra ormai remota.

Proprio il percorso di crescita di Alita, il suo venire a patti con sé stessa e con la sua natura, passando per lo strazio dell’amore e arrivando alla matura caparbia della vendetta, è difatti il vero fil rouge della storia raccontata, sebbene risulti semplificato per un approccio maggiormente digeribile dal grande pubblico. Si perde qui forse gran parte dell’intimismo dei maggiori capostipiti cyberpunk, si rinuncia allo studio della caratteristica dicotomia tra anima e corpo, tra mente e spirito, per confluire in un personaggio percettibilmente umano, privo di molte delle sfaccettature che siamo abituati a notare in opere simili. Ciò nonostante, Alita appare senza dubbio un personaggio irresistibile fin dalla sua prima apparizione a schermo, frutto sì di una scrittura coerente in grado di valorizzarne ruolo e dimensione, ma anche e soprattutto risultato della sorprendente prestazione della giovane Rosa Salazar. La ricostruzione in computer grafica di Alita – ci sentiamo di rassicurare – risulta inoltre radicalmente migliorata rispetto ai primi trailer mostrati, scrollandosi di dosso quell’inquietante effetto da uncanny valley che si era rischiato di ottenere.

 

 

La ragazza in sé e per sé è dunque uno dei maggiori punti di forza del lungometraggio di Rodriguez, che tuttavia trova la sua crepa più consistente proprio nel legame tra Alita e Hugo, un ambizioso adolescente di cui la ragazza finirà inevitabilmente per essere innamorata. Ora, tralasciando l’imbarazzante performance di Keean Johnson nell’interpretazione di Hugo e la macchietta del suo personaggio, il rapporto tra i due si evidenzia cristallizzato in una fastidiosissima componente teen, affogata nell’eccessivo minutaggio dedicatogli e radicata in un melenso ridondante e stereotipato; capiamo l’importanza di rispettare il materiale originale, ma in questo modo si va ad inficiare sull’ottimo ritmo del film e sulla qualità della caratterizzazione della protagonista, che ne esce per forza di cose ridimensionata.

Dall’altro lato della barricata troviamo invece Maharshala Ali (che ormai è come il prezzemolo), nei panni dell’antagonista Vector, e l’affascinante Jennifer Connelly, qui nelle vesti di Chiren, assistente di Vector ed ex compagna di Ido. Paradossalmente, due attori istrionici di questo calibro sono in realtà costretti all’interno degli stretti canoni di soggetti monodimensionali, declassati a semplici ostacoli sul percorso di Alita piuttosto che valorizzati attraverso uno spessore proprio.

Il film lascia a bocca aperta in primis per le stupende scene d’azione

Archiviata la narrativa, Alita: Angelo della battaglia lascia a bocca aperta in primis per le stupende scene d’azione, attraverso una coreografia estremamente studiata e un lavoro tecnico e grafico da applausi a scena aperta; il Panzer Kunst, l’arte marziale fittizia della protagonista, garantisce una serie di scontri sinuosi e scorrevoli, centrati sull’agilità e le piccole dimensioni della cyborg e supportati da una regia sempre chiara nel seguire movimenti violenti e complessi. I particolari innesti e stili di combattimento degli stereotipati nemici minori fanno poi il resto, permettendo da una parte di differenziare tra loro i combattimenti e dall’altra di dare un senso al formato 3D offerto (vale la pena vederlo in questo modo).

 

 

La CGI a a tratti incredibile usata nelle fasi action accompagna persino l’intero world building, fedele al fumetto e ispiratissimo nei suoi toni cyberpunk. Dimenticatevi però i neon onnipresenti di Blade Runner o la metropoli di Akira, la Città di Ferro si configura come un immaginario rurale e diroccato, dove il dominio della tecnologia si sposa con i colori acidi del post-apocalittico; unica eccezione sono le tinte esplicitamente sci-fi dell’arena del Motorball, una disciplina “sportiva” violenta e cruenta (con telecronaca di Guido Meda) che consente di ottenere l’unico biglietto di ingresso per l’ambita Zalem. L’arena, tra l’altro, è sede di una delle scene meglio dirette e gestite del film, vedere per credere.

In conclusione, Alita: Angelo della battaglia rispetta le sue premesse e si conferma un ottimo blockbuster movie che vuole e riesce nell’impresa di intrattenere per tutte le due  di durata, grazie a scene d’azione mozzafiato, ottimi effetti speciali e una virtuosa direzione artistica. La sceneggiatura vince la sfida della caratterizzazione di Alita, mentre zoppica e fatica nella gestione degli altri personaggi, spesso appena abbozzati o eccessivamente superflui nell’esposizione, con il risultare di inficiare un ritmo per il resto ben guidato e catalizzante. Il risultato complessivo ci ha convinto insomma a pieno titolo e non possiamo fare a meno di metterci in paziente attesa per un futuro sequel che, sperando in un clemente box office, di sicuro arriverà.

 

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