Gli utenti delusi dalla catena GameStop sono una schiera folta ed eterogenea che ha più volte espresso il proprio disappunto negli ultimi anni sulle politiche aziendali del colosso americano. Qualcuno potrebbe arrogarsi il diritto di dire “era ora, se lo meritano” eppure l’andamento al ribasso della compagnia di vendita di videogiochi è meno positiva di quella che l’opinione comune potrebbe pensare soprattutto se si considera l’impatto sull’intero business dei videogiochi.
L’anno fiscale 2018 di GameStop si è chiuso con un rosso di 673 milioni di dollari e il 2019 si prevede sia stato altrettanto complesso e poco positivo con un -25% di vendite realizzato nel periodo natalizio. A dimostrazione di quanto la situazione interna dell’azienda sia difficile e quanto la ricerca perenne di profitti stia pesando sulle spalle dei singoli dipendenti e dei responsabili è lampante dal reportage realizzato recentemente da Polygon. Il portale statunitense ha intervistato alcuni dipendenti e store manager di GameStop che hanno confessato quanto i piani alti premano per ottenere guadagni.
I dipendenti di GameStop sono scettici sulle attuali politiche aziendali, rigide e aggressive.
Stando alle dichiarazioni raccolte ci sono due facce opposte della stessa medaglia: da un lato i dirigenti sono convinti che il lancio di PlayStation 5 e Xbox Series X darà un forte slancio ai guadagni della catena di negozi; dall’altro ci sono i dipendenti scettici sulle attuali politiche aziendali, a loro dire troppo rigide e aggressive, che non riusciranno a risollevare l’azienda dal buco nero in cui è piombata.
Quello che Polygon ha intercettato è uno spaccato di una situazione complessa, tesa e, come gli stessi dipendenti hanno dichiarato di pura disperazione. Le testimonianze da ex-lavoratori e persone ancora sotto contratto con GameStop riportano alcuni aspetti preoccupanti di quest’ultimo periodo di attività. Quello che traspare dalle parole dei dipendenti è l’ansia da prestazione che viene instillata dai piani alti, i quali pretendono che i risultati mensili dei vari negozi siano esattamente quelli prefissati. Un esempio è quello che ha dichiarato un manager di lungo corso dell’azienda: “Recentemente ho avuto la visita di un senior manager che ha detto che andare vicino [agli obiettivi] non è abbastanza buono. Se non stai raggiungendo gli obiettivi prefissati, stai fallendo”.
Questo è solo un esempio di come chi lavora in GameStop stia affrontando una situazione tutt’altro che serena. “Le cose sono cambiate drasticamente – ha detto un assistant manager – “Il nostro responsabile sta promuovendo attività tecnologiche, come iPhone e tablet, nonché le prenotazioni. A nessuno importa più dei giochi o dei clienti. È odioso.” In effetti in quest’ultimo periodo GameStop sta puntando molto sulla compravendita e rigenerazione di hardware soprattutto smartphone e sui servizi accessori (in italia non è raro trovare anche offerte per la telefonia mobile). Una situazione che dimostra anche come il cliente sia un po’ passato in secondo piano, nonostante la dichiarazione d’intenti di qualche tempo fa nelle quali i piani alti dell’azienda dichiaravano di voler creare un’esperienza utente più coinvolgente puntando su retrogame ed esport.
Tra le strategie di mercato applicate in questo periodo dall’azienda c’è anche una forte spinta ai preordini dei videogiochi, un fattore che sembrerebbe puntare a dare risalto al medium, ma la realtà è ben diversa. In questo ambito le direttive sono molto incalzanti con commessi ai quali viene chiesto di elencare tutti gli altri videogiochi disponibili al preorder per fare in modo di trovare un ulteriore titolo da piazzare al cliente. Senza andare nel dettaglio, questo è anche dovuto al fatto che le politiche interne sono cambiate e mentre prima ogni negozio otteneva una copia del gioco ogni tre prenotazioni da parte dell’utente, adesso ne arriva una ogni cinque. Meno copie disponibili in negozio vuol dire meno prodotti da poter avere pronti per la vendita e meno possibilità di accontentare gli avventori quotidiani.
Se non bastasse la pressante richiesta di proposte di prenotazioni, GameStop spinge tanto anche per ottenere i contatti dei clienti e aumentare il flusso di pubblicità in modo da poter aumentare la penetrazione delle proprie campagne di marketing. Ad oggi quindi la sensazione è che Gamestop, e soprattutto la nuova proprietà Zing, stia tentando di recuperare le perdite di questi ultimi anni più che recuperare la propria immagine. Tutte manovre giuste ovviamente, dettate dalle criticità del momento ma, come qualche dipendente ha dichiarato, la percezione è che il cliente sia passato in secondo piano. Una valutazione che pare calzante, ma è giusto tenere in considerazione che anche l’abitudine dell’acquisto in negozio è passata in secondo piano nella testa e nelle abitudini dell’utente finale e non per colpa di GS.
