Tenet, la multirecensione della redazione

Abbiamo visto il nuovo spy thriller di Christopher Nolan, e con questa multirecensione di Tenet a sei mani cerchiamo di farvi capire cosa ne pensiamo.

Recensione di Simone Di Gregorio

Visto il ritorno nelle sale dopo qualcosa come cinque lunghi mesi, l’arrivo di Tenet ha un’importanza centrale nel riavvio di tutto quell’universo che gira intorno al cinema tutto. Gli occhi di tutte le distribuzioni saranno puntati ai risultati al botteghino del film, e l’affluenza complessiva potrebbe davvero determinare il destino a breve/medio termine di molte delle prossime uscite; è un momento di svolta cruciale di cui il blockbuster di Warner Bros. diretto da Christopher Nolan si prende piena responsabilità, con una certa audacia.

Audacia che d’altronde si incontra anche in Tenet stesso, che è senza il minimo dubbio il più importante sforzo produttivo mai portato avanti dal regista, ed è tutto dire: l’ultimo parto del cineasta britannico è infatti un film estremamente compiaciuto nel proprio soggetto e in generale in quella idea di cinema che traspare per intero dalla filmografia nolaniana. Non a caso è molto probabile che se non avete amato Nolan nei suoi lavori precedenti, Tenet sarà qualcosa di complesso da digerire, essendo la estrema summa di tutte le esperienze accumulate in più di vent’anni.

A partire da questo, fin da quando ho visto il film per la proiezione stampa un giorno prima dell’arrivo in sala, sapevo per certo che Tenet sarebbe stata un’opera divisiva, perché nasce imperfetta intenzionalmente, pur avendo per me un’idea molto chiara e a fuoco di quello che vuole essere. Così ho pensato che avesse senso scrivere una multirecensione, prendendomi anche il tempo di vedere il film un’altra volta e ragionarci con calma. Con me in questo pezzo nel delineare le loro opinioni ci saranno quindi Leonardo, montatore professionista che collabora regolarmente con la sezione cinema e serie TV del sito, e Giacomo, che invece è un ospite a tutti gli effetti.

Senza troppi indugi, partiamo con le nostre tre recensioni (relativamente) ridotte, ma prima vi ricordo che Tenet è al cinema da 26 di agosto, e decidere di supportarlo ha una doppia importanza visto il momento che viviamo.

 

Simone Di Gregorio

Sacrificare il superfluo e creare un’esperienza che sia spettacolo puro viene con sacrifici per quanto riguarda consistenza ed equilibrio dell’intreccio e dei personaggi

Come ho anticipato prima nell’introduzione, Tenet è a mani basse il film più ambizioso mai diretto da Christopher Nolan, un lavoro che si nutre e poggia sulla sua immensa pretesa produttiva e il cui script nasce solo ed esclusivamente per alimentare la magnificenza del suo soggetto. Tuttavia, sacrificare tutto il superfluo e creare un’esperienza che sia spettacolo puro e fluido, senza distrazioni al di fuori dei meccanismi dello spettacolo stesso, viene con sacrifici per quanto riguarda consistenza ed equilibrio dell’intreccio e dei personaggi: è una scelta legittima attraverso la cui lente credo vadano visti per intero i 150 minuti di Tenet.

Per iniziare, Tenet recupera tanti degli elementi di Inception, Interstellar e The Prestige, ma svuota quasi completamente l’elemento emozionale e si disinteressa alla costruzione psicologica, diventando più simile dal mio punto di vista all’ottica più fredda e tecnica di un Memento, pure per complessità della sceneggiatura degna di un maniacale architetto nei suoi meccanismi (anche se nel film del 2000 quella complessità passava soprattutto per il montaggio, non per l’immaginario come in Tenet).

