Shadow of the Tomb Raider: la nostra prova mozzafiato

Quando fuori ci sono 40°C e ti chiudono in una stanza con nove Lara Croft non può andare a finire bene

Hands on di Roberto Turrini

31 luglio 2018, ore 16.00: Milano è un forno. In Corso Como transitano modelle in bikini, mentre sul piazzale della Stazione di Garibaldi FS giovani trapper dai vestiti firmati cuociono uova sui cofani delle vetture lasciate morire al sole. Io arranco, cercando l’ombra in Piazza XXV Aprile… un tempo c’erano degli alberi ma oggi non vanno più di moda e li hanno tolti. L’appuntamento per l’hands on di Shadow of the Tomb Raider è in viale Pasubio 21, nel nuovo palazzo della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli opera di Herzog e De Meuron. Proseguo invece fino al civico successivo, sede degli uffici della Microsoft House, fiero delle impronte lasciate sull’asfalto fuso a eterna memoria del mio passaggio. Il pesante portone a vetri non si è ancora chiuso dietro di me che una bodyguard mi sbarra la strada:

– Lei è?
– Nessuno. Devo andare alla presentazione di Shadow of the Tomb Raider, ma ho…
– Lara Croft è al civico precedente. Sono già là, vada.
– Sì, grazie: ho visto. Devo solo prendere una boccata d’aria condizionata e…
– Non può stare qui. L’aria condizionata c’è anche là: vada.
– Senta, mi cambio solo la maglietta. Guardi…

Apro lo zaino, estraggo una t-shirt uguale identica a quella che già indosso – bianca – e faccio il cambio. Lui mi fissa esterrefatto mentre esco in silenzio, riponendo quella fradicia in un sacchettino impermeabile dentro lo zaino. Percorro i ventri metri che mi separano dall’appuntamento e riesco a entrare fresco, pulito e bello come un ventilatore. Mi accolgono nove cosplayer di Lara Croft, di ogni colore, dimensione e taglia: armate, truccate, arroganti. Tra me e me concludo che, al netto dell’aria condizionata, avrei dovuto portare un terzo cambio: ho ricominciato a sudare.

Shadow of the Tomb Raider
Non dite nulla: non serve…

La prima mezz’ora trascorre così, tra NDA da firmare, colleghi da salutare, succhi di frutta per reintegrare i liquidi persi e loro, protagoniste indirette di un hands on che sarebbe iniziato da lì a poco.

Il cambiamento interiore di Lara è centrale in questo terzo capitolo della serie

I dettagli della presentazione – breve presentazione – di Jason Dozois ed Heat Smith, rispettivamente Narrative Director e Lead Game Designer di Eidos Montréal, li potete trovare su altri lidi. Io sono troppo impegnato con la PR per prendere appunti: mi sgrida perché sto scattando qualche foto che comunque non potrò postare. Gliele mostro: inquadrano una ventina di spettatori, assorti nella descrizione del cambiamento interiore di Lara Croft in questo terzo capitolo della serie; il testo proiettato non si legge, ma comunque niet, nada, “non puoi”. Ovviamente la capisco: lei fa il suo mestiere, io il mio: c’è un secchiello pieno di ghiaccio e birra Corona. Mi alzo, mi servo, batto le mani e al “good game” mi siedo alla prima postazione libera: inforco le cuffie ed è subito Tomb Raider.

La demo parte col botto: una cutscene che lascia intendere quanta attenzione sia stata data, in primis, allo storytelling. Bastano due minuti per desiderare che sia un film da guardare al cinema; un film di quelli belli, dal sapore di un Uncharted messicano, senza starlet dal petto esplosivo e perfettamente truccate nonostante l’azione o il contesto fangoso. Il mio desiderio di “sapere come va a finire” sarà saziato solo il 14 settembre prossimo, ché oggi sto provando qualcosa di ancora imperfetto. Lo capisco nella seconda parte dell’hands on, prettamente platform, quando la telecamera fa un po’ i capricci e il sistema di controllo sott’acqua non risponde come mi aspetterei da un prodotto finito.

La cutscene di apertura lascia intendere quanta attenzione sia stata data, in primis, allo storytelling

Poco importa: l’atmosfera c’è tutta ed è quella con cui inizia I predatori dell’arca perduta (Steven Spielberg, 1981), la prima pellicola sulle avventure di Indiana Jones. Meno accattivante la necessità di saltare da un punto sospeso all’altro, sempre uguali a loro stessi, per arrivare al centro della scena e strappare il tesoro dalla sua sede, senza nemmeno un Satipo pronto a rubarmelo e morire nel tentativo di fuggire… ma voi siete giovani e con tutta probabilità non avete mai visto Harrison Ford soppesare un sacchetto pieno di sabbia per valutarne l’efficacia come contrappeso, quindi il rischio che possa sembrarvi qualcosa di originale è molto alto. La scenografia, però, mi convince “al ciao”, con questa piramide azteca al centro della caverna che… Mi suona il telefono, metto in pausa e rispondo:

