Provata la B.E.T.A di Fallout 76

Siamo usciti dal Vault di Fallout 76 in anteprima

Hands on di Francesco Dovis

Le porte del Vault 76 si sono aperte ancora una volta, mostrando uno scenario distopico dove la bomba atomica ha sfregiato il volto della spensierata America anni ’50. Di quel decennio fatto di tavole calde e rockabilly, bulli e pupe degni di una puntata di Happy Days, rimangono solo delle spoglie distorte da una grottesca smorfia post nucleare.
La premessa di Fallout è ormai rodata, tuttavia questa volta ci troviamo ad affrontare l’avventura in una modalità completamente inedita: quella online. La frontiera si sposta quindi nel selvaggio internet, mettendoci al fianco dei compagni di avventure umani, laddove prima eravamo seguiti dal nostro fedele segugio.

 

Il giocatore tipo di Fallout si trova spaesato non appena sporge il naso fuori dal rifugio 76, abituato com’è a muoversi da solo, in single player e offline. Dinanzi a noi infatti ci sono molte altre persone intente ad armeggiare sul menù del loro nuovo Pip-boy, indecise se mandare a destra e a manca inviti ad altri utenti.
La componente online infatti ha un peso ancora difficile da valutare, in quanto la sopravvivenza nella regione nuclearizzata dell’Appalachia sarà determinata da forme di cooperazione tra giocatori piuttosto variegata e meno scontate di quanto non si immagini.
L’assenza di PNG infatti è il primo elemento a lasciare interdetti. Non ci sono persone con cui parlare o interagire, le missioni si ricevono ascoltando audiodiari o dopo aver visitato nuovi luoghi, pertanto l’utente rischia di sentirsi più solo di Robinson Crusoe sull’isola deserta, qualora non si giochi con altri utenti connessi. Con costoro si può chiaramente fare squadra per compiere le attività più pericolose, come la difesa degli accampamenti o i combattimento con le creature mutate o i nemici, tuttavia esiste un’altra importante funzione: quella del baratto. Chi si avventurerà come noi lungo la mappa, potrà essere una fonte di materiali, con cui intavolare scambi e procurarsi preziosi pezzi di recupero. Qui emerge la seconda grande novità di Fallout 76, ovvero un’impostazione “survival” delle più spinte, dove poco è disponibile come prodotto finito, mentre molto invece va assemblato da zero, reperendo prima i singoli pezzi.

Cucinarsi un pasto infatti necessiterà della raccolta di ogni ingrediente, che andranno scaldati e resi commestibili sul fuoco di un falò. Le armi o gli utensili andranno montati sui tavoli da lavoro e qualora non si abbia tutto il materiale, bisognerà smontare gli oggetti inutilizzati e riciclarne le parti per usarle per costruire altro. C’è molta minuzia nel creare una serie di routine da soddisfare per mantenersi in vita, includendo anche problematiche come stanchezza, digiuno e disidratazione, di cui tenere conto. Lo spostamento è quindi netto, da una componente ruolistica (tipica del terzo capitolo), verso una di sopravvivenza che a tratti sembra innestare dentro Fallout tutta una serie di attività e problematiche mutuate da Don’t Starve, il tutto poggiato su di un’infrastruttura online. Il potenziamento si basa sull’equipaggiamento di pochi perk, che migliorano caratteristiche specifiche, legate alle rispettive aree tematiche (forza, resistenza, destrezza, etc.), ma senza la centralità o il sistema di punti legati alle scelte del personaggio del terzo.
Il ritmo e l’azione di gioco però rimane più diluito e lento, proprio per via del numero di mini compiti da svolgere per garantire la sussistenza del proprio personaggio, affievolendo anche la componente sparatutto-centrica del quarto capitolo. E’ comunque possibile affrontare combattimenti, usare armi da taglio e da fuoco, ma nell’economia complessiva, anche questo viene ridimensionato rispetto ai precedenti.
Fallout 76 è quindi un derivato, un esperimento che prende le distanze da qualsiasi altra iterazione della serie e rielabora il modo di viverla in tutti i sensi, in quanto ora integra elementi che sfiorano il simulativo vero e proprio.

Dal punto di vista tecnico bisogna però constatare che non ci sono miglioramenti significativi su console, rispetto al motore grafico di Fallout 4. Le texture spesso hanno un livello di dettaglio sin troppo scarno persino per un titolo che ambisce ad una formula MMO, mentre la frequenza di fotogrammi è molto incostante. A ciò bisogna aggiungere anche la preoccupante presenza di alcuni bug piuttosto clamorosi, da aggiustare con urgenza entro la pubblicazione, che lasciano un pizzico di inquietudine data la loro dimensione (grande) in rapporto all’imminente uscita (vicina). Citando il più clamoroso, una volta superato il filmato iniziale e presi i comandi del protagonista, l’intero comparto sonoro è scomparso nel nulla, lasciando lo schermo privo di suoni al pari di come se avessi silenziato manualmente il televisore. A nulla è valso ricaricare il gioco o provare a cambiare luogo rispetto alla mappa centrale, in quanto l’audio ritornava per qualche secondo, per poi lasciarmi nuovamente. Lasciamo chiaramente alla versione definitiva il compito di fugare ogni dubbio, tuttavia problemi sul lato tecnico così diffusi e macroscopici lasciano qualche perplessità su quanto la resa finale riuscirà ad ovviare tali mancanze.
L’editor per i personaggi è molto dettagliato, forse pure troppo, al punto che avrei fatto volentieri a meno della possibilità di aggiungereacne al protagonista, però il numero di combinazioni è davvero alto e di conseguenza sarà difficile che qualcuno incontri anche solo un sosia.

In definitiva Fallout 76 è un’esperimento che porta la serie in una direzione ancora inedita, inesplorata, mettendo il giocatore in un ruolo di esploratore, al pari di come il suo avatar invece si avventura lungo la regione selvaggia del West Virginia.

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