I Am Not Okay With This: una particolare storia di super poteri e super problemi

Il particolare show creato dagli autori di Stranger Things e The End of F***in World ci ha stupito: I Am Not Okay With This ha tutte le carte in regola per fare bene, in futuro. Per ora... lo rimandiamo, ma con buone premesse!

Cinema & Serie TV di Salvatore Cardone

La paura di crescere, quel timore viscerale di affrontare un’evoluzione tanto ovvia quanto incredibilmente dolorosa, è un qualcosa con cui tutti, in modalità chiaramente differenti, abbiamo avuto a che fare. I primi problemi di cuore, le prime amicizie infrante, le lingue taglienti di chi proprio non riesce a stare lontano dallo sparlare degli altri, le interrogazioni difficili, le acerbe passioni da coltivare sono solo degli esempi di un periodo della vita difficile, un po’ per tutti, un periodo complicato e che, in qualche modo, delinea profondamente la personalità e il modo di approcciarsi al mondo di ogni individuo.

Per questo motivo, ogni volta che ci viene offerto uno show che cerca di focalizzarsi su questi aspetti siamo un po’ tutti quanti pronti ad accoglierlo a braccia aperte. Siamo invasi da una sensazione a metà tra la nostalgia e la felicità perché in fondo in fondo un po’ tutti ricordiamo con tenero terrore gli anni dell’adolescenza ma allo stesso tempo tendiamo, seppur in modo tacito, a rimpiangerli.

Crescere, però, è una delle missioni più difficili che la vita ci pone davanti e il suo compimento non è mai semplice né scontato e I Am Not Okay With This, mini serie dai produttori di Stranger Things e dal regista di The End of F***in World, in arrivo il prossimo 26 febbraio sul catalogo Netflix, ne é un esempio a tratti perfetto, seppur non esente da sbavature e problematiche di sorta.

La serie in questione riesce nella difficile missione di mescolare più elementi ed offrirli sull’altare della realizzazione di un teen drama particolare, leggero e allo stesso tempo irriverente, che riesce a trasmettere tutte quelle sensazioni tipiche di un’età tanto complessa come quella adolescenziale, con uno stile non per forza unico ma con un ritmo ed una cadenza che, nel complesso, funzionano. È dunque tutt’oro quel che luccica? Purtroppo no, ma parliamone con calma.

 

Verità dolorose

Protagonista dello show è la giovane Sidney di Sophia Lillis

Protagonista dello show è la giovane Sidney, magistralmente interpretata da una poderosa Sophia Lillis (famosa per il suo ruolo in IT), teenager tormentata da una vita ricca di problemi, sia di natura ordinaria sia extra ordinaria. L’esistenza di Sidney e quella della sua famiglia viene compromessa violentemente dalla tragica scomparsa del padre, con cui sia la giovane sia il piccolo Liam (Aidan Wojtak-Hissong) sono costretti a convivere da ormai un anno, condividendo il dolore e soprattutto quella incolmabile sensazione di vuoto con una madre assente, sia per lavoro sia per una gestione del lutto tutt’altro che encomiabile.

Ad un’esistenza tanto tormentata sul piano intimo e personale si uniscono i più “semplici” problemi tipici di una delle età più complicate da vivere e da gestire, pesantemente aggravati da un carattere forse eccessivamente introverso e scontroso, che le rende quasi impossibile l’integrazione e la familiarizzazione all’interno di quello che è uno dei mostri più spaventosi della maggior parte dei giovani: il liceo.

 

I AM NOT OKAY WITH THIS

 

Il liceo diventa rapidamente un terreno di guerra

Com’è ampiamente prevedibile, per una come Sidney, l’ambiente in questione diventa rapidamente un terreno di guerra, una guerra continua contro le proprie paure e contro soprattutto una società terribilmente attaccata a quella malsana abitudine del provare a ogni costo a far sentire degli emarginati chi, come la stessa protagonista, non vuole e non riesce a far muovere le proprie azioni dalla voglia di farsi accettare ad ogni costo.

