Demon’s Souls su PS5: ho gridato di gioia in attesa di urlare dal dolore

Demon's Souls ha rappresentato il fulcro del genere "souls-like" con la sua venuta. Ripercorriamo insieme il suo percorso, in attesa della versione PlayStation 5.

Rubrica di Salvatore Cardone

Ho avuto un’epifania sensoriale. Anche intima, direi. E non poteva essere altrimenti. In una giornata in cui il volto della next-gen avrebbe iniziato a delinearsi con maggiore chiarezza e con tutte le potenziali “bombe” in arrivo, avevo già messo in conto di ritrovarmi a scrivere queste parole che, con grande sincerità, non potrebbero esprimere meglio le mie sensazioni attuali.

L’ho rimpianto, l’ho recuperato, l’ho amato alla follia, ho temuto di perderlo per sempre e ora, non di certo a sorpresa ma allo stesso modo meraviglioso, l’ho finalmente ritrovato. Del resto, ammettiamolo che tanto qui siamo tutti amici, il primo amore si fa sempre molta fatica a cancellarlo dalla mente, da che mondo è mondo, per quanto esso possa essere stato breve, fugace.

Mi aspettavo qualcosa di simile, nella mia mente stavo già pregustando l’evenienza, ma qualcosa mi continuava a mettere in guardia da un’eventuale delusione troppo difficile da digerire. E per fortuna, dopo una serata particolare, pesante a livello emotivo, è arrivata la fumata bianca che tanto aspettavo di scrutare in lontananza: Demon’s Souls per PlaySation 5 è realtà, con buona pace di tutti quelli che continuavano a sostenere l’inconsistenza di tale progetto, un qualcosa di destinato a rimanere soltanto una falsa speranza.

Quando parlo di Demon’s Souls, in verità, spesso sono costretto a scontrarmi con l’indifferenza generale di molte persone, che per ragioni più o meno comprensibili hanno mancato l’appuntamento con quella che è a tutti gli effetti una pietra miliare dell’industria. Ed è strano dirlo, poiché il suddetto titolo ha compiuto una sorta di percorso inverso dal punto di vista della risonanza mediatica ma anche, più “semplicemente”, in termini di distribuzione.

demon's souls

Non è un mistero che in molti abbiano iniziato a familiarizzare con Demon’s Souls, a guardarlo con occhi francamente diversi, soltanto dopo l’uscita e la conseguente affermazione definitiva di Dark Souls, il fratello più piccolo ma se vogliamo più figo e fortunato, quello a cui, per capirci, gli va sempre tutto bene e che va al mare mentre voi siete a letto con l’influenza.

Dark Souls, indubbiamente, rappresenta la sublimazione del genere cosiddetto “souls-like”, in tutte le sue sfaccettature ma anche e soprattutto del lavoro di From Software, un lavoro ispirato, autoriale e soprattutto al di fuori da ogni qualsivoglia vincolo e limite. In un’epoca in cui il videogioco ha iniziato ad essere vissuto in maniera troppo semplice dal giocatore, preso eccessivamente per mano dalle case di sviluppo e da una direzione ludica troppo semplificata nel porsi dinnanzi ad un pubblico nella maggioranza dei casi pigro e poco invogliato, la presa di coscienza di From ha rappresentato un vero e proprio “salto della fede”.

Quando penso a come molti videogiochi di quel periodo risultassero facili e complessivamente “guidati” nel loro completamento, mi torna in mente un po’ la mia difficile infanzia. Mia madre aveva il terrore che io potessi farmi male, e mi teneva in una botte di ferro, precludendomi però in tal modo tutte quelle cose che un bambino dovrebbe sempre fare, comprese quelle più dolorose. Avete presente la scena? Ecco, io quando penso a Dark Souls penso ai miei fratelli maggiori, che all’insaputa di mia madre mi hanno regalato un’infanzia più “normale”, facendomi fare cose di cui non conoscevo l’esistenza ma che inconsciamente mi spaventavano alla morte.

Ma il successo di Dark Souls non ha, e lo dicevamo anche prima, connotazioni o radici mistiche e miracolose. È un lavoro minuzioso, ricercato, profondo, il frutto di un lungo percorso lavorativo che, appunto, affonda le sue radici in un passato più o meno remoto. Il passato di Dark Souls si chiama proprio Demon’s Souls e in molti, io compreso, l’hanno ”scoperto” soltanto dopo. Il mio rapporto con Demon’s Souls è, come intuibile, complicato. Del resto, la stessa genesi del prodotto è figlia di un percorso lunghissimo e travagliato, influenzato pesantemente proprio dalla sua stessa natura controversa e splendidamente controcorrente.