Senza il supporto in scrittura del fratello, Nolan preferisce tirare via personaggi, situazioni e contesti, riducendoli a semplici pretesti, aiutato da un montaggio indiavolato che insieme alla colonna sonora di Ludwig Göransson non lascia allo spettatore la possibilità di fermarsi eccessivamente a pensare. Il cattivo (Kenneth Branagh) è imbarazzante e talmente macchietta da raggiungere livelli di stereotipazione che toccano il comico; il personaggio femminile (Elizabeth Debicki, la vedremo come Diana in The Crown) che fa un po’ la Bond Girl della situazione è la damigella in pericolo passiva fino alle ultime battute, dove trova una sua dimensione, seppur maldestra;  i personaggi secondari sono appena accennati, il tanto che basta per essere strumentali al proseguire del racconto, come semplici pedine monodimensionali. Il protagonista si chiama poi Il Protagonista: può esistere una più chiara dichiarazione di intenti di così?

Tenet Gallery

Tenet è a fronte di tutto questo un grande gioco compiaciuto, è un giro sulle montagne russe fondato su passaggi logici talvolta più che trascurati, è la meraviglia di una splendida visione di regia – nel senso più ampio possibile – che regala eccitazione dall’inizio alla fine, complice il carisma immenso dell’alchimia di due grandi interpreti come Robert Pattinson (smettetela di assillarlo con Twilight) e John David Washington (lo ricorderete da Blackkklansman di Spike Lee). La presenza scenica di entrambi ha dell’esemplare e sembrano nati per immergersi in un intreccio di spionaggio, rimanendo credibili dall’inizio alla fine, seppure non si voglia mai creare più di tanto un legame di empatia con i loro personaggi, o se per questo approfondirli.

Persino i tanto discussi spiegoni à la Nolan sono abbastanza limitati, per quanto presenti. Davvero, Tenet preme sull’acceleratore e non toglie il piede dal pedale nemmeno a costo di bruciare come un treno in fiamme, e va bene così.

L’azione così ambiziosa e così ben diretta è infatti la vittoria più clamorosa di queste densissime due ore e mezza

Va bene così perché è la reificazione più pura di uno spettacolo di illusionismo cinematografico estremamente complesso e cerebrale, che eleva alla potenza di due l’ossessione per il tempo di Nolan riassumendo la sua filmografia e dando la possibilità di creare quello che è a tutti gli effetti un capolavoro d’azione, sfruttando la sua natura spy thriller semplicemente per mantenere alto il ritmo anche nei momenti di transizione. L’azione così ambiziosa e così ben diretta è infatti la vittoria più clamorosa di queste densissime due ore e mezza, mai così elaborata e sorprendente per Nolan, nemmeno nei momenti topici di Inception, in un climax che parte da una incredibile sequenza di apertura ad una progressiva apertura verso i meccanismi di inversione temporale.

Il risultato tocca vette di follia per quello che deve essere stato l’impegno produttivo di risorse, pianificazione degli effetti speciali (poco è lasciato agli effetti visivi) e coreografia (una determinata scena non capisco ancora come sia stata portata avanti), in un crescente effetto wow con picchi da totale tilt cerebrale. Di nuovo, il lavoro sul sonoro è parte integrante del successo della messa in scena della preponderante anima action del film, e di questo potete rendervene conto soprattutto nell’utilizzo che viene fatto della colonna sonora nell’ultima sequenza prima dell’epilogo, in cui Tenet passa dall’essere uno spy movie dal ritmo ossessivo ad un allucinante war movie, in fluidità.

Tenet Oslo Opera

Per concludere, Tenet ha due grandissimi limiti al di là di eccellenze per cui merita comunque di essere assolutamente visto, soprattutto al cinema, vista la sua portata. Entrambi questi limiti vengono fuori dalla sua sceneggiatura, su cui Nolan chiaramente qui non ha puntato (o su cui non è riuscito alla fine a puntare), ma su cui specie ad una seconda visione è impossibile non soffermarsi.