A questo, poi, si aggiunge quello che è fondamentalmente l’elemento più focale della serie, che senza rubare mai veramente la scena, si avverte fortemente dal primo all’ultimo minuto: tra le altre cose, infatti, Sidney scopre, lentamente, di possedere dei poteri paranormali, da “supereroe”, come direbbe lei stessa ironicamente.

Questi poteri, come dicevamo poc’anzi, si manifestano in modo incontrollato e nei momenti in cui la stessa protagonista perde il controllo delle proprie azioni e, per una teenager con simili problemi familiari, va da sé che ciò, potenzialmente, rischia di accadere un po’ troppo spesso.

Questo malessere interiore col quale Sidney impara a convivere in maniera troppo rigida, senza riuscire a confidarsi appieno con quei pochi che sembrano veramente interessati al suo benessere, accompagna lo show fino ad una scena finale emblematica e tutto sommato prevedibile, con un cliffhanger che fa un po’ da effetto geyser, facendo scoppiare letteralmente tutte quelle che possono essere le convinzioni di una comunità intera.

Un prodotto Sidneycentrico

In apertura abbiamo provveduto quasi istantaneamente a tessere le lodi della splendida protagonista, capace di dar vita con una presenza scenica semplicemente clamorosa ad un personaggio incredibilmente empatico nella sua fragilità e, soprattutto, nelle sue paure.

Il resto del cast non viene trattato con la stessa cura

Sfortunatamente per la serie, però, non tutto il resto del cast viene trattato con la stessa cura, con un risultato finale eccessivamente, appunto, “Sydneycentrico”. Tutto ruota intorno agli stati d’animo e alle sensazioni della ragazza e in questo spazio ristretto, complice anche il risicato numero di episodi, non sembra mai esserci spazio per gli in verità pochi personaggi secondari.

È il caso, ad esempio, della bella e controversa Jenny Tuffland, il cui personaggio seppur stereotipato e poco ispirato sul piano tematico avrebbe potuto dare e dire di più con uno spazio più adeguato. Lo stesso discorso si può fare per l’unica vera e propria amica di Sydney, la spigliata e intelligente Dina (Sofia Bryant), il cui ruolo risulta eccessivamente marginale ma soprattutto le cui origini, abbozzate soltanto nel primissimo episodio, non vengono mai veramente esplorate.

 

I AM NOT OKAY WITH THIS

 

Per fortuna, questo trattamento poco vantaggioso non viene riservato a quello che senza troppi giri di parole è il miglior personaggio della serie dopo Sydney, il buon vecchio Stan interpretato in maniera più che convincente dall’ottimo Wyatt Olef. Stan è un personaggio diametralmente opposto a Sidney per quanto riguarda il modo di rapportarsi con il prossimo e soprattutto nell’ostentare la propria “diversità”, ma è incredibilmente vicino a quella che è la natura solitaria, quasi da emarginata, della stessa protagonista.

Il rapporto che si genera tra i due è probabilmente uno degli aspetti più riusciti della serie

E infatti il rapporto che si genera tra i due è probabilmente uno degli aspetti più riusciti della serie, capace di dar vita a momenti spesso esilaranti di cui lo show, in verità, è una riserva continua. Seppur Stan risulti nettamente più caratterizzato degli altri personaggi anch’egli però soffre di una poca voglia di osare, scelta tematica di cui cade vittima anche quello che, se vogliamo, è da considerarsi l’antagonista della serie: Brad (Richard Ellis).

Spocchioso, borioso e accecato da sesso e sport, il cattivo della prima stagione incarna tutti quelli che sono i luoghi comuni tipici del caso, ma anche stavolta senza che lo show provi, in qualche modo, a creare un immaginario successivamente stratificato sulla sua persona. Abbiamo apprezzato tantissimo il piccolo Liam, seppur anche lui viva di una realizzazione vetusta e priva di spunti veramente interessanti.

Realizzazione romantica e colorata

Se allo show imbastito da Jonathan Entwistle e Christy Hall, ispirato all’omonima opera illustrata di Charles Forsman, si può imputare una cura tutto sommato maldestra e poco a fuoco di quello che è il cast, in particolar modo se si analizzano i comprimari, lo stesso non si può dire della realizzazione generale, sia sul fronte tecnico sia della narrazione.

