Francesco Jabba Serino, che molti di voi conosceranno come uno dei giornalisti di punta su Multiplayer.it, è quello che mio padre avrebbe chiamato “una vecchia baldracca”. Non ci sarebbe stato alcun intento dispregiativo nel definirlo così, né verso Francesco Serino né verso chi, quasi sempre in maniera coatta, è costretto a prostituirsi. Quella della “vecchia baldracca”, nella semantica di mio padre, era una figura retorica utilizzata per indicare professionisti navigati, capaci di muovere gli ingranaggi giusti al fine di coinvolgere il pubblico nello spettacolo a cui stava assistendo.
Per citare un esempio su tutti, lo ricordo all’ultimo concerto milanese di Fabrizio De André nel 1998 – avevo appena diciotto anni – quando il cantautore, al termine di quella che doveva essere la canzone conclusiva, si alzò dalla sedia per andare dietro le quinte, fingendo che il concerto fosse finito. Mentre il pubblico, non certo di primo pelo, rumoreggiava per qualche bis, mio padre urlò: “Vieni fuori, vecchia baldracca“, ben sapendo che quello di De André era un coup de théâtre per stimolare gli spettatori.
Nella sua sua trentennale attività giornalistica, Francesco Serino ha maturato quello che io reputo il talento essenziale per chi vuole davvero parlare di videogiochi sui social: creare una narrazione avvincente del tempo giocato, facendoti venire voglia di giocare di riflesso. Potrei fare tanti esempi recenti, partendo da Sea of Thieves e Cities: Skylines per arrivare all’attualità di Age of Empires IV o Forza Horizon 5.
L’incipit per questa riflessione me l’ha offerto proprio quel suo farmi desiderare Age of Empires IV come se, già di mio, non lo desiderassi abbastanza. Sarà che ho sempre subito il fascino degli hardcore gamer capaci di dedicare centinaia di ore a un singolo titolo, sarà che i gusti di Francesco sono molto simili ai miei, sta di fatto che ho sottoscritto un abbonamento trimestrale al Game Pass di mamma Microsoft e ieri sera ho scaricato i 35 gigabyte necessari a installare il nuovo gioiello di World’s Edge Studio.
ho sempre subito il fascino degli hardcore gamer capaci di dedicare centinaia di ore a un singolo titolo
Facciamo ora un passo in avanti, ipotizzando di essere al 9 dicembre 2021 quando gli impegni familiari, di lavoro e pre natalizi si affolleranno come i tifosi in curva per assistere al derby di Milano: quante ore avrò dedicato a Age of Empires IV in tutto questo fast forward? Proviamo a fare due conti: uno di solito lavora o studia dalla mattina alla sera. Certo, ci sono anche gli studenti universitari fuori corso che non frequentano le lezioni e fanno passare le sessioni senza dare esami, ma concentriamoci sulle persone che non hanno tempo da perdere.
Quindi dicevo: se avessi la fortuna di abitare ancora da mammà non dovrei occuparmi di preparare la cena, guadagnando un’oretta di gameplay al dì. Sempre godendo dell’apporto materno per il riordino della cucina, magari uscendo a giorni alterni con la ragazza o gli amici, oppure dividendo gli impegni familiari serali con un’eventuale moglie o ancora mandando a letto i figli poco dopo il tramonto, potrei rosicchiare ancora una decina di ore alla settimana. In questa situazione idilliaca e ideale, da qui al 9 dicembre avrei giocato per un totale di 40/50 ore. Non male, non male davvero.
Tutti sappiamo, però, che la routine quotidiana è fatta di imprevisti, figli da accudire, fidanzate da riconquistare, straordinari sul lavoro, esami da preparare, partite di calcetto coi colleghi e tutta una serie di attività – quotidiane o meno – che rendono la nostra vita di videogiocatori un colabrodo di tempo inutile sottratto al gameplay. Nella sua recensione di Age of Empires IV su Multiplayer.it, Serino fa quello che ci si aspetta da lui: spiegare le caratteristiche del gioco e quanto sia imprescindibile per un appassionato che aspetta di tornare su quelle mappe dopo la debacle del terzo capitolo.