Il primo problema per alcuni – non per me, che mi sono goduto l’eccitazione dell’azione con consapevolezza – sarà ed è il totale disinteresse verso una costruzione drammatica, cosa che quindi porta a creare una sorta di distacco tra noi spettatori e quanto accade a schermo, non essendoci empatia o contatto con le situazioni in cui si trovano i personaggi e con i personaggi stessi, che non sono approfonditi o sono scritti male (vedasi il villain Sator, che è anche interpretato in overacting da Branagh in alcune scene).

Il secondo problema sta nell’estrema complessità dell’intreccio (servono un paio di visioni per venirne a capo totalmente), qui tutto votato all’adrenalina. Specie riflettendoci a posteriori, chiaramente la narrazione è alla base in realtà più semplice di quanto sembri ed è in realtà complicata a dismisura artificialmente, proprio per arrivare alla realizzazione di quelle sontuose idee visive. Immagino – come già ho visto online – tante persone tramortite all’uscita dalla sala, tanto da non riuscire a metabolizzare il film per quello che vuole essere e per quello per cui vale.

In definitiva, è tutto in funzione delle prospettive con cui andrete a vedere (o con cui avete visto) l’ultimo grande spettacolo di Nolan. Se vi aspettavate un film d’azione con forti elementi di spionaggio come nel mio caso, sarete più che soddisfatti, complice una regia magnifica che supera qualsiasi produzione passata del cineasta britannico nel corso di due decenni di carriera. Se vi aspettavate uno spy movie con personaggi di ogni fazione ben sviluppati, ritmo più controllato, pretesti meno evidenti, momenti introspettivi e passaggi meno tirati via, forse avete sbagliato film.

Tenet Branagh

Leonardo Alberto Moschetta

Tenet è il James Bond di Christopher Nolan. Non è un mistero che l’acclamato cineasta britannico culli da tempo il desiderio di dirigere un film sulle gesta dell’agente segreto di Sua Maestà. Alla luce di quanto prodotto con Tenet, forse è meglio che questo non avvenga mai.

Tenet è brillante dal punto di vista visivo, con scene d’azione figlie di un soggetto che sembra creato appositamente per supportarle, e purtroppo non il contrario.

Tenet è un film brillante dal punto di vista visivo, con scene d’azione originalissime figlie di un soggetto che sembra creato appositamente per supportarle (e, ahimè, non il contrario). Non si parla di viaggi del tempo in senso tradizionale, ma di inversione temporale: ogni oggetto o individuo può subire un’inversione della propria entropia che gli permette di muoversi temporalmente al contrario all’interno di un mondo lineare. Ne derivano scene decisamente surreali dove lo scontro tra “dritti” e “invertiti” (passatemi i termini) confluisce in un’intricata danza che lascia spesso a bocca aperta.

Peccato che la sceneggiatura finisca per appesantire di inutili elucubrazioni mentali quello che sarebbe potuto essere un ottimo e onesto action movie. C’è tanto, troppo dialogo in Tenet. Una verbosità che finisce per annoiare e confondere più delle immagini stesse in un film che, paradossalmente, spiega allo spettatore meno che in altre pellicole di Nolan ma che, a maggior ragione, risulta vacuo.

Perché in fin dei conti il plot di Tenet è estremamente semplice, una volta capito il meccanismo, ma annega sotto il manto di una complessità fasulla che finisce per infastidire lo spettatore sottolineando, al contempo, tutte le incongruenze di una scrittura non troppo attenta.

Una scrittura che, peraltro, si dimentica quasi totalmente di caratterizzare i personaggi. Al netto delle davvero buone interpretazioni di John David Washington e di Robert Pattinson (attore dal talento cristallino), ogni personaggio è poco più di una rappresentazione estetica, un cartonato bidimensionale con cui empatizzare è sostanzialmente impossibile.

L’apice di questa scrittura anaffettiva lo si raggiunge con il personaggio di Kat (Elizabeth Debicki), moglie del cattivo di turno, un personaggio femminile totalmente in balia degli eventi e del maschio, che finisce per infastidire con la sua inettitudine e avvalorare la storica tesi di un Nolan misogino.

Nota particolarmente dolente il Sator interpretato da Kenneth Branagh, un villain stereotipato come pochi e mosso da motivazioni sostanzialmente inesistenti, a cui spetta l’ingrato compito di pronunciare delle linee di dialogo al limite del cringe.

Tenet Pattinson Washington

Nel corso dei suoi circa 150 minuti Tenet mantiene un ritmo serratissimo che non lascia allo spettatore il tempo ti pensare, di assimilare il cospicuo numero di informazioni (spesso superflue) né di empatizzare con il suo mondo e i suoi personaggi (non lascia nemmeno il tempo di sorridere su un paio di battutine divertenti).

Non si fa in tempo ad ascoltare un dialogo che si è già da un’altra parte, in un altro luogo, in un altro dialogo senza pause in cui gli attori sembrano “sparare” le battute come proiettili, senza concedersi un piano d’ascolto, un momento di silenzio espressivo, nulla di nulla.

Una scelta che finisce per sfinire lo spettatore, anche a causa della presenza costante e invadente della colonna sonora di Ludwig Goransson, valida nell’accompagnare le scene d’azione ma decisamente fastidiosa nelle parti dialogate.

Il problema principale di Tenet, in sintesi, è che non esiste il pathos. Mai per un momento durante la visione ho provato interesse per le sorti dei protagonisti o del loro mondo, annoiandomi a più riprese.

Ognuno ha la sua idea di cinema e sicuramente qualcuno apprezzerà l’approccio celebrale e algido di questo Tenet. Personalmente, però, ritengo che il cinema debba essere più di una fredda showreel tecnica.

Tenet Plan Plane

 

Giacomo Bornino

Se il solo parlare di Tenet è già di per sé un’impresa, farne un’analisi critica è di certo un compito per pochi eletti che scarico senza vergogna ai miei esperti colleghi. Ah, le gioie delle multirecensioni! Sì, sì, lo so che così è un po’ come barare da vigliacchi, ma tant’è, e poi, in tutta onestà, di quei 150 minuti mi preme raccontarvi una e una sola cosa: l’emozione.

Perché tornare in sala con l’ultima fatica di Nolan è stato prima di tutto questo: un vortice travolgente di emozioni alimentato dalla magnificenza audiovisiva cesellata dal regista. Tenet è infatti l’esasperazione della simbiosi tra la cinematografia nolaniana e il Cinema e mai come oggi, forse, questo rapporto risulta vitale per la sopravvivenza di entrambi.

Che siano le martellanti note della colonna sonora pompate nelle casse o le insane coreografie di un combattimento “invertito”, tutti gli elementi del film trovano la loro dimensione naturale in sala, dalla quale ci vengono restituiti nel loro massimo splendore, permettendoci di vivere un’esperienza sensoriale travolgente e totalizzante che sarebbe impossibile esperire altrove con la stessa intensità.

Tenet è una pellicola audace, tanto nella decisione di proporsi al pubblico in un momento così delicato, quanto nel proporre intrecci narrativi labirintici o nel tentare ardite soluzioni visive. Un tentativo simile era già stato fatto con Inception, che però, come scriveva Mereghetti dieci anni fa, “falliva nel creare nuove mitologie, non riuscendo così a imporsi come pietra miliare dell’immaginario cinematografico del nuovo millennio”.

Sarà forse prematuro per stabilirlo con certezza, ma la prima impressione è che questa volta il regista si sia avvicinato ulteriormente al suo obiettivo, firmando almeno un paio di sequenze da antologia: originali e suggestive. Tenet è insomma Nolan al 101%, nel bene e nel male con alcune problematiche storiche, qui riproposte, tra cui spiccano alcuni deboli pretesti narrativi, i personaggi fantoccio e gli snodi arrovellati che comunque si polverizzano di fronte al valore complessivo (e storico) della produzione. Tenet è un film potente che richiede di essere vissuto sulla pelle, un film per ricominciare a sognare immersi anima e corpo nella poltrona della vostra sala di fiducia. Il Grande Cinema è tornato e ha bisogno di voi: fatevi trovare pronti!

 

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