La Storia del PC-Engine

Nella console piccola ci sono i giochi buoni

Hardware di Francesco Dovis

Sebbene dalle nostre parti sia poco conosciuta come console, il PC Engine godette di grande popolarità in Giappone, diventando un sistema importante sia per le sue vendite, che per alcune caratteristiche del suo hardware.
In origine lo studio Hudson Soft cercò di sviluppare una periferica in grado di far girare videogiochi tramite il supporto CD-Rom, un tipo di tecnologia all’avanguardia per la metà anni ’80. La proposta fu inizialmente rivolta a Nintendo, la quale però declinò, per via della sua diffidenza verso questo tipo di supporto, come le numerose cronache sulla genesi della prima PlayStation e la creazione del Nintendo64 hanno confermato. Gli sviluppatori allora si unirono al produttore NEC per portare avanti il progetto in modo autonomo, creando un sistema proprietario con con cui lanciarsi nel mondo delle console.

L’esordio del PC-Engine avvenne nel 1987, a metà tra l’uscita nipponica del Master System e del Mega Drive, tentando l’arrembaggio a Nintendo che già Sega si stava accingendo a fare.
Le sue specifiche tecniche risentono però dell’uscita tardiva, ritrovandosi a metà strada tra gli 8 e i 16 bit, ma in ritardo per la corsa al mercato dei primi e troppo in anticipo per reggere la potenza dei secondi. Il PC-Engine si basa su di un microprocessore a 8 bit per la CPU e un coprocessore grafico a 16 bit, risultando una via di mezzo tra le due generazioni.La maggiore potenza grafica fu un punto cardine della campagna pubblicitaria, sottolineando come nei giochi fosse possibile riprodurre le fattezze di personaggi reali in modo che fossero facilmente riconoscibili e non ridotti ad un grumo di pixel che trovava legittimazione solo nel titolo. Un esempio fu Jackie Chan’s Action Kung Fu. Tuttavia lo stesso supporto delle cartucce Bee e HuCard, per quanto inizialmente all’avanguardia per via delle ridotte dimensioni fisiche, mostrò la sua obsolescenza ben presto, a causa di dimensioni altrettanto ridotte nella capacità di immagazzinare dati. La conversione di R-Type infatti dovette essere divisa su due schede, inserendo in uno pseudo R-Type 2 quelli che erano i livelli finali del primo. 
La struttura del PC-Engine però fu sin da subito studiata come un ecosistema aperto agli aggiornamenti, per ampliarne le specifiche grazie ad una serie di accessori. Il primo, la cui uscita era praticamente scontata, fu il lettore di CD-Rom che era da sempre l’obiettivo principale di Hudson Soft. Aggiungendo il CD-Rom, il PC-Engine diventava praticamente un’altra console, capace di prodezze che per i normali 16 bit erano fantascienza, come l’implementazione di doppiaggio, sequenze animate da cartone animato, colonna sonora di altissima qualità. Ad un certo punto il ruolo di questa periferica fu talmente essenziale per godere a pieno dell’esperienza ludica del PC-Engine, che Nec lo commercializzò di base assieme alla console liscia, creando il “Duo” che includeva entrambe in un’unica soluzione. Questo ci porta ad un’altro aspetto chiave del mercato videoludico degli anni ’80 e ’90, quello caratterizzato da lanci asincroni a seconda dei continenti, anche in differita di anni, dove sia i videogiochi, che le stesse console, potevano avere nomi e caratteristiche differenti in base al paese in cui venivano commercializzati. In occidente infatti il PC-Engine divenne il Turbografx, e la sua mascotte da Pc-Kid fu rinominato Bonk. 
Le revisioni hardware inoltre furono estremamente numerose: addirittura 17, se contiamo quelle ufficiali e quelle su licenza di terze parti. Quest’ultimo dettaglio indica un’altra particolarità ora in disuso, ovvero quella di concedere ad altre case produttrici di hardware (come Sharp o Pioneer) la facoltà di creare versioni alternative di uno specifico sistema, sovente con funzioni di modesta rilevanza. In questo caso persino gli aggiornamenti ufficiali spesso si limitavano comunque ad una semplice restilizzazione della scocca, altre volte implementavano di serie le funzionalità aggiuntive come chip revisionati e più performanti oppure il joypad con sei pulsanti anziché due (la prima versione del PCE si basava infatti su due tasti di serie, al pari di Master System e Nes, mentre negli ultimi anni di vita dovette adeguarsi ai sei divenuti standard sia su Mega Drive che Super Nintendo).
Il tentativo di creare qualcosa di nuovo però fu fatto con il Turbografx Express, che riproduceva lo stesso identico hardware della console base, in chiave portatile.  Sino ad allora i dispositivi portatili come il Game Boy e il Game Gear rappresentavano degli evidenti compromessi rispetto la potenza delle controparti casalinghe. Il Turbografx invece consisteva nello stesso identico hardware del sistema principale, combinato con un piccolo monitor, al punto che le cartucce potevano essere passate da casa alla portatile come fossero la stessa cosa. La console però ebbe una scarsa diffusione, non solo per la poca promozione e distribuzione che affliggeva Nec al di fuori del Giappone, ma anche per il suo costo decisamente esoso e l’alto consumo di batterie, tale da valergli il soprannome di “Rolls Royce delle console portatili”, titolo che per quanto lusinghiero delle sue prestazioni, ne sanciva sin da subito l’esclusività in termini economici.

