Achievements e trofei, specchio di una decadenza videoludica

Confessioni di un videogiocatore stanco

Editoriale di Stefano Cherubini

E3 2005: Microsoft presenta il sistema Gamerscore. Vero e proprio genitore dei sistemi moderni (achievements, trofei et simila), la casa di Redmond diede inizio a una piccola rivoluzione che, pur nel suo piccolo, ha portato progressivamente verso una diversa fruizione del videogioco. Abbiamo già trattato con accezione positiva il discorso legato ai trofei, ma con questo articolo si vuole, e lo premetto fin dal principio, analizzare come l’inserimento di questi obiettivi abbia portato a una serie di conseguenze negative su più fronti, sia dal punto di vista del giocatore che dello sviluppatore.

Oggi fatichiamo a immaginare un videogioco senza un sistema di trofei associato. Ci risulta anche spesso difficile non imbattersi in commenti riguardo la difficoltà per l’ottenimento di un platino di un determinato gioco. Insomma, piacciano o meno, oggi gli achievement sono a tutti gli effetti parte integrante del pacchetto videoludico offerto all’utenza, salvo rarissime eccezioni.

Achievements Sony
I trofei legati all’ecosistema PlayStation sono forse i più conosciuti nel panorama videoludico

Una questione del tutto personale

Essendo un articolo profondamente di opinione, non posso far a meno di raccontare la mia esperienza di videogiocatore. Entrai in contatto con gli achievements esattamente il giorno che mi regalarono una Xbox 360 con Bioshock e Oblivion. All’epoca, poco più che quindicenne, accolsi con estremo piacere un sistema di questo tipo. Raccolsi i mille punti di Bioshock con fierezza e ottenni un ottimo score anche su Oblivion, crogiolandomi al solo pensiero di aver compiuto quest’impresa. Vedevo i trofei come un motivo per poter archiviare un videogioco, e per anni, nonostante avessi avuto più volte la tentazione di ributtarmi negli splendidi scenari di Rapture, fui sempre respinto da quel senso di sazietà che i celebri mille punti mi avevano dato. Quell’associazione tra trofei e fruizione completa dell’esperienza cominciava però a lacerare la mia anima da videogiocatore.

La mia esperienza di videogiocatore ha vissuto periodi di odio e amore nei confronti dei trofei

Abbandonai ben presto l’idea di focalizzarmi sui trofei per ogni singolo videogioco acquistato e vissi anni spensierati tra Xbox 360, Wii e Playstation 3. Venne poi il momento della next gen: acquistai PlayStation 4 quasi al lancio e, complice anche la penuria di offerta dei primi anni, mi ributtai con enorme veemenza sull’ottenimento dei tanto agognati obiettivi, senza particolari motivazioni. Fui quindi nuovamente risucchiato nel vortice, seppur appena per qualche mese e ne uscì fuori progressivamente grazie alle ore passate su 3DS e su Wii U. A oggi, infatti, Nintendo è l’unica major che non prevede un sistema di trofei per i suoi titoli. La spensieratezza che provai giocando decine e decine di ore ai vari Mario Kart, Splatoon, Fire Emblem e A Link between Worlds mi fece ricordare il perchè avessi abbandonato così in fretta la corsa ai trofei.

Il videogiocatore pigro

L’aspetto più deludente di un tale sistema di riconoscimenti, dal punto di vista del giocatore, risiede – a mio avviso – nello sfaldamento di quel delicato senso di scoperta di un nuovo videogioco. È inevitabile che si finisca, prima o poi, a dare un’occhiata alla lista trofei e a capire, magari, quanto manca alla fine di un gioco, contando gli obiettivi nascosti rimasti, o addirittura negandoci la scoperta a sorpresa di un posto nascosto perché indicato a lettere cubitali nella lista di cose da fare. Già, avete capito bene, gli obiettivi non sono altro che una lista di cose da fare suggerita dallo sviluppatore il quale vi sta dicendo che, nel momento esatto in cui otterrete ogni singolo trofeo, potete tranquillamente prendere il vostro disco e riporlo su uno scaffale.

