L’arte di The Legend of Zelda: una storia di creatività – Parte II

L'epoca della sperimentazione

ArtCafé di Emanuele Vanossi

Eccoci al secondo episodio del viaggio nella storia dello stile artistico di The Legend of Zelda. Nella parte precedente siamo giunti fino a Minish Cap del 2004 esplorando prima l’era della Pixel Art, poi i primitivi esempi dell’era 3D su Nintendo 64 ed infine la vera rivoluzione del livello artistico del franchise con The Wind Waker. Nel caso non aveste letto il primo articolo, vi consigliamo di farlo qui. Ora è tempo di ripartire con il lungo viaggio che ci porterà dal 2006 fino ad oggi.

 

Twilight Princess (2006) e Twilight Princess HD (2016)

Nuova console, nuovo stile artistico. Nonostante Twilight Princess sia di fatto un gioco Gamecube, parte della sua fortuna è stata fatta su Wii, la piattaforme dal target più ampio che ha ospitato controintuitivamente lo Zelda più serioso e forse anche divisivo. Nintendo non ha mai saputo sedersi sugli allori con la serie e con Twilight Princess ha deciso di giocarsi la carta Epic Fantasy sia nella narrazione che nello stile artistico. Abbandonato il cel-shading, ecco quindi il ritorno ad un rendering realistico a valorizzare una modellazione per la prima volta ben poco stilizzata, ma il più possibile fedele al reale. Non molti ricordano l’impatto della potenza grafica di Twilight Princess: uscito praticamente in concomitanza con le prime console dell’era HD, il gioco Nintendo, se paragonato ai titoli PlayStation 2 ancora prevalente sul mercato, era una meraviglia tecnica. Effettistica, modellazione e texture di ottimo livello sono riuscite a graziare un titolo il cui stile artistico è forse meno peculiare di quello di altri esempi della serie, ma è certamente ben riuscito. Questo impianto artistico più adulto e maturo nelle intenzioni ha però il difetto di cozzare lievemente con il cuore della serie Zelda: un racconto fantasy in cui un bizzarro Robin Hood dal lunghissimo cappello finisce per compiere acrobazie in fluttuanti città o gare di snowboard con un gigantesco Yeti. Insomma, Twilight Princess è forse l’unico titolo della serie a presentare una lieve frizione tra stile artistico, narrativa e gameplay, ma questo non ne compromette le comunque indimenticabili qualità.

È onere di Twilight Princess quello di consegnarci il Link più arrabbiato e serioso che si sia mai visto. La fisionomia facciale torna a somigliare a quella spigolosa di Ocarina of Time mentre il vestiario acquista una fioritura di dettagli e complessità forse superflua. I colori si spengono ed i contrasti subiscono una generale riduzione alla ricerca di uno stile più naturale. Delle tante meraviglie artistiche che Twilight Princess ha saputo proporci, il design del protagonista è forse la cosa meno esaltante; più banale ed emozionalmente asciutto, il Link del gioco sembra figlio di un lavoro di fanart solamente buona qualità.

 

Da non trascurare è inoltre la versione HD del gioco, realizzata da Tantalus e pubblicata nel 2016. Al contrario di The Wind Waker HD, Twilight Princess HD è una fedelissima versione rimasterizzata in alta risoluzione con texture migliorate, qualche effetto di luce potenziato e poco più, in totale rispetto del lavoro degli artisti del titolo originale.

 

Phantom Hourglass (2007) e Spirit Tracks (2009)

Su Nintendo DS la serie Zelda è arrivata con due avventure davvero peculiari: dal sistema di controllo alla navigazione del mondo di gioco, Phantom Hourglass e Spirit Tracks sono due giochi che a causa delle loro caratteristiche sarà difficile rivedere altrove (al di la del rilascio sulla Virtual Console di Wii U). Phantom Hourglass è nato essenzialmente come un seguito di The Wind Waker dal quale recupera numerose idee artistiche. Le inferiori capacità tecniche di Nintendo DS rispetto a Gamecube sono chiaramente andate ad influire sul titolo che presenta modelli poligonali veramente basici ed una generale vuotezza degli scenari. Nonostante questo, il gioco riesce a tenere vivo lo spirito di The Wind Waker grazie a delle sezioni marittime ben realizzate, texture soddisfacenti ed animazioni di qualità altissima. La riduzione dello stile cel-shaded su DS si può quindi sostanzialmente considerare riuscita. Spirit Tracks percorre la stessa identica strada del predecessore, arricchendo però il dettaglio degli scenari e l’effettistica, specialmente nelle sezioni in treno ancora piuttosto piacevoli da osservare. Una nota di merito per entrambi i titoli: interfaccia e menù di gioco sono studiati in maniera eccelsa, sia nell’aspetto grafico che nella facilità d’uso, andando ad esaltare il particolare sistema di controllo.