Il progetto Demon’s Souls, nella mente di Miyazaki e del suo team si è insidiato ben prima del 2009, anno in cui il titolo ha visto la luce (almeno sul suolo giapponese e negli States) ma ha iniziato a plasmarsi, seppur indirettamente, ben prima, e per “prima” intendiamo almeno una decina di anni. Che sia esplicito o meno, la base di partenza del progetto Demon’s Souls affonda la le sue radici in una precedente IP della software house nipponica, da cui il titolo ha ereditato quei tratti più appariscenti. Il “papà” di Demon’s Souls è un po’ King’s Field, uno dei primi lavori di From che nel lontano 1994, col suo gameplay particolare, uno stile estetico crepuscolare, ed una voglia spropositata di punire il videogiocatore ad ogni singolo errore ha creato un po’ una sorta di “lievito madre”, per usare un’allegoria culinaria cara al sottoscritto, per quel che poi sarebbe diventato l’impasto finale.

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L’avvio del progetto, però, non è esattamente dei migliori. Lo sviluppo del gioco è tortuoso e tutt’altro che semplice, ma è soprattutto l’identità alla base della stessa produzione a rischiare di compromettere tutto il suo percorso produttivo. Demon’s Souls è talmente elitario nel suo tasso di sfida da mettere in difficoltà gli stessi sviluppatori, impossibilitati (o quasi) nel gestire la loro stessa creazione.

Per tali ragioni, il suo stesso futuro inizia a vacillare, almeno fino a che a prenderne il controllo è stato lo stesso Miyazaki, il cui nome, all’epoca, non aveva di certo la stessa risonanza attuale. La “mano” del game designer si avverte subito, ma Sony non è ancora convinta dell’opera, e ne “proibisce” la pubblicazione al di fuori del suolo giapponese, precludendo così a molte persone la possibilità di provare con mano cotanto oggetto misterioso.

L’arrivo sul mercato è dunque più complesso del previsto, anche perché i primi dati del mercato non sono esattamente entusiasmanti e motivano ancora di più la scelta di Sony di non estendere il bacino di vendita della controversa produzione. Ciò ha dato vita ad una diffusione frammentata dello stesso, con conseguente presenza sul mercato di più versioni diverse in base all’area geografica e alla data di pubblicazione. Non è un mistero che nei primi tempi, per poterlo tastare con mano, la strada più facile era quella dell’importazione.

Per noi europei, quando il gioco non era ancora ufficialmente disponibile, la strada più “facile” era quella illustrata poco sopra, possibilmente riuscendo ad accaparrarsi una copia della versione americana (targata Atlus) o comunque evitando quella giapponese, l’unica completamente in lingua originale sia nei testi sia nel doppiaggio. Conosco tante persone che, ancora oggi, custodiscono gelosamente la loro splendida versione “import”, un cimelio ma anche un assaggio di un mercato non ancora pronto per una rivoluzione imminente.

Onestamente parlando, io non ho vissuto direttamente questo momento perché, come vi dicevo in apertura, il mio rapporto con Demon’s Souls è complicato. Partiamo da una fondamentale precisazione: anche io faccio parte della schiera di quelli che l’hanno recuperato soltanto dopo aver “assaggiato” l’ebrezza sensoriale generata da Dark Souls. Ebbene sì, mi sono avvicinato a Demon’s Souls per pura curiosità, non perché lo conoscessi nella sua totalità, ma più che altro per la pura voglia di confrontarlo col suo fratello più giovane e famoso.

Spinto dalla nostalgia di aver lasciato forse troppo presto le landa di Lordran, decisi dunque di volare verso Boletaria, diversi anni dopo aver girato e rigirato la copia del gioco, per poi rimetterla a posto, nei vari negozi di videogiochi che puntualmente visitavo. Ma, come dice anche la voce che narra l’introduzione di Dark Souls, “alla fine venne il fuoco” o, in questo caso, venne il momento di acquistarne una copia e portarla finalmente a casa con me. E il primo impatto, dopo aver creato rapidamente un personaggio (ho poi dovuto ricominciare il gioco), non è stato esattamente dei migliori.

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Avevo sinceramente paura di Demon’s Souls, e ne ho tutt’oggi. Sia ludicamente, sia per quel che rappresenta a livello tematico, l’opera pionieristica del lavoro di From Software mi spaventa, ma allo stesso tempo fa del mio cervello ciò che vuole. E dopo aver giocato ogni singolo “souls-like” disponibile sul mercato, posso affermare con assoluta certezza che sarebbe in grado di mettermi in seria difficoltà ancora oggi poiché Demon’s Souls,  “a differenza” del lavoro successivo di From, trasuda in tutta la sua crudeltà quella voglia irrefrenabile di fare male, di abbandonare il giocatore a sé stesso e al suo eterno dolore.

