La casa di carta – terza parte: il giudizio definitivo

Dopo aver visto i restanti sei episodi che ne compongono la serie, siamo pronti a tirare le somme.

Cinema & Serie TV di Salvatore Cardone

Parlare di un prodotto come La casa di carta, che riesce a rimanere perfettamente al centro tra i fuochi di un’aspra critica e gli applausi di un forte apprezzamento, non è mai facile. Riuscire ad accontentare tutti non è possibile, e valutarne oggettivamente la qualità è un qualcosa tutt’altro che semplice. Da una parte c’è la sensazione di avere a che fare con un prodotto dalle qualità onestamente modeste, dall’altra però la consapevolezza di sapere già bene a cosa si va in contro nel momento in cui ci si lascia abbracciare dalle melodie di My Life is Going on e dalle strambe vicende della banda di ladri più famosa al mondo, non c’è possibilità di ritorno. Dopo aver visto più volte le prime due stagioni (uscite su Netflix a distanza di qualche mese l’una con l’altra), il cui risultato finale ci ha tutto sommato convinti, ci siamo fiondati carichi di dubbi, invero, su questa terza stagione, la cui impronta narrativa risultava difficile da imbastire e, soprattutto, da portare avanti. L’acquisizione da parte di Netflix dello show, però, ha saputo cambiare radicalmente l’approccio alla serie. Almeno sulla carta. Il risultato finale, invece, non si discosta più di tanto dal passato: La casa di carta – Terza parte è un prodotto che complessivamente funziona e si lascia guardare senza problemi ma, oggi come ieri, non è nient’altro che un prodotto mediocre e che può soddisfare il palato soltanto di chi cerca un prodotto lontano da ogni mira di grandezza.

Una mattina… Mi sono alzato…

Come dicevamo anche in fase di anteprima, l’incipit narrativo di questa terza stagione è decisamente debole. O almeno lo è sulle prime fasi. I ragazzi del Professore (Alvaro Morte) sono tutti impegnati a vivere la loro esistenza da sogno, tra alcol, soldi (tanti) e, perché no, amore e tanta felicità. L’idillio, però, è destinato a spezzarsi rapidamente, ma questo ve l’avevamo già accennato. Ciò di cui non vi avevamo ancora parlato è il proseguimento della trama, una trama che non perde mai la sua natura di telenovelas, ma che col passare del tempo riesce a separarsi nettamente dalle prima due stagioni, sfatando così, almeno, lo spettro dell’eccessiva similitudine col passato. Nel corso dei restanti sei episodi, ne abbiamo viste veramente di tutti i colori. Nuovi e vecchi personaggi, cuciono su misura un blocco strutturale tanto “caciarone” quanto funzionante, che rende quasi impossibile aspettare per comprendere dove andrà a parare la serie.

la casa di carta

Un merito importante per lo show, che mantiene intatta quella sorta di costrizione al binge watching che da sempre lo ha contraddistinto, al di là di tutto. Sullo sfondo di un via vai di nuove e vecchie forze e situazioni quasi sempre al limite, si cela una trama tanto semplice quanto complicata. Un nuovo colpo da mettere a segno, un colpo organizzato da un volto noto e amato della serie, col fine di attirare allo scoperto le forze dell’ordine, ree di aver sequestrato e torturato uno dei membri della banda. Soltanto nei due episodi finali, comunque, il nuovo filone narrativo sbandiera con più forza del previsto di poter dire la propria e spiana la strada ad una quarta stagione – peraltro già annunciata ufficialmente – che può, potenzialmente, rivelarsi più interessante del previsto.

Qualitativamente altalenante…

Chi si aspettava una resa complessiva diversa rispetto al passato, almeno per quel che concerne elementi quali la direzione generale, la regia e – soprattutto – sceneggiatura e recitazione, complice il passaggio a Netflix, probabilmente rimarrà molto deluso. Progredendo con la storia, infatti, La casa di carta – terza parte non riesce a raggiungere quelle vette in realtà forse mai cercate, rimanendo saldamente ancorata a quella natura di soap opera che non ha mai abbandonato la produzione originariamente nelle mani dell’emittente spagnola Antena 3 (la stessa di Paso Adelante, per farvi capire) e ideata da Alex Pina. Ciò si evince con forza e ad ogni passaggio, in cui quasi sempre i personaggi si rendono protagonisti di scene al limite della credibilità, che siano dialoghi completamente fuori dalle righe o atteggiamenti improbabili, quasi da macchietta, quella sensazione di star assistendo ad un qualcosa di difficilmente replicabile nella vita reale si fa sentire con forza, in alcuni casi più che in altri.