– Ohi, dimmi.
– Ho fatto la lavatrice, ma quando torni va stesa perché sto uscendo con i bambini e non faccio in tempo.
– Ok. Non so a che ora torno comunque.
– Ma dove sei adesso?
– Ancora qui a provare il nuovo Shadow of the Tomb Raider.
– Avevo capito che eri uscito per lavoro… non mi avevi detto così?
– Beh, sì… in teoria sto lavorando.
– Ma se ho appena visto un tuo post di Facebook in cui ironizzi su quattro Lara Croft fotografate da dietro e di nascosto!?
– Quindi lo sapevi dov’ero!
– Non cambiare discorso…
– Non sto cambiand…
– Quando torno a casa voglio vedere quel bucato steso, ok?
– Ok. Cia..
– tu tu tu tu tu tu tu tu tu…

Il break è stato utile: mi ha dato modo di vedere che tra le voci del menu, parzialmente oscurato, non c’è quella del photo mode. Chissà se lo inseriranno più avanti… Lì per lì, comunque, non do troppo peso alla cosa, anche perché al buffet hanno appena servito delle piadine dall’aspetto invitante, quindi meglio riprendere il joypad e finire in fretta.

Shadow of the Tomb Raider

Lui è Luca Tremolada: giornalista de Il Sole 24 Ore arrivato quando le Corona erano già belle che andate…

La terza parte della prova è quella action, con approccio stealth in terza persona e scontri a fuoco in copertura. Mi faccio largo in quello che sembra un gigantesco cantiere edilizio localizzato in qualche parte del Sud America con tanto di camion accesi, materiali accatastati, operai al lavoro e guardie armate a proteggere la proprietà. Sullo sfondo una villa che potrebbe benissimo essere quella di Scarface (Brian De Palma, 1983), ma anche qui vale il discorso fatto per Indiana Jones e, insomma: inutile ribadire quanto io sia vecchio, giusto? L’approccio silenzioso mi restituisce un feedback freddino, quasi guidato: arrivo dietro l’avversario, premo un tasto e passo al prossimo. Già diverso quando entra in gioco la ronda con tre PNG separati.

Ultima parte della prova è quella action, con approccio stealth in terza persona e scontri a fuoco in copertura

Prendo il primo, al secondo scocco una freccia nel cranio mentre il terzo… beh: il terzo mi ha visto e inizia la gragnuola di colpi nella mia direzione. Mi nascondo, recupero una delle armi lasciate cadere dal nemico abbattuto in precedenza, focus sul bersaglio e boom: giù anche il terzo. La confusione, però, ha attirato altri scagnozzi e non sono abbastanza veloce da falciarli per tempo: danno l’allarme e sulla scena arriva un elicottero da cui “piovono” soldati d’elite. Muoio. Inevitabile: non conosco ancora la mappa e, diamine, sparano senza soluzione di continuità! Riparto dal check point ma il tutto si ripete in maniera simile, con alcune varianti sul tema date dalle mie differenti scelte in tema di ingaggio. Supero il secondo blocco di avversari, scopro quanto sia importante sapersi riparare per bene e fare meno baccano possibile, poi mi tolgo le cuffie e mi accorgo che siamo rimasti in pochi. Si saranno già mangiati tutte le piadine?

Shadow of the Tomb Raider
“Sud America che stai lì davanti, con le tante tue virtù sulfamidiche…”, Pierangelo Bertoli – 1984.

Quatto quatto mi avvicino al bancone:

– Posso prendere una piadina?
– Certamente, sono qui per lei.
– Grazie, allora ne prendo due.
– Vuole un piattino?
– Uhm, sì. Me la stappa lei?
– Cosa?
– La Corona!
– Sono finite, mi spiace.
– Eh: allora mi dia ‘sto piattino, così almeno non mi cade tutto sul pavimen…
– Troppo tardi.
– Eh. Come per la Corona…
– Già. Non si preoccupi comunque: puliamo noi.

Mentre mangio e chiacchiero con alcuni amici, noto che le nove Lara Croft si stanno cambiando. Non come pensate voi, eh: si stanno togliendo solo armi, zaini, fondine e faretre. Le appoggiano delicatamente su alcune poltrone: la presentazione è finita e possono tornare alle loro normali movenze. La piadina scompare dentro di me – “le piadine”, scusate – e lavo le briciole con un bicchiere di Coca-Cola ghiacciata a ‘mo di idraulico liquido. Alcuni tecnici stanno già smontando le postazioni da gioco, mentre alla chetichella alcuni giornalisti dell’ultima ora recuperano una decina di minuti di “provato” su quelle ancora da spegnere.

Antonio mi ha chiesto due parole su Shadow of the Tomb Raider per gli amici di Gameplay Cafè e mica posso deluderlo, no?

Sarà perché ho lo stomaco pieno, sarà perché ho fatto il callo alle cosplayer oppure perché, più semplicemente, se lo merita, ma esco dalla Microsoft House piuttosto incuriosito di provarlo nella sua versione definitiva. Parlo del gioco, eh: Shadow of the Tomb Raider… ma lo sbalzo di temperatura tra l’interno e l’esterno è di tale portata (almeno +15°C) che mi rifiuto di pensarci. Mi sforzo allora di tornare verso la metropolitana almeno conservando il ricordo del gameplay appena saggiato, anche perché Antonio mi ha chiesto due parole sul titolo Square Enix per gli amici di Gameplay Cafè e mica posso deluderlo, no? Però riappaiono le modelle in bikini, i trapper con le uova all’occhio di bue, la stazione di Garibaldi FS che in lontananza sembra sfumare come in un miraggio dato dal calore che sale dall’asfalto e in mente ho solo una cosa: a casa mi aspetta una lavatrice piena di bucato da stendere.

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