Il primo impatto con BATTLETECH è disarmante e suggestivo: una cutscene drammatica, realizzata senza testo alcuno ma sorretta dalla sbalorditiva colonna sonora del Jon Everist già noto ai più per quelle di Shadowrun: Dragonfall e Hong Kong, che racconta della colonizzazione dello spazio attraverso i secoli fino alla conquista dell’Aurigan Reach, una zona periferica della galassia abbandonata dalle superpotenze militari dopo le Guerre di Successione, da parte della famiglia Arano. Parlerei di pathos senza riserve se non fosse che tutto il contesto deriva dall’omonimo gioco di ruolo degli anni ‘80 e che sono cresciuto a pane e Mechwarrior finché Square non pubblicò il primo Front Mission nel 1995, quindi basterà dire che la prima battaglia l’ho vinta col cuore alla gola e il coltello tra i denti, benedicendo Harebrained Schemes e Jordan Weisman, padre dell’originale gioco da tavolo, per avermi dato la possibilità di tornare a pilotare robot antropomorfi da cinquanta tonnellate aspettando pazientemente il mio turno. Già verso la fine della prima missione, però, qualcosa mi dava da pensare: tra rallentamenti improvvisi e “non ho idea di quanto danno ti infliggerò ma ci provo ugualmente” ho alzato il sopracciglio fin dalla seconda ora di gameplay: che il gioco fosse ben più profondo di quanto non lasciavano intendere le recensioni lette lo scorso aprile? Ma andiamo con ordine e, come faccio di solito: trailer!
Per quanto BATTLETECH sia sul mercato da oltre un anno, dopo il successo della campagna Kickstarter da quasi tre milioni di dollari è pacifico che alcuni di voi possano non sapere quali meccaniche offra, quindi proverò a sintetizzare con un “combattimenti a turno tra mech su mappe 3D con telecamera libera, amministrazione finanziaria del team di mercenari e della nave, missioni secondarie, crescita dei piloti con abilità e perk, assemblaggio e gestione del parco macchine con tanto di bottino e compravendita di pezzi, armi o sistemi ausiliari, un basilare sistema di reputazione senza dimenticare la storia mozzafiato che ci vuole partigiani delle stelle alla (ri)conquista del regno perduto”: sulla carta il paradiso degli appassionati di strategici futuristici.
La narrazione segue le tracce epiche del Dune di Frank Herbert
La narrazione segue le tracce epiche del Dune di Frank Herbert, con un manipolo di eroi che lotta per tornare a occupare il trono usurpato da un traditore e stringhe di dialogo declinate secondo il background del protagonista selezionato in fase di personalizzazione iniziale. La gestione dei mech e del loro equipaggiamento è certosina: quattro classi di combattimento per una quarantina di modelli diversi, armi a corto, medio e lungo raggio, bilanciamento dei pesi e surriscaldamento, munizioni, jet pack… ce n’è davvero per tutti i palati. Lo stesso si può dire per le abilità dei piloti, conquistabili attraverso normali punti esperienza che possono incrementare quattro statistiche che influenzano anche l’efficacia degli attacchi a distanza, la mira, la capacità di subire più colpi critici e via così. Personalmente ho trovato molto soddisfacenti anche le mappe, generate proceduralmente nel caso delle missioni secondarie mentre per quelle principali vengono proposti scenari ben elaborati e dal respiro strategico decisamente più allargato, dove boschi, colline, fiumi e aree urbane hanno un ruolo precipuo nell’assegnare bonus e malus in combattimento. In particolare bisogna tenere sotto controllo l’iniziativa che determina la fase del turno, ce ne sono cinque, in cui un mech entra in azione e i punti evasione, dati dal movimento, dalla posizione e da abilità passive dei piloti che riducono i danni e le percentuali con cui si va a segno.
Le meccaniche fin qui descritte vengono foraggiate dal dio denaro, sempre scarso, guadagnabile tramite le classiche missioni secondarie sulla falsariga del “scorta Tizio fino al rendezvous; elimina tutti gli ostili; proteggi la base”, etc. Ogni incarico ha un suo livello di difficoltà, un salario massimo e un quantitativo di bottino fatto di pezzi o armi recuperati dai nemici abbattuti impostabile durante la negoziazione col cliente. Si tratta insomma di un sistema di gioco complesso, nemmeno paragonabile alla semplicità strategica di un XCOM a caso, fatto di decine di piccole variabili che richiedono dedizione e tempo per essere assimilate e sfruttate a nostro favore, anche perché BATTLETECH è punitivo, specie all’inizio. Può capitare di vincere una missione senza caduti ma rientrare alla base, che poi è l’astronave Argo, con quattro mech su quattro semidistrutti, altrettanti piloti feriti e 45 giorni di gioco senza poter accettare alcun contratto di lavoro, laddove magari le spese fisse finiscono per erodere il capitale accumulato e ci si ritrova a guardare la schermata del game over a causa del default finanziario.
BATTLETECH è un gioco complesso e punitivo, specie all’inizio e se lo si affronta con superficialità
Quello offerto da Harebrained Schemes è un piatto che solo gli hardcore gamer possono gustare fino in fondo anche a causa di alcuni problemi tecnici che a un anno dalla pubblicazione non sono ancora stati del tutto risolti. In primis ci sono i continui cali di frame rate, ingiustificabili alla luce del fatto che la mia configurazione hardware supera di qualche lunghezza quella consigliata e non imputabili nemmeno ad assurdi algoritmi di calcolo dei danni o ai problemi della telecamera con tanto di compenetrazione poligonale che nemmeno in una threesome. Anche la ripetitività degli scontri proposti non aiuta un giocatore che cerca qualcosa di leggero da anteporre a un lungo sonno ristoratore dopo una giornata di lavoro: la noia è dietro l’angolo e la progressione è molto lenta, quindi poco gratificante in un breve termine trascorso magari a gestire un’interfaccia piuttosto spigolosa. La ciliegina sulla torta dei difetti, però, la mette un’intelligenza artificiale incapace di offrire una sfida strategica intelligente se sorvoliamo sul fatto che concentra il fuoco nemico su obiettivi sensibili o già colpiti. Ora, senza pretendere una partita a scacchi contro Kasparov mi aspettavo che BATTLETECH, al netto dei quasi tre milioni di dollari raccolti e della partnership con Paradox Interactive, mi offrisse qualcosa di accattivante in stile Fireaxis… e invece mi sono spesso ritrovato a far fronte a lunghe sessioni di ingaggio frontale, statico, con l’unica variabile rappresentata dal numero di avversari e dalla loro build.
C’è da specificare che il publisher ci ha fornito una chiave per il titolo base, che ho provato con la patch 1.5.1 pubblicata lo scorso marzo, ossia senza l’espansione Flashpoint che ha introdotto importanti novità in merito alla varietà delle missioni, tre mech inediti e un nuovo ambiente tropicale con tanto di spore velenose da sfruttare sul campo di battaglia. Il prossimo giugno uscirà una seconda espansione, anch’essa accompagnata da aggiornamenti al sistema di gioco e bug fixing più o meno rilevanti (lo si scoprirà solo vivendo), che però non stravolgerà le meccaniche proposte lo scorso anno come al contrario ha fatto War of the Chosen con XCOM 2 nel 2017. Volendo comunque tirare le fila di questa lunga recensione bisogna concludere che BATTLETECH è uno strategico eccezionale per gli appassionati che amano perdersi nei menù dell’armeria a confrontare le statistiche e verificarne l’efficacia riversando razzi o raggi laser sui cattivi (che si possono prendere anche a schiaffoni, ora che ci rifletto), ma resta incredibilmente complesso e severo per quell’utenza casual alla ricerca di un titolo diverso dal solito in attesa del nuovo battle royale di turno.
BATTLETECH è uno strategico eccezionale per gli appassionati che amano perdersi nei menù dell’armeria a confrontare le statistiche
Personalmente me ne sono innamorato, forse più per la curiosità di capirne gli ingranaggi nascosti che per l’emozione regalata dalla battaglia, quindi mi sento di consigliarne l’acquisto senza troppi patemi d’animo a chi, come me, detesta gli RTS ma gli invidia le mappe. Un’ultima nota sulla modalità carriera, introdotta dopo l’uscita, che permette di giocare senza una storia di sottofondo. Si tratta invero di una feature piuttosto interessante che concede all’utente la facoltà di settare i parametri della partita a suo piacimento, ad esempio intervenendo sulla frequenza con cui si incontreranno mech avanzati o la quantità di salvataggi, passando per la difficoltà degli scontri e la generosità del sistema in termini di rottami recuperati. A conti fatti, sempre ammesso che si venga catturati dalla ruvida complessità di BATTLETECH, la modalità carriera si trasforma in un end game in cui sperimentare soluzioni nuove e testare sul campo combinazioni che nella campagna principale da sessanta ore buone non sono state provate. Nel caso non si volesse ricominciare tutto da capo si potrebbe anche fare affidamento sullo skirmish, in solitaria o multiplayer, ma senza il brivido dato da un bilancio economico negativo che pesa sulla testa del giocatore come una spada di Damocle pronta ad azzerare tutti i progressi non mi azzarderei a definirla una valida alternativa alla campagna. Ora vi lascio in compagnia dei box e del voto che avete sicuramente letto: ho già scritto troppo e poi Santicchia mi sgrida.
Ambienti tridimensionali dettagliati, anche se le location delle missioni secondarie generate proceduralmente non si possono paragonare alla complessità di quelle della campagna principale. I mech sono splendidi ma danno il meglio di loro in officina. Meno accattivanti gli effetti di luce e le esplosioni, con un sistema di gestione delle ombre poco memorabile. Nel complesso, però, da vedere è davvero bellino.
Il voto vuole evidenziare la straordinaria capacità di Jon Everist, il compositore già autore delle colonne sonore di Shadowrun: Dragonfall e Hong Kong, di esaltare le fasi narrative. Ogni numero è soggettivo, ma la recensione la sto scrivendo io quindi quel 90 significa: avevo la pelle d'oca.
Ruvido e punitivo se non lo si affronta con la calma di chi non ha nulla da perdere, BATTLETECH è un titolo controverso e lento nella progressione: ne ho parlato dettagliatamente nella recensione e vi rimando a quella. Ci sono alcune sbavature tecniche che gli impediscono di eccellere, ma la struttura di gioco nel suo complesso è maestosa e curata in ogni particolare... forse anche troppo.
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Non sembra davvero niente male!
È un gioco imperfetto, ma molto intrigante e profondo (tempo da dedicargli permettendo).
Bella recensione. E’ un genere che a me piace un sacco, ben di più degli RTS; mi spiace solo non ci sia una conversione console. Davvero un peccato
Amo la tua pic.
Thanks 😀 miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Paradox ha portato su console perfino Stellaris, porterà anche questo imho.