Continua la serie di titoli che riciclano lo stile artistico di The Wind Waker. Questa volta, a differenza di Minish Cap, Phantom Hourglass e Spirit Tracks propongono in gioco un Link estremamente semplificato ma stilisticamente fedele a quello degli artwork. Delle lievi variazioni sono comunque avvenute: l’estrema linea nera di contorno di The Wind Waker è qui molto più lieve e di colore marrone scuro, come fosse il tratto di un pastello invece che di un pennello intinto d’inchiostro.

 

Skyward Sword (2011)

Dopo due titoli della serie principale nati con la consapevolezza del voler osare, Skyward Sword è invece figlio della necessità di mediare tra due stili artistici lontani tra loro e apparentemente inconciliabili. La cosmesi di Skyward Sword è essenzialmente una somma della maturità di Twilight Princess con la scanzonatezza di The Wind Waker; dal primo vengono ereditate la modellazione poligonale dai tratti e proporzioni poco stilizzati, stile di rendering e l’illuminazione di stampo realistico; dal secondo invece vengono recuperate la palette colori luminosa, ricca e viva e le animazioni più giocose, esagerate ed espressive. Nintendo tuttavia non è solita accontentarsi ed infatti in Skyward Sword ha giocato l’ennesima carte vincente: lo stile di disegno delle texture. Acquarellate, pennellate e splendidamente dettagliate, tutte le superfici del gioco sembrano derivate da un quadro impressionista o puntinista della Francia di fine ‘800 e contribuiscono a donare al titolo un look pittoresco e carico di carisma. Il gioco è inoltre arricchito da alcune delle migliori ambientazioni mai viste della serie, coma la ormai classica Antica Cisterna. In termini di aderenza ai canoni della serie Skyward Sword è stato un episodio piuttosto atipico, capace di introdurre moltissime novità dalle fonti di ispirazione più varie, come ad esempio l’intera Skyloft ed il mondo al di sopra delle nuvole sorvolato dai giganteschi Loftwing. Sebbene al tempo non potessimo saperlo, Skyward Sword ha rappresentato anche il primo esempio dello stile artistico che ha poi caratterizzato, nonostante le importanti variazioni, anche Breath of the Wild.

Il cambiamento rispetto a Twilight Princess è subito evidente: nonostante Link mantenga fattezze e proporzioni simili, lo stile artistico con cui è reso il disegno è completamente differente. Mantenendo le pennellate acquarellate tipiche delle texture del gioco, il protagonista assume qui un aspetto più onirico e fiabesco. Di grande impatto sono le ombreggiature di colore blu ed azzurro: un richiamo alla maestria ed alla conoscenza cromatica dei maestri impressionisti. Link guadagna così delle tinte più brillanti, sature ed ispirate rispetto a quelle di Twilight Princess con un risultato non solo coerente con il gioco ma anche con le intenzioni pragmatiche di Nintendo.

 

A Link Between Worlds (2013)

Prima di spendere qualsiasi parola sullo stile artistico di A Link Between Worlds, ricordiamo una fattore rilevante: il titolo giapponese del gioco è “The Legend of Zelda: Triforce of Gods 2”. “Triforce of Gods” era il titolo originale di A Link to the Past in Giappone. Quindi, A Link Between Worlds è a tutti gli effetti un seguito diretto di A Link to the Past. Questo spiega moltissime delle scelte di tipo artistico prese durante lo sviluppo del gioco: la palette cromatica non è più ispirata da The Wind Waker (come per i precedenti titoli portatili) ma è liberamente tratta da quella dell’originale SNES con colori meno naturali e più il linea con lo stile retro di molti indie del tempo. La modellazione poligonale assume tratti molto caratteristici, affini dallo stile super-deformed, come a cercare di emulare cosa sarebbe stato idealmente A Link to the Past nelle menti dei suoi creatori del 1991. Le ambientazioni, soprattutto quelle interne, sono ricche di dettagli ed illuminate con grande cura. La camera è posizionata in alto in maniera meno inclinata del solitto, risultando per questo particolarmente adatta al pregevole effetto tridimensionale del gioco su 3DS. A Link Between Worlds ha quindi presentato una nuova strada artistica per la serie, una sorta di proiezione in 3D dell’estetica dell’era dei pixel. Questa sensibilità artistica è quella alla base del remake di Link’s Awakening su Switch, che con A Link Between Worlds condivide moltissime caratteristiche.