Il ritmo generale è sempre frenetico e ben conciso

Pur viaggiando in maniera per certi versi troppo veloce, in cui alcuni aspetti finiscono per ricevere meno spazio di altri, il ritmo generale è sempre frenetico e ben conciso, portando su schermo una storia narrata in modo quasi inattaccabile. Le diramazioni di una trama più complessa di quello che potrebbe sembrare vengono esposte con un piglio scanzonato e irriverente che trasuda The End of F***in World da ogni poro ma allo stesso tempo in modo squisitamente originale.

Ed è qui che la natura di teen drama “moderno” viene fuori, in una realizzazione che prende spunto partendo da temi importanti, scottanti, che vengono trattati con uno stile genuino, oseremmo dire fanciullesco, in cui ogni singolo evento sembra essere una vera e propria scoperta continua, figlia di un’evoluzione fisica e mentale tipica di chi, a quella età, vive un cambiamento inarrestabile e a tratti difficilmente spiegabile.

 

I AM NOT OKAY WITH THIS

 

La dolcezza e la velocità con la quale si arriva rapidamente di fronte ai tutt’altro che teneri titoli di coda della prima stagione viene sostenuta da una realizzazione tecnica decisamente sugli scudi. Così come i già citati altri due show della pattuglia di Netflix da cui I Am Not Okay With This “discende” direttamente anche qui si assiste ad una scelta estetica ben precisa in cui tutto il comparto visivo si lascia permeare interamente da uno stile retrò ben congegnato.

Il fatto poi che la tecnologia sia ben presente nella serie è un altro segnale di quanto si sia giocato fortemente sulla creazione di un immaginario difficile da inquadrare, quasi distopico, che nel complesso funziona a dovere e contribuisce attivamente all’ottima riuscita complessiva dello show. Molto riuscita è poi la scelta cromatica della maggior parte delle riprese: i colori sono quasi sempre volutamente “sparati” a mille, e rendono la fotografia, grazie anche ad un ottimo lavoro in fase di riprese, uno dei punti di forza maggiori della miniserie in questione di cui, in tutta sincerità, non vediamo l’ora di vedere la seconda stagione, per certi versi pressoché scontata.

In the end…

Questo primo contatto con I Am Not Okay With This, per quanto fugace esso sia, ci ha soddisfatto quasi appieno. Sarà per un bisogno di teen drama sempre vivo in ogni buon appassionato del genere nato e cresciuto a cavallo degli anni novanta o per un piglio irriverente ben marcato, la serie confezionata dagli autori di The End of F***in World e Stranger Things mette in piedi un immaginario stravagante e un comparto narrativo che potenzialmente può dire la sua in un contesto in cui la concorrenza latita ancora e non poco.

Sorvolando su alcuni limiti tutto sommato comprensibili potreste scoprire una piccola perla, la cui unica pecca è quella di dare, paradossalmente, troppo spazio ad una protagonista “ingombrante”, magistralmente interpretata da una splendida Sophia Lillis.


Nel complesso, comunque, ci sentiamo di consigliare la visione dello show un po’ a tutti quanti, in particolare ai nostalgici cresciuti a pane, Nutella e Buffy l’Ammazzavampiri.


Ci sono 1 commenti

COLDSEASONS
COLDSEASONS "Master of the Universe"
Complimenti, ti sei registrato!Chiacchierone!NiubboGuardone!Gameplay Café è il mio ritualeJuniorE3 2019 Special!Master
25 Febbraio 2020 alle 20:56

Ho sempre amato i teen-drama, in qualsiasi forma ludica (videogioco, film o serie tv) questo mi lascia un pò dubbioso. Non riesco a capire se possa piacermi oppure no. Dalla recensione sembrerebbe di si ma poi alcuni difetti mi convincono meno. Magari provo un paio di episodi ma so già che poi finirò comunque per vedermelo tutto; odio lasciare le cose incomplete e/o a metà.

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