I trofei rendono il giocatore pigro e limitano l’esperienza videoludica

Tali sistemi non sono altro che una dichiarazione di intenti, una specie di stop morale per dirvi che, forse, state passando troppo tempo su un singolo videogioco: è arrivato il momento di passare ad altro. D’ora in avanti non avrete più l’indicatore sonoro che tanto vi rende fieri e se vi imbatterete in uno scorcio mozzafiato o in un tesoro nascosto che non sono espressamente legati a un trofeo, è come se non li aveste mai scoperti. Gli achievements strozzano la spensieratezza del giocatore e lo rendono pigro, ci presentano i videogiochi in un format preconfezionato che ci dice esattamente come completare un gioco. Il resto è del tutto superfluo.

Gli sviluppatori concordano?

A giudicare dalla qualità delle liste trofei proposte, credo fermamente che la maggior parte dei game designer non sia poi così felice di dover implementare un sistema di questo tipo. Oggi tutto è ormai a favore dell’accessibilità ed è praticamente impossibile imbattersi in una lista trofei che sia particolarmente difficile da completare. Parlando di un gioco piuttosto recente e che – lo confesso! – non ho neanche apprezzato più di tanto, Red Dead Redemption 2, mi sono spesso fermato in alcuni angoli della mappa disegnati da Rockstar carpendo dettagli finemente inseriti dallo sviluppatore.

Achievement_RDR2
La scoperta di uno splendido cimitero indiano non vi farà ottenere alcun trofeo in Red Dead Redemption 2

Il fatto stesso di non aver sbloccato un achievement nello scoprire una setta satanica o un cimitero indiano, a un primo impatto mi ha stranito e mi ha fatto chiedere: perché mai uno sviluppatore deve passare ore a disegnare e modellare un dettaglio tanto ben realizzato per poi renderlo superfluo non assegnandogli un trofeo specifico? Mi è parso quindi evidente che, così come vengono concepiti, i trofei non nascono dal desiderio di uno sviluppatore. È piuttosto la volontà del publisher quella di costringervi a restare per un tempo minimo sul loro gioco; si spiega quindi la proposizione di liste sempre più accessibili, che possano abbracciare un vasto pubblico, ma sempre più lunghe, in modo da dare al giocatore uno stimolo semplice ed economico (dal punto di vista del publisher) per restare su quel titolo, senza abbandonarlo troppo in fretta.

Un piccolo angolo di paradiso

Ci sono alcune realtà, però, che sembrano tutt’oggi opporsi a un sistema di trofei di questo tipo. Per coloro che hanno avuto il piacere di giocare quel piccolo gioiello che è Stanley Parable, vi sarete sicuramente imbattuti in achievements quantomeno curiosi: uno di questi vi chiedeva di non giocare per cinque lunghi anni al gioco, un altro vi esortava a uscire dal gioco per poi riavviarlo. Anche analizzando il resto della lista obiettivi, era inevitabile non ridere di fronte a quella che è chiaramente una parodia di un videogioco moderno.

Achievements Stanley
Stanley Parable si prende letteralmente gioco degli achievements

Come accennato poco prima, Nintendo è l’unico colosso dell’industria che oggi non prevede un sistema di trofei. C’è chi pensa sia dovuto a quella pigrizia insita alla casa di Kyoto nel porre poco l’accento su servizi e infrastrutture. Analizzando la questione più nel dettaglio, si può però identificare una volontà comune in Nintendo che rifiuta il tipo di fruizione attuale di un videogioco. La storica casa giapponese è stata sempre promotrice di una fruizione spensierata del medium videoludico, da non prendere come un dovere o, addirittura, lavoro, ma come svago e puro intrattenimento.