Le vendite del PC-Engine in patria furono comunque notevoli e per diverso tempo superò persino la diffusione del Nintendo 8 bit, arrivando anche a competere per un periodo con Mega Drive e Super Nintendo. Meritò di ciò fu non solo la presenza della periferica CD-Rom, che venne sfruttata in modo centrale nella produzione software, finendo per diventare inseparabile e non venduta semplicemente in bundle, ma anche dell’espansione di memoria che portava la Ram a due mega complessivi, aprendo le porte a conversioni altrimenti impensabili, permettendo alle software house di terze parti di creare adattamenti dei loro giochi più popolari del momento anche per PC-Engine. La console di Nec fu quindi un ecosistema hardware scalabile, capace di reggere anche titoli che andavano ben oltre le sue specifiche tecniche, diventando la patria di adattamenti talmente buoni da risultare in proporzione persino più riusciti di quelli studiati per sistemi che, di base, vantavano capacità maggiori (come appunto Mega Drive e Super Nintendo).
In modo simile a come avvenne con il Neo Geo, il PC-Engine si specializzò nell’ospitare uno specifico tipo di giochi, diventandone quindi la piattaforma elettiva per chiunque amasse quel genere videoludico. Se l’AES di SNK era la scelta preferenziale per gli amanti dei picchiaduro, quella di NEC invece rappresentava un imperativo categorico per i giocatori di sparatutto (intesi come quelli a scorrimento orizzontale o verticale, gli shoot-em-up indicati sotto l’acronimo di Shmup).  
La distribuzione estremamente frammentata però ne limitò la capillarità al di fuori del paese del Sol Levante e di conseguenza anche molti titoli restano preclusi da una traduzione occidentale. La stessa presenza di Nec in Europa era a dir poco incostante, in quanto la sua creatura non ebbe mai un lancio ufficiale per tutto il continente, ma fu distribuita in modo diverso in ciascun paese, se non addirittura non distribuita affatto.
La sua posizione in Inghilterra fu piuttosto buona, così come una nicchia riuscì a ritagliarsela in Francia e Spagna, tuttavia per i giocatori italiani restava l’unica opzione di farlo arrivare a prezzo maggiorato tramite l’importazione. Dalle nostre parti si trattò quindi di una chicca per giocatori hardcore, una specie di chimera esibita da alcuni negozi e comprata da una ristretta cerchia di appassionati, i quali però venivano ricompensati da un parco titoli di elevata qualità.
La forza del PC-Engine fu infatti quella di reggere su di un mercato in transizione, dimostrandosi capace di competere con i giganti grazie alla sua struttura hardware aperta, che le consentì di adeguarsi ai salti tecnologici che le erano preclusi al momento del lancio per motivi tecnici o economici. Il suo hardware particolarmente versatile e performante la rese un’alternativa ghiotta sia per chi voleva assaggiare in anticipo la potenza dei 16 bit quando gli 8 erano ancora lo standard, come per chi, qualche anno dopo, già sognava ciò che il supporto CD-Rom avrebbe permesso di realizzare nel mondo dei videogiochi. Tra costoro ci fu anche il rapper Kanye West, il quale in un’intervista disse di voler dedicare un album proprio a quella che era stata la sua console preferita da ragazzino, pianificando il suo disco del 2018 proprio con il nome di “Turbografx 16”. Successivamente il titolo venne cambiato in “YE” a causa delle pressioni della casa discografica, tuttavia l’apprezzamento del cantante fu un omaggio inatteso. I diritti del PC-Engine passarono a Konami quando questa rilevò le quote di maggioranza della Hudson Soft nei primi anni 2000. Successivamente nel 2012 la fusione tra le due divenne definitiva, sancendo la fine della casa che più di tutte aveva contribuito al catalogo di questo sistema con un mirabile numero di esclusive. Contando che parecchi giochi importanti furono anche firmati da Konami stessa, questa acquisizione in un certo senso ha convogliato i diritti di gran parte del parco titoli nella stessa software house, facilitando il lavoro di compilazione del catalogo di quello che sarà il venturo PC-Engine mini, il quale si presenterà in tre versioni differenti (giapponese, americana ed europea, ciascuna dotata di scocca e nome diverso) e con ben cinquanta giochi.
PC Engine Coregrafx mini
 
  • Specifiche tecniche
  • Custom 8bit CPU: HuC6280 (7.16MHz)
  • Processore Video: HuC6270
  • Processore Colri: HuC6260
  • Tavolozza colori: 512
  • Colori Su Schermo: 512 (256 per gli sprites, 256 per i fondali)
  • Risoluzione 256×216
  • Sonoro: 6 canali stereo (5-bit sampling)
  • Gestione di 64 sprites alla volta (16 colori e 32×64 grandezza massima.)
  • Ram: 8 Kbyte (TurboDuo = 32 Kbyte)
  • Video Ram: 64Kbyte ” 512 Kbit”
  • Dimensione Cartucce : 256Kbit – 20 Megabit Max. (Street Fighter 2) Normalmente 8 Mbits
  • Velocità di lettura CD per Turbo CD / TurboDuo : 1x
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