GameStop ha messo il cliente in secondo piano, ma anche l’utente e il mercato hanno messo il negozio fisico fuori gioco.
Una cartina tornasole della situazione è l’usato, da sempre punto di forza di GameStop, che ora è passato di moda non certo per colpa della compagnia americana. In passato è vero che le politiche sulla compravendita dei videogiochi spesso hanno ricevuto non poche polemiche e qualche scelta sicuramente discutibile – perché mettere sullo scaffale un gioco usato con un prezzo di 5 euro in meno o in più rispetto allo stesso nuovo di pacca magari in offerta è una assurdità. Ma d’altra parte è che il mercato è cambiato e il digitale, si sa, sta ridisegnando le regole basilari di questo business. Qualche commesso di GameStop punta perfino il dito contro i free-to-play, Fortnite nello specifico, che spingono alle transazioni digitali e alle ricariche che producono meno profitto e non possono essere scambiati con un prodotto nuovo e rimpinguare il mercato dell’usato. In verità questa accusa dettata dalla frustrazione non può essere tenuta in considerazione perché non fa altro che cercare un singolo capro espiatorio quando ci sono molte variabili ignorate.
Perché c’è da essere obiettivi, le colpe non sono tutte di GameStop, ma molte delle cause sono dovute a una naturale evoluzione della maniera in cui si fruiscono le esperienze interattive multimediali. Come accaduto per il cinema, anche il videogioco ha visto un’impennata del mercato digitale forse troppo rapida per poter creare delle contromisure aziendali efficaci a rinnovare l’azienda. La mancata lungimiranza è di certo una colpa, ma non può essere considerata così grave perché è difficile reinventare quasi da zero un modello di business consolidato e radicato nell’azienda.GameStop poteva prevedere tutto questo? Forse. Aveva i mezzi per far fronte a questo cambio radicale? Difficile valutarlo ora. La situazione attuale della catena di negozi di videogiochi molti la paragonano a quella che ha portato al crollo di Blockbuster. E i dati mostrano uno spaccato ancora più critico di quello della catena di noleggio di film prima del fallimento. I parallelismi tra i casi non finiscono, soprattutto se si considera il contesto in cui sono maturati, con un mercato che fa in direzione del digitale. Ma GameStop ha ancora margine per salvarsi, di questo ne sono convinto. Tuttavia c’è necessità che questa direzione intrapresa subisca una sterzata per evitare che utente e commesso siano sempre meno partecipi e interessati.
Puntare sugli eventi è corretto ma gli esport non possono essere un’esperienza estemporanea (come è accaduto con quello realizzato da GameStop con Super Smash Bros del quale sono stato anche admin per due tappe, ndr), vanno cadenzati, programmati e sponsorizzati. La sezione retrogaming è un’ottima idea, ma la gestione dell’usato è da correggere profondamente soprattutto se vista dal lato utente, con meno raccolta di ogni titolo e più attenzione per le valutazioni del collezionismo.
Ultimamente c’è da dire che il programma Premium Pass di GameStop con i ticket da poter usare per prenotare i giochi futuri a prezzi vantaggiosi non è una cattiva idea, ma non può essere l’unica ancora di salvezza e non può riscattare la cattiva fama della catena dei negozi sull’usato e sul servizio dato all’utente.
GameStop Zing ci sta provando alla sua maniera, forse puntando ancora troppo sui profitti puri e non su una progettualità a medio termine. Forse manca ancora un potenziamento della esperienza utente, che da frequentatore occasionale dei negozi italiani, non sono ancora riuscito a percepire e anzi spesso mi risulta disordinata e mancante di conoscenza sull’argomento. C’è troppa telefonia in un ambiente che dovrebbe diventare quasi un bar-ludico, in cui la gente sa di trovare persone esperte del settore che sanno consigliare, che hanno anche il tempo di parlare con l’utente e non la fretta di vendere qualcosa.
Perché in fin dei conti il processo di evoluzione di GS è in atto. Alla sua immagine da luogo dei videogiochi si è aggiunta una parte considerevole di merchandising di giochi da tavolo e altri accessori che sta piano piano prendendo piede. Se trovassero spazio anche sezioni e gadget più di contorno ma attinenti alla cultura pop (quelli di fumetti, serie TV e film ad esempio) potrebbe davvero diventare un punto di contatto tra il progresso fisico e la mai spenta passione per il collezionismo e il senso di appartenenza alla cultura pop che si esprime con tutto quel tripudio di feticci che ci piace tanto comprare, possedere e ostentare. Quest’onda, sono sicuro, GameStop la potrebbe cavalcare di gran carriera e trovare il suo spazio in questi tempi che cambiano.
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Quello in foto è Davide Soliani.😂😂😂
O forse è il Tanzen tra qualche anno XD
Onestamente spero sempre che i negozi vadano bene e la genta non perda il posto causa chiusure… però GS è vergognosa.
GS ha le sue colpe, ma è giusto tenere in conto chi per colpa di questa crisi rischia il posto di lavoro.