Quello che riceverete al termine della raccolta di tutti i korogu è una bella cacca dorata

Nell’ultimo e splendido The Legend of Zelda, il tanto acclamato Breath of the Wild, il mondo di gioco è stato riempito con novecento korogu da raccogliere. Per potenziare il vostro equipaggiamento ve ne basteranno poco più di 400. Non solo i restanti semini sono completamente inutili, ma una volta raccolti tutti verrete premiati letteralmente con una cacca dorata. Insomma, la filosofia di Nintendo sembra ben chiara.

Achievements Zelda
La tanto agognata merda dorata regalatavi per aver raccolto 900 korogu in Breath of the Wild

Impossibile tornare indietro

Mi rendo conto come, allo stato attuale, appaia impossibile tornare a un sistema senza trofei: forse, alla fine, anche Nintendo finirà per proporre il suo sistema togliendomi quest’ultimo angolo di paradiso, o forse no. In fin dei conti, credo davvero che gli achievements siano più un male che un bene. Dopo anni e anni passati con un pad in mano, parlo con la consapevolezza di chi ha cercato di comprendere il fenomeno: l’ho davvero analizzato da più punti di vista, mi sono posto domande, mi sono messo nei panni dello sviluppatore e del publisher. Alla fine, però, sono arrivato a un’unica conclusione: nel profondo della nostra anima di videogiocatori i trofei non esistono e mai esisteranno.

Ci sono 4 commenti

COLDSEASONS
COLDSEASONS "Master of the Universe"
Complimenti, ti sei registrato!Chiacchierone!NiubboGuardone!Gameplay Café è il mio ritualeJuniorE3 2019 Special!Master
25 Maggio 2021 alle 13:11

Non sono un cacciatore di trofei ma ormai la lista di achievements si consulta ancor prima di acquistare un gioco, bisogna dirlo. Non sono d’accordo con l’articolo in cui si dice che i trofei, una volta ottenuti al 100%, rendono inutile un titolo. Piuttosto contribuiscono alla longevità. La scelta di Nintendo, invece, non la condivido. Che si sia trophy-hunters o meno, la propria gamer-card è una sorta di nostro testamento videoludico e la cosa mi piace. Anzi, sarebbe bello se – per assurdo – potesse essere retroattiva per vedere cosa si è videogiocati dal primo giorno fino ad oggi.
Nei titoli Nintendo, raccogliere tutti i collezionabili, le lune o quel che sia, è solo una perdita di tempo che in più non da alcun vantaggio ne sblocca alcun trofeo. Quello si, che è una sorta di achievements pigro.

    S.Cherub

    Diciamo che il punto dell’articolo è proprio quello. A mio modo di vedere, se la gratificazione nel raccogliere un collezionabile la si ha solo se legata all’ottenimento di un trofeo c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Quando esploro Hyrule in Breath of the Wild mi trovo davanti al puro piacere di esplorare senza aver bisogno di trofei legati. Il mio trofeo è il collezionabile che trovo alla fine della mia sessione di esplorazione.

S.Cherub

Diciamo che il punto dell’articolo è proprio quello. A mio modo di vedere, se la gratificazione nel raccogliere un collezionabile la si ha solo se legata all’ottenimento di un trofeo c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Quando esploro Hyrule in Breath of the Wild mi trovo davanti al puro piacere di esplorare senza aver bisogno di trofei legati. Il mio trofeo è il collezionabile che trovo alla fine della mia sessione di esplorazione.

FitzGeralt_of_Panormus

A me sinceramente non dispiacciono; non ci perdo chissà quanto tempo a sbloccarli, anche se ammetto che qualcuno l’ho trovato divertente (tranne quelli ‘raccogli questo o quello’).
Diciamo che negli anni l’introduzione dei trofei\achievment mi è servita per beccare gli amici\parenti\conoscenti farfalloni, del tipo “si io ho finito Demon’s souls” oppure “ho finito quel gioco li solo a difficoltà estremamente difficile infermale”…poi guardi i trofei e hanno appena fatto il tutorial 😀

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