la casa di carta

Ci sentiamo di annoverare nella lista dei più “improbabili”, certamente, la nuova veste dell’ispettore Raquel Murillo (Itzar Ituno), diventata ora un membro della banda per amore del Professore e che inizia la stagione con l’esclamazione in stile Robocop: “chiamatemi Lisbona”, o, per citarne un’altra, Monica Gatzambide (Ester Acebo), che dopo essersi innamorata – e successivamente sposata – con uno dei rapitori (lei nelle prime stagioni era una degli ostaggi) finisce con l’acquisire l’improbabile, quanto scontato, nome in codice di Stoccolma. Il punto più alto, o forse più basso, di questa direzione eccessivamente scanzonata e vicina alla commedia più che al genere a cui sembrerebbe voler appartenere lo show lo si raggiunge però grazie ad una vecchia gloria, tornata qui sotto una veste ancora una volta definibile ironica, burlesca. Parliamo del buon vecchio Arturo “Arturito” Roman (Enrique Arce), che dà vita ad una sequenza interminabile di gesta ai limiti della comprensione. In generale, comunque, al netto di una qualità produttiva superiore, oggettivamente constatabile, lo show, da questo punto di vista, compie un vero e proprio passo indietro, ma rimane comunque godibile. A patto, ovviamente, di sapere a cosa si va incontro.

Vecchio e nuovo: il risultato è tutto sommato convincente

Se la direzione e la sceneggiatura non sono esattamente delle migliori, lo stesso non si può dire – per fortuna – del casting, ampliato quest’anno da qualche nuova aggiunta, sicuramente di buona qualità. Spicca su tutte l’antagonista principale della serie: l’ispettore Alicia Sierra. La donna (incinta e super cattiva) si mostra come un personaggio tosto, quasi completamente privo di empatia e mosso dall’unico desiderio di portare a casa la vittoria, contro il Professore e la sua banda di ladri. La diabolica figura, interpretata dall’attrice Najwa Nimri Urrutikoetxea, sarà una presenza continua e minacciosa per tutto l’arco delle otto puntate della stagione, rendendosi, alla fine, protagonista di una scena dalla moralità molto dubbia, per dirla così.

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Non vogliamo anticiparvi nulla: sappiate soltanto che la odierete. E tanto. Ottimi sono anche gli innesti tra le fila della banda di rapinatori col volto mascherato da Salvador Dalì. Bogotà (Hovik Keuchkerian), Marsiglia (Luka Peros) e Palermo (Rodrigo de la Serna) sono delle ottime aggiunte al cast e, in particolare quest’ultimo, mostrano una personalità spiccata e sopra le righe, capace di tener testa all’estro e alla spigliatezza sempre eccessiva della bella Tokyo (Ursula Corbero). Col passare degli episodi, gli sceneggiatori cuciono attorno al personaggio di Palermo un forte legame col passato, un passato che si chiama Berlino (Pedro Alonso). L’uomo, infatti, era fortemente legato al compianto fratellastro del Professore e il piano ordito per svaligiare la Banca di Spagna è proprio frutto del lavoro combinato di tutti e tre.

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In conclusione…

La casa di carta – Terza stagione è sicuramente la migliore in termini di produzione e qualità realizzative, ma si piazza un gradino al di sotto delle altre per quel che concerne l’impianto narrativo in generale. La scelta di replicare le stessa gesta del passato (o quasi) si rivela comunque tutto sommato vincente, giacché gli episodi si lasciano guardare senza particolari patemi, fino ad arrivare ad un finale inaspettato e che tutto sommato funziona e spalanca le strade ad una quarta stagione che dovrà, per forza di cose, rispondere a molti punti lasciati in sospeso. Le nuove aggiunte al cast funzionano a dovere, mentre alcuni membri della vecchia guardia qui appaiono nettamente sottotono, sia nella recitazione sia nell’effettivo valore narrativo. Insomma: se avete amato lo stile da soap opera dello show, con tanto di amori, tradimenti, eccessi e personaggi parecchio stereotipati, ma comunque godibile da guardare, non avete difficoltà ad apprezzare anche questa terza stagione. Se cercavate un motivo per riscoprirla, beh, siete nel posto sbagliato.

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