Per la prima volta dopo molti anni, gli artwork di Link per i titoli portatili si distaccano dallo stile di The Wind Waker. A Link Between Worlds recupera lo stile di A Link to the Past mescolandolo con quello dell’originale The Legend of Zelda e re-immaginandolo per il pubblico del 2013. L’aspetto rimane infantile, il ciuffo ritorna estremo e le tinte acquisiscono un tono pastello, caldo e familiare nonostante la sua novità. Peculiare è invece lo stile scelto per la versione 2D di Link data dal potere caratteristico del bracciale di Lavio del gioco: in questo caso torna a far capolino The Wind Waker con una svolta più stilizzata e affine ad un geroglifico egizio. Il particolare mix artistico funziona egregiamente, andando a fare da anello di congiunzione tra ere differenti del franchise.

 

Triforce Heroes (2015)

Ennesimo esperimento della serie, questa volta orientato al multiplayer ed alla personalizzazione estetica piuttosto approfondita dei personaggi. Lo stile di Triforce Heroes può essere descritto come una semplificazione di quello di A Link Between Worlds, di cui ricalca la modellazione ed i colori pur proponendo un design dei personaggi lievemente differente. Il gioco rientra in una lunga scia di titoli prodotti da Nintendo su 3DS utilizzando lo stesso engine e con uno stile artistico più o meno consistente – una serie in cui possiamo far rientrare anche Mario & Luigi: Dream Team Bros e diversi titoli Kirby. Proprio per questa caratteristica, probabilmente dovuta ad un progetto con budget contenuto, Triforce Heroes è tra i titoli della serie a risultare meno riusciti in termini artistici.

The Wind Waker si ripresenta con prepotenza negli artwork di Triforce Heroes che curiosamente si distaccano completamente da quelli di A Link Between Worlds. Forse vittime della natura multiplayer a basso costo del gioco, queste versioni di Link si configurano come delle esatte repliche dell’era Phantom Hourglass e Spirit Tracks.

 

Breath of the Wild (2017)

Eccoci finalmente giunti all’elefante nella stanza, il grande capolavoro che nel 2017 ha risollevato la serie – ammesso che ce ne fosse mai stato il bisogno. Breath of the Wild è uno di quei videogiochi che verranno ricordati per decenni, annoverati in ogni classifica e lodati per i pregi indiscutibili. Tra questi, probabilmente l’impatto artistico è stato inizialmente tra i più sottovalutati. Uscito su delle console – Switch e Wii U – chiaramente meno potenti della concorrenza, ma puntando comunque ad un impianto grafico di qualità, Breath of the Wild naviga tra alti e bassi. La caratterizzazione dei personaggi torna ad essere eccezionale; l’effettistica in gioco è di primo livello e le scelte artistiche sono come sempre ineccepibili. Per la prima volta nella sua storia, il gioco stupisce con un’illuminazione ed un ciclo giorno/notte così ben implementati da risultare fin da subito motivo di stupore. Le animazioni hanno compiuto un balzo in avanti: Link si muove con naturalezza nello scenario, anche nelle situazioni più assurde causate dall’incredibile motore fisico di gioco. Breath of the Wild risulta tuttavia leggermente carente di un proprio filo conduttore estetico: tolti i rimandi non troppo velati all’arte dello Studio Ghibli, il titolo si presenta come una sorta di continuazione del compromesso estetico tra maturità e spensieratezza da cui era nato Skyward Sword, di cui tuttavia perde il particolare fattore pittorico. La magia di Breath of the Wild è però nascosta nelle piccolezze: dalle poetiche animazioni della cavalcata, al saltellare degli ingredienti nella padella mentre Link cucina, fino agli emozionanti panorami dove la fauna selvatica si muove ed interagisce naturalmente con l’ambiente. Il primo Zelda costruito specificamente per l’era dell’HD ci stupisce quindi con la sua cura maniacale, ma delicata, per i dettagli.

