Si definisce proprietà intellettuale qualsiasi innovazione, commerciale o artistica, qualunque nome, simbolo, logo o design unico destinato a uso commerciale. In ambito videoludico, nel 99% dei casi, una nuova proprietà intellettuale (IP) viene identificata con un videogioco che presenta un universo mai esplorato fino ad ora. Legalmente parlando, nel momento in cui viene depositato il marchio di una nuova IP, viene messo in moto un apparato di principi giuridici che mirano a tutelare i frutti dell’inventiva e dell’ingegno di una determinata software house.
Chiunque frequenti da anni un blog o un sito di informazione videoludica è ben consapevole della gioia promossa da una certa fetta di utenza nell’accogliere una nuova IP. Molto spesso ci si lamenta della poca intraprendenza di una software house a proporre nuove saghe e nuovi personaggi, riutilizzando e riadattando magari sempre gli stessi universi e aggiornando di volta in volta le meccaniche di gioco agli standard più moderni. Ma ha veramente senso chiedere la creazione di nuove IP ad un publisher che ha a dispozione un ventaglio sconfinato di saghe appartenenti a vari generi?
L’ideazione di una nuova proprietà intellettuale va in qualche modo giustificata dalla voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, che sia in ambito narrativo o più legato all’implementazione di nuove meccaniche di gioco che richiedano lo sviluppo di inediti personaggi coerenti con le nuove idee di gameplay. I Playstation Studios, ad esempio, nell’ultimo periodo hanno creato due nuove IP che raccontano situazioni inedite nel mondo Playstation: Ghost of Tsushima racconta il periodo del Giappone feudale, mentre Horizon Zero Dawn narra un’universo distopico dove le macchine hanno preso il sopravvento sugli esseri umani. In entrambi i casi, la creazione di una nuova saga si è resa necessaria dalla volontà di raccontare dei nuovi universi e di introdurre, specialmente nel secondo caso, delle meccaniche di gameplay peculiari mai introdotte prima dagli autori di Killzone e che mal si adattavano a qualunque altra IP targata Sony.
Lo stesso processo creativo ha investito tre nuove IP recenti in casa Nintendo: Pikmin, Splatoon e Arms.
I primi due giochi hanno colmato un’assenza relativa al genere di appartenza all’interno dell’ampio portfolio ludico di Nintendo: Pikmin è di fatto il primo strategico in tempo reale appartenente alla casa di Kyoto, mentre Splatoon rappresenta uno sparatutto in terza persona a squadre con meccaniche decisamente peculiari in cui si deve, principalmente, colorare il più possibile l’arena di gioco. Con Arms, invece, Nintendo ha ideato un picchiaduro con meccaniche talmente originali da rendere indispensabile la creazione di un nuovo universo di gioco con personaggi nuovi di zecca. Avrebbe dunque senso per Sony creare una nuova IP action adventure TPS con coperture avendo già a disposizione una saga conosciutissima come Uncharted da poter facilmente riutilizzare? Avrebbe senso per Nintendo proporre un nuovo strategico a turni che non appartenga alla saga di Fire Emblem (o se preferite Advance Wars)? Avrebbe senso per Microsoft creare un open world in salsa fantasy e non ambientarlo nell’universo di Fable? A mio avviso no, sotto ogni punto di vista.
Quello che in realtà viene spesso richiesto dal pubblico, identificandolo erroneamente con una spasmodica domanda di nuove proprietà intellettuali, è un’evoluzione delle meccaniche di gameplay all’interno dei loro videogiochi preferiti. Recentemente, Ubisoft ha letteralmente rivoltato una delle sue saghe più iconiche come Assassin’s Creed, dopo le pesanti critiche subite per Assassin’s Creed Unity e Syndicate. Il processo alla base di questo cambiamento è stato quello di rivedere alcuni canoni che da anni caratterizzavano la popolare serie del colosso francese e di rileggerli in chiave decisamente più moderna. Il pubblico si è diviso tra chi considera il nuovo corso come uno snaturamento eccessivo dell’idea originale e chi invece ha apprezzato questa ventata di modernità dopo anni di stagnazione videoludica. In ogni caso, il successo economico del nuovo corso ha dato ragione a Ubisoft e, molto probabilmente, se questo cambiamento non fosse stato veicolato da un nome forte come quello della saga degli assassini, il risultato in termini di successo commerciale non sarebbe stato lo stesso.
Tenendo conto dei limiti di produzione di una determinata software house che potrebbe non avere la forza economica per sostenere una nuova IP con costi di produzione simili a quelli di un tripla A e affiancarla a saghe ben più popolari che ne segnano il suo DNA, la scelta di proporre nuove meccaniche e strutture rivoluzionate su serie ben note al grande pubblico è il modo più efficiente e meno rischioso di proporre, di fatto, una nuova proprietà intellettuale. La richiesta schizofrenica di nuove IP non è salutare e sostenibile per un’industria in cui molto spesso quasi tutti i big del settore hanno a disposizione saghe che ricoprono bene o male il 95% dei generi videoludici e che permetterebbero di partire da qualcosa di concreto e ben conosciuto da una parte di pubblico. In definitiva, la creazione di una nuova proprietà intellettuale (perlomeno a livello di un tripla A) è rischiosa e, se mal gestita, anche controproducente, laddove il risultato finale non ne giustifichi la creazione.