Come dicevo prima, io cedo alla tentazione e divento parte della grande famiglia dell’Xbox Game Pass. Soprassedendo al fatto che prima o poi lo avrei acquistato ugualmente, perché appunto la mia introduzione su Serino serviva solo come pretesto per iniziare a parlare di giudizi e hype che mai hanno preso in considerazione il fattore “tempo da dedicargli”, quello del “tempo da dedicargli” è un mio vecchio pallino, forse proprio a causa della frustrazione di non averne mai abbastanza ed essere costretto quasi sempre a sacrificare questo o quel momento di gameplay in risposta a un dovere che ormai da due decenni continua a chiamare manco fossi un call center per il reddito di cittadinanza.
da anni escono più giochi di quelli che potremo mai giocare
Conoscete il sito How Long To Beat? Io sono un suo habitue. Sostanzialmente è una community di giocatori che foraggia un database sulle tempistiche delle run, dividendole in storia principale, extra e complete. Non ricordo nemmmeno più l’ultima volta che non me ne sono servito prima di acquistare un gioco. È uno strumento incredibilmente utile per capire se riuscirò a rientrare dell’investimento o se avrò comprato un bene di cui potrò godere solo in parte.
Intendiamoci però: è ovvio che in un mondo senza la bulimia da day one uno potrebbe acquistare Death Stranding e spolparlo per tre mesi… ma sapete tutti che da anni escono più giochi di quelli che potremo mai giocare (qui un articolo di SpazioGames sull’argomento) e che ci annoiamo quasi subito, pronti a fagocitare nuove IP senza digerire quelle appene disinstallate. E allora come ne usciamo? Perchè quelle 40/50 ore di cui scrivevo prima sono solo ideali; quasi mai reali (continuate a leggere, dopo metto qualche statistica).
Se lo ricordate, Douglas “FaZe Censor” Martin è salito alla cronaca perché le sue priorità erano chiare… ma noi siamo giocatori semplici; italiani medi a cui piace la pizza e che venderebbero la mamma pur di ascoltare dal vivo le previsioni metereologiche di Yanet Garcia insieme ai 14 milioni di follower che la seguono su Instagram: per uscire dall’impasse del poco tempo a disposizione dobbiamo arrangiarci con quel poco che abbiamo.
Da qui parte la riflessione che voglio condividere con voi: credo che il metro di giudizio di una recensione, in particolare di un prodotto di intrattenimento che ha una durata così eterogenea come il videogioco, debba inserire quale fattore determinante non tanto la longevità del titolo (a cui ci hanno abituato male le riviste), quanto piuttosto il rapporto tra soldi spesi e tempo necessario per non averli buttati dalla finestra virtuale di PayPal.
Dobbiamo giudicare il rapporto tra soldi spesi e tempo necessario per non averli buttati dalla finestra
Un tema analogo, però dall’altro lato del fronte, è stato affrontato da Mikhail Klimentov sul Washington Post, che appunto denuncia il poco tempo a disposizione dei redattori per scrivere una recensione prima che scada l’embargo e consigliare (o meno) l’acquisto di quel determinato prodotto. Io però voglio restare da questa parte; dalla parte di chi viene ingolosito da ricchi gameplay e avventure col vento in poppa, per poi trovarsi col cerino in mano, all’una di notte, chiedendosi se quelle prime 20 ore a Civilization VI sono servite almeno a impararne le meccaniche o ce ne vorranno altre 100 per padroneggiarle… “che poi arriva febbraio, mi esce Elden Ring e chi lo sa se poi ci tornerò su. Forse facevo meglio ad aspettare che lo regalassero sull’Epic Games Store!“.
Mi chiedo se i publisher accetterebbero che un’affermata realtà editoriale iniziasse a dare voti doppi, un po’ come accade su Metacritic, facendo un bel distinguo tra il giudizio dedicato agli studenti universitari di cui sopra e quello destinato a un pubblico più allargato. Nel suo rapporto 2020 tra mercato e consumatori, IIDEA spiega che 9 milioni di giocatori italiani sono compresi nella fascia di età 25-64, mentre sono solo 4 i milioni di utenti tra i 15 e i 24 anni, sul totale di 16.7 milioni. La fascia di età 25-64 è quella della gente che lavora, che non è ancora in pensione, che ha figli… in poche parole: che non ha tanto tempo. Poche pagine dopo, sempre nel rapporto 2020, si evince che in media vengono giocate 4.7 ore a settimana su PC e 6.9 ore su console. Torno ancora una volta alle 40/50 ore mensili su cui insistevo prima: dati alla mano, le ore si riducono a meno di 30.
Veniamo quindi a Francesco Serino e alla recensione di Age of Empires IV, con un bel 90 a fare da ciliegina sulla torta di un gameplay che non vedo l’ora di spolparmi. Sarebbe così assurdo immaginare un box a parte in cui esplicitare che se non gli dedico almeno 40 ore non arrivo nemmeno alla fine della campagna e che forse comprarlo a prezzo pieno sarebbe uno spreco di denaro? Nel caso specifico sì, perché mamma Microsoft lo ha inserito nell’Xbox Game Pass per PC e il fattore “prezzo” è stato eliminato dall’equazione, così come per No Man’s Sky, Europa Universalis IV e tanti altri giochi che richiedono decine di ore di passione. Ma se da un lato qualcuno potrebbe aggiungere che ci sono anche altri abbonamenti come Ubisoft+ ed EA Access che offrono il medesimo vantaggio, la realtà è un’altra: nel 2020 gli italiani hanno comunque speso 284 milioni di euro nel mercato retail e 799 milioni di euro in quello del digital download.
un miliardo di euro spesi dal 38% della popolazione italiana tra i 6 e i 64 anni per l’acquisto di software nel 2020
Più di un miliardo di euro volatilizzati dal 38% della popolazione italiana tra i 6 e i 64 anni per l’acquisto di software in soli 12 mesi: una cifra da capogiro. Il 50% degli acquirenti (sempre fonte IIDEA) orienta i suoi consumi sulla base di siti specializzati, social media e riviste di settore. La mia domanda quindi rimane, al netto di tutti i servizi in abbonamento che volete: se ancora oggi il 90% dei videogiocatori non finisce i giochi che acquista, non potremmmo aiutarli a risparmiare “qualche dollaro in più” semplicemente facendogli capire che quelle meccaniche sono fuori dalla portata di gente che non ha tempo da dedicargli?
Parliamone.
Questo editoriale contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.
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Parlo per me, e mi rendo chiaramente conto del fatto che si tratta di un ragionamento del tutto soggettivo, che potrebbe tranquillamente essere lontanissimo dal pensiero della maggior parte dei videogiocatori: spesso, pur essendo conscio del fatto di non avere abbastanza tempo libero per godere di un determinato titolo, finisco comunque per acquistarlo ugualmente(o scaricarlo, nel caso faccia parte dello sconfinato catalogo Xbox Game Pass).
Vuoi per una cronica incapacità di resistere a campagne pubblicitarie d’effetto e/o alla voglia di chiacchierarne sui social, vuoi per supportare produzioni magari di nicchia, con l’intento di dare un messaggio chiaro al mercato e far sentire la propria voce, oppure per la semplice “fregola” di mettere le mani su un titolo tanto atteso, indipendentemente dallo riuscire o meno a terminarlo, finisco per cadere vittima del mio entusiasmo in molte(troppe?) occasioni.
Guarda, io lo capisco perfettamente. Tanto che il Game Pass mi sta innervosendo anche perché sento di non “possedere” i titoli che scarico. Credo tuttavia che sia un retaggio di un tempo ormai lontanissimo e di cui vorrei liberarmi (anche perché poi tutto si riempie di polvere). Anche l’ossessione che ho per riscattare tutti i titoli che ultimamente regalano i vari Epic, Uplay, Amazon, etc. credo dipenda dal desiderio di accumulo; un desiderio in realtà ingiustificato, perché appunto non ho tempo e se ne avessi certo non rigiocherei Splinter Cell Chaos Theory regalato oggi da Ubi (che comunque ho riscattato imediatamente).