Ci ha messo pochi minuti per mettere in chiaro le cose. La prima morte coincide col dimezzamento della barra della vita, che già di per sé potrebbe essere una motivazione sufficiente per scappare a gambe levate da Boletaria e dai suoi innumerevoli pericoli. Se si decide di continuare, invece, si abbraccia un mondo spaventosamente ostile, che alterna con una frequenza inarrestabile ogni forma di minaccia che attenta alla vita del nostro sfortunato alter ego, costretto a difendersi da ostilità di ogni sorta.

A differenza di Dark Souls (e dei suoi successivi “figli”), Demon’s Souls risulta ancor più ostico da approcciare, anche sul fronte della semplice progressione. Le mappe “chiuse” ma ricche di passaggi segreti, fondamentali per poter giungere alla fine di quelli che sono degli enormi dungeon, ad esempio, sono una delle differenze più importanti, e ciò incide profondamente sulla concezione stessa che si ha del gioco. È un mondo diverso, ed è un modo diverso di approcciarsi al gioco, che nella sua progressione, boss dopo boss, area dopo area, continua nella sua crudele marcia dolorosa verso i titoli di coda, quegli stessi titoli di coda che oggi, diversi anni dopo l’ultima partita fatta, ricordo a fatica. Ed è un bene. Perché, con una mente così poco a fuoco su alcuni dettagli, rigiocare su PlayStation 5 col figliol prodigo di From Software sarà una missione d’onore, d’amore e di redenzione.

L’evento PlayStation è partito bene, ed ha tenuto un ritmo frenetico sino alla fine. Verso la fine, però, ha deciso di prendersi gioco della mia salute mentale e, con una musica nota e allo stesso tempo quasi dimenticata, ha sbandierato una splendida verità: Demon’s Souls, così ingiustamente passato inosservato, è pronto a prendersi la propria rivincita sul mondo, diventando uno dei titoli di riferimento della neo svelata al mondo PlayStation 5. E lasciatemelo dire: finalmente!

Di recente, ho recuperato il remake di Shadow of the Colussus del 2018, curato dall’arrembante team Bluepoint Games. Ho potuto constatare con mano la loro grande attitudine lavorativa, il che mi fa ben sperare per quello che sarà il “nuovo” Demon’s Souls, affidato proprio alle sapienti mani dello studio in questione.

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Il primo ricordo (in)felice che ho delle notti passate davanti alla mia vecchia e ancora fiammante PlayStation 3, in compagnia del “capo dei capi” di From, riguarda uno dei primissimi boss: il Fiammeggiante. Lo ricordo ancora con profondo terrore, e durante il trailer giurerei di averlo intravisto, in tutto il suo orribile splendore, il che mi ha fornito diversi punti di riflessione. Se è vero che la figura intravista è proprio quella del temibile boss, questo può essere indice dell’entità del restyling compiuto, partendo da un materiale di base già di per sé più che ispirato.

Mi è parso, infatti di scorgere alcuni particolari impossibili da non notare, da non riconoscere, ma anche alcune variazioni, alcune “differenze”, che trattandosi di un trailer potrebbero significare tutto o niente. La realtà è che Demon’s Souls, se proprio volessi trovare un pelo nell’uovo nel suo comparto audiovisivo, risultava forse eccessivamente “anonimo” in alcune aree e in alcuni passaggi, decisamente meno ispirati rispetto, per citarne una, allo spettrale e angosciante sublime terrore della Torre di Latria.

Partendo da ciò e basandomi sulla bravura del team nel lavorare in maniera molto efficace sulla parte tecnica, voglio prendere per buono quanto visto nel trailer, che nella sua fugacità sembra riuscire a trasmettere proprio questo piccolo desiderio, questa sorta di sogno proibito, ossia quello di vedere e rivedere il mondo gotico e dark fantasy di Boletaria sotto una nuova e più performante veste, magari partendo dalle conquiste ottenute sia da Bluepoint Games sai dalla stessa From Software, che con Sekiro e Bloodborne ha dimostrato di sapersi destreggiare in ogni singolo campo, anche uno spaventosamente minato.

Nella sua manciata di minuti, il trailer si è “preoccupato” di fare una panoramica su quelli che sono alcuni dei nemici, insomma, citando dei mostri sacri come il gigantesco Signore delle Tempeste, ora più spaventoso che in passato, e più in generale una lunga sequenza di creature, che sembrano dire “avanti, sei il prossimo”, indicando con forza proprio nella direzione di quello che sarà il nostro alter-ego. Mi ha trasmesso angoscia questa sequenza, ma anche tanto amore. Ed è proprio ciò che mi aspetterei dal team di sviluppo, ossia un lavoro in grado di perfezionare e innovare senza stravolgere. Ciò vorrei si traducesse in un livello di sfida ancora una volta tarato verso l’alto, spietato, ma che non dovrebbe mai “sforare” i limiti dell’ingiustizia o dello sbilanciamento generale.