Con un’epocale svolta per il franchise, Link perde l’iconica tunica dell’Eroe in favore di quella del Campione. Un netto cambiamento testimone delle grandi novità dell’intero titolo. Il disegno si riempie di dettagli dei nuovi strumenti, dalla tavoletta Sheikah alle frecce dei guardiani che chiariscono gli innesti pseudo-tecnologici nel’intera ambientazione e narrativa del gioco. Per la prima volta privo del suo cappello, il design di Link riparte da quello di Skyward Sword introducendo una maggiore stilizzazione delle forme ed uno stile pittorico fatto di campiture pennellate. Curiosamente, questi dettagli non sono presenti nell’immagine finale del gioco: gli artwork del gioco tornano ad allontanarsi parzialmente dal risultato renderizzato, una cosa che non capitava da prima di The Wind Waker in ambito home console. Una scelta di difficile comprensione è legata allo sfondo della key-art (mai presente finora in nessun titolo): delle semplici pennellate che francamente non aiutano il disegno principale che perde chiarezza e leggibilità.

 

Link’s Awakening (2019)

Ultimo arrivato della serie, Link’s Awakening è un capitolo giunto totalmente inaspettato: sviluppato da Grezzo (autore dei remake di Ocarina of Time e Majora’s Mask su 3DS), il gioco ha ricevuto un completo rifacimento dell’impianto grafico. Passati ormai 25 anni dall’originale, Link’s Awakening si presenta su Switch con uno stile artistico assolutamente squisito: partendo dalle solide basi dello stile super-deformed e pupazzoso di A Link Between Worlds, gli artisti hanno ulteriormente potenziato le peculiarità del titolo rendendolo una specie di giocattolo per bambini in movimento – come detto nella ottima recensione di Oscar. Tutte le superfici del gioco sono state ricoperte di texture lucide e brillanti ad enfatizzare la morbidezza della modellazione poligonale di ogni elemento. Il design delle ambientazioni e dei nemici prende estensivamente spunto da quello di A Link Between Worlds, mentre quello dei personaggi è stato variato e reso ancora più stilizzato e caricaturale  L’impianto visuale è inoltre impreziosito da un gradevole e mai eccessivo effetto blur di tilt-shifting tipico della fotografia macro. Questa chicca dona al gioco un look da diorama – come spesso dichiarato da Nintendo stessa – che ricorda moltissimo lo stile dei giocattolini gachapon da portachiavi. Insomma, con Link’s Awakening su Switch Nintendo ha aperto una nuova via con cui potrebbe potenzialmente affrontare il remake di altri capitoli passati della serie. Tuttavia non è certo detto che lo farà: questo stile artistico estremamente peculiare si sposa direttamente con le tematiche e le bizzarrie di Link’s Awakening, uno dei capitoli più sperimentali dell’intera serie.

Tenero ed adorabile, il piccolo Link di Link’s Awakening sembra appena uscito da una macchinetta gachapon giapponese. Gli occhi diventano netti ovali neri, la bocca si riduce ad una singola linea ed è curioso osservare come tali semplificazioni amplifichino la personalità invece che minarla. Le proporzioni del personaggio sono estremamente stilizzate e deformate andando a recuperare in parte il design di A Link Between Worlds ed in parte quello dell’originale The Legend of Zelda per un risultato assolutamente fantastico. La vera magia la fanno però le superfici trattate come fossero vera e plastica lucidata, enfatizzando alla perfezione lo spirito del remake. Inoltre, in un caso praticamente unico nella serie, la key-art di Link ed il suo effettivo modello poligonale in gioco sono esattamente identici.

 

I percorsi di influenza artistica della serie The Legend of Zelda in un grafico che riassume la sua lunga storia. I due percorsi principali hanno due diversi punti di partenza che possono essere fissati nel primo The Legend of Zelda e in Ocarina of Time. Dal grafico si può notare come i titoli dalla maggiore influenza siano stati rispettivamente A Link to the Past e The Wind Waker che sono quelli che presentano più diramazioni.

 

Cosa ci aspetta ora?

Conclusa la lunga storia della serie, facciamo un breve cenno al futuro: il seguito annunciato di Breath of the Wild utilizzerà certamente lo stesso stile artistico dell’originale, magari con qualche svolta dark – un po’ come fece al tempo Majora’s Mask per Ocarina of Time. Nel frattempo la serie potrebbe proseguire su altri binari paralleli, come ad esempio un altro remake dei due Oracle sullo sullo stile di Link’s Awakening, oppure la tanto richiesta versione remastered di Skyward Sword in HD unita ai porting su Switch di The Wind Waker HD e Twilight Princess HD. In termini di stile artistico, il sottoscritto non vede ulteriori diramazioni estetiche in arrivo a breve nonostante Nintendo ci ha sempre abituato a grandi sorprese. In ogni caso, sarebbe difficile volere di più: siamo già contentissimi così.

 

 

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