L’originale Demon’s Souls, ad un occhio meno esperto, sembrava mostrare il fianco ad una simile pecca. E non è del tutto inesatto. Anche io mi sentivo sin troppo triste e abbandonato, frustrato oltre ogni logica in alcuni passaggi, a causa di passaggi in cui il cosiddetto “RNG” sembrava prendere eccessivamente il controllo della situazione. A peggiorare la situazione ci pensava poi un combat system sì splendido, ma oggettivamente lento e macchinoso, soprattutto se paragonato a quanto visto successivamente nascere dalla mente di Miyazaki & soci.

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Un lavoro di restyling e di perfezionamento potrebbe essere dunque svolto proprio sotto questo aspetto, magari iniettando nelle vene del più vecchio dei souls-lìke una ventata d’aria fresca, figlia di un percorso di sviluppo lento e tortuoso. Allo stesso modo qualche modifica potrebbe essere effettuata sull’avanzamento iniziale di Demon’s Souls, uno dei più duri esponenti del genere nelle battute iniziali, capace di scoraggiare anche il più ardito dei giocatori, che ha rappresentato lo starting point di una serie che ha vissuto di continui ritocchi e miglioramenti col passare degli anni. Ricordo ancora la gioia provata nel reperire un particolare item, che di fatto riuscì a svoltarmi la partita, e per questo confido ancora una volta nelle possibilità dell’esplorazione, da sempre uno dei punti di forza del lavoro della software house.

Si potrebbero però sfruttare le nuove tecnologie per “snellire” alcuni passaggi, magari rimuovendo o comunque ridimensionando la meccanica fastidiosissima delle Arcipietre, che costringevano ad uscire completamente da una mappa per entrare in un’altra o magari aggiungere, come accaduto con Dark Souls, degli strumenti di cura “base” (le Estus), che in Demon’s Souls erano soltanto un miraggio.

In un mare di incertezze, spettacolare nella sua difficile identificazione, qualche certezza sembra esserci. Graficamente parlando, entrando nel fastidiosissimo campo dei numeri e dei tecnicismi, il lavoro di Bluepoint Games ha già dimostrato un potenziale enorme, impreziosito dai primi dettagli ufficiali forniti sulle pagine del blog ufficiale PlayStation. “Demon’s Souls 2021” offrirà l’ormai immancabile doppia modalità grafica, una per il frame-rate e una per la risoluzione, per lasciare nelle mani del giocatore l’ardua sentenza.

Non si tratta di una informazione da poco, certo, ma da appassionato e amante del lavoro di From Software, le cose che voglio sentire sono altre. Sarebbe fantastico, ad esempio, provare a implementare un nuovo sistema legato all’online, alle invasioni o alle collaborazioni, ma anche, ritornando al gameplay, cercare di dare ai nemici un nuovo stile d’attacco, una maggiore consapevolezza del loro ruolo nella storia. Di idee in testa, insomma, ora che ho visto l’avverarsi di uno dei miei più grandi sogni da videogiocatore, ne ho fin troppe e sono sicuro che, da qui al giorno in cui il gioco arriverà realmente tra le mie mani, avvierò una lotta intestina contro la mia stessa sanità mentale, pesantemente messa a rischio dopo la serata targata Sony.

Ho temuto di perderlo, Demon’s Souls, perché il suo ciclo vitale su PlayStation 3 si è spento definitivamente, il cui ultimo chiodo sulla bara è stato rappresentato dalla chiusura ufficiale dei server di gioco, avvenuta qualche anno fa. Non gli ho dato le giuste attenzioni, perché l’ho esplorato poco e l’ho finito solo due volte, e se potessi tornare indietro, probabilmente, rifarei tutto quanto esattamente allo stesso modo. Sono forse un pazzo? No, sono soltanto contento di arrivare a un appuntamento del genere con occhi incredibilmente innocenti. Ho amato Demon’s Souls, ma l’ho vissuto poco rispetto ai suoi “fratelli”, o per meglio dire “figli”.

E, tornando alla mia difficile infanzia, al momento non potrei desiderare altro: “papà” sta per tornare e mi sta offrendo una seconda possibilità. Stavolta, cascasse il mondo, non la lascerò scappare.

Ci sono 2 commenti

PIPPO-MARCON-93

Il primo Souls nn si scorda mai , ho avuto la possibilità di giocarlo gratis grazie al Plus . Ricordo che la mia prima run è stata devastante , più di una volta ho sfruttato il trucchetto di resettare la console subito dp la morte del personaggio per nn perdere nnt LOL . Poi qualche anno dopo l’ho rigiocato cm si deve e alla fine sn riuscito anche a platinarlo . Sicuramente ritornerò a Boletaria grazie a